FRANZONI, Giacinta
Nacque a Brescia il 28 luglio 1678 da Giovan Battista del quondam Pietro Paolo e da Maria Manera.
La famiglia, originaria di Chiari, apparteneva probabilmente al ceto dei cittadini e godeva di una certa agiatezza: Maria e il fratello, che aveva associato Giovan Battista nel suo commercio, vengono indicati nei documenti col titolo di "dominus". Dal matrimonio erano nati vari figli, ma solo quattro femmine raggiunsero l'età adulta. Di queste, la F. era la maggiore; seguiva Caterina, monaca cappuccina presso il monastero di Lonato, morta nel 1709; Savia, anch'essa cappuccina presso il monastero di Capriolo, morta nel 1731; e Teresa, rimasta al secolo e morta nel 1707 di etisia.
Cresciuta nella casa di proprietà materna, posta nel "trasandello" degli Squadrati in parrocchia S. Giovanni, la F. venne educata tra i nove e i tredici anni presso alcune donne, come ebbe a dire nella sua autobiografia, scritta nel 1734, "vivendosi per così dire vita religiosa in abiti secolari", senza specificare tuttavia se si trattasse di educandati tenuti da orsoline o dimesse, presenti a Brescia in quegli anni, oppure di altre istituzioni che erano private e laiche, come quella delle sorelle Guerrieri. Alla conclusione del suo educandato, la F. passò a coadiuvare la madre, vedova di lì a poco, nelle faccende domestiche, occupandosi anche dell'educazione delle sorelle (la cui vocazione religiosa fu contrastata dalla madre) e della conduzione del negozio del cugino Manera, nonché del patrimonio familiare, secondo l'esplicita volontà testamentaria del padre.
Nel periodo della sua adolescenza e prima giovinezza, travagliata fra i diciassette e i venticinque anni da continue malattie, la F. e le sue sorelle ebbero come direttore spirituale il padre G. Federici degli oratoriani, che fra il 1691 e il 1703 la sottopose a pratiche di virtù e a pubbliche prove di umiltà. Data a questo periodo la consuetudine della F. con quest'Ordine religioso, portatore di una spiritualità pienamente controriformata piana e accessibile. Fra il 1703 e il 1711, sempre secondo il suo resoconto, dopo un primo casuale incontro, la F. passò sotto la direzione spirituale di un padre (di cui è taciuto il nome), senz'altro vicino ai circoli quietisti proprio allora attivi a Brescia, e che contavano su una lunga tradizione locale, operante nella zona dall'epoca della predicazione pelagina in Val Camonica (1653-57) fino al processo, nel 1709, di G. Beccarelli. Durante questa fase la F., che aveva pronunciato voti privati di castità, povertà e obbedienza, si dedicava per ore all'orazione di quiete, comunicandosi tutti i giorni. Nell'autobiografia, assai critica verso questa fase della sua vita, la F. riferisce anche di estasi e visioni, necessario corollario a qualsiasi aspirante "santa viva" del tempo. Dopo aver assistito per un anno e mezzo la sorella Teresa nella malattia che doveva portarla alla morte, nel 1709 la F. si allontanò a più riprese da Brescia per seguire una cugina che prendeva il velo presso il monastero della Visitazione di Modena (fondato nel 1672 dalla duchessa Laura Martinozzi e attiguo al palazzo ducale). Venne presentata alla corte estense e fu probabilmente in quest'occasione che conobbe da vicino la spiritualità salesiana, in seguito esplicito punto di riferimento per la redazione delle sue costituzioni.
Nel 1711 l'incontro decisivo con padre P.F. Alghisi. Oratoriano e musicista di chiara fama, maestro di cappella della città, organista della cattedrale e direttore spirituale di alcune monache della Visitazione di Modena, in quegli stessi anni Alghisi intratteneva una corrispondenza epistolare con la madre M.A. Biondini, esponente della corrente quietista e a sua volta legata al cardinal P.M. Petrucci, oratoriano anch'egli, che certamente era stato figura di primissimo piano nel movimento molinista in Italia. L'incontro con l'Alghisi, avvenuto in casa della nobile E. Marasina, appartenente alla Compagnia di S. Orsola, avrebbe modificato la vita della Franzoni. Dall'anno seguente, infatti, grazie allo stretto rapporto spirituale instaurato fra i due, la F. già allontanatasi dal precedente confessore, dopo aver reso confessione completa, assolta dai voti pronunciati (che tuttavia avrebbe reiterato dopo alcuni anni), diede principio al suo insolito esperimento.
Nello stesso anno, ormai padrona di tutte le sue sostanze quale unica erede della casa in seguito alla morte dei genitori e alla rinuncia al mondo delle sorelle, la F. acquistava con atto notarile uno stabile, sito di fronte all'ospizio dei padri celestini, nella parrocchia di S. Zanino, e vi si ritirava a vivere in solitudine con una serva. Là, dopo che l'Alghisi l'ebbe dissuasa dal devolvere tutti i suoi beni ai poveri, riunì presso di sé, a partire dal 1714, tre donne nubili, M. Armanni, M. Siambinelli e S. Angeri, tutte appartenenti alla buona società bresciana, assieme con le quali, senza rinunciare definitivamente al mondo e professando privatamente voti semplici, intendeva condurre vita ritirata secondo una propria regola. L'esperimento era piuttosto innovativo: l'istituto, laico, voleva organizzare una sorta di vita contemplativa al secolo. Tuttavia una simile istanza si scontrava ancora con la mentalità dominante che prevedeva, soprattutto per le donne appartenenti alla classi alte, una vita monastica di tipo strettamente claustrale. Inoltre, la direzione spirituale affidata a un padre laico (l'Alghisi ebbe infatti per tutta la vita solamente i quattro voti minori) non metteva certamente la F. al riparo da critiche e sospetti. Tuttavia, le protezioni su cui doveva contare - e di cui non restano tracce - erano certamente influenti: l'istituto ebbe vita indisturbata, almeno finché visse la sua fondatrice e anche oltre, dal momento che superò indenne tutta una serie di soppressioni di pii istituti nei cento anni a venire.
Le "Figlie della Beata Vergine Maria" (questo era il titolo ufficiale dell'istituto, che appare tuttavia citato anche come "accademia", "ritiro", "casa di orazioni", "ragguardevole conservatorio") si distinguono per la loro originalità. Le Ordinazioni (ossia le costituzioni), redatte dalla F. con la supervisione dell'Alghisi, prevedono un regime severo, sull'impronta di quello monastico, con vita comune, messa quotidiana, comunione frequente, regola del silenzio. Tuttavia, era prevista l'uscita quotidiana per recarsi in chiesa e le visite ai parenti per gravi motivi, la presenza di persone di servizio e il pagamento di una pensione; l'abito, benché scuro e modesto, non era religioso; la governatrice esercitava da sola il potere amministrativo, l'autorità religiosa come quella morale all'interno; infine n0n vi era un superiore ecclesiastico. Pur non codificata, l'età prevista per l'ingresso era piuttosto avanzata, senza noviziato, e l'uscita definitiva dalla casa pia poteva avvenire ad libitum dell'interessata. La pensione era fissata a 52 scudi annui per le "comode", a cui si aggiungevano due o tre ragazze accolte gratuitamente, dette "povere", al cui mantenimento provvedeva la fondazione, ma che dovevano in cambio dedicarsi all'insegnamento.
Nel 1720, sempre per la realizzazione del suo progetto, la F. acquistava lo stabile della Badia, situato presso la parrocchia di Urago Mella, dove nel 1725 avrebbe fatto costruire un oratorio votivo all'Immacolata Concezione. Era questa la sede estiva del nuovo istituto. La polizza di famiglia, autografa, redatta nel 1721, rende conto dell'invidiabile posizione economica di cui godeva la F.: nubile, residente con una serva in contrada di S. Desiderio, in possesso di diversi stabili in Brescia e appezzamenti di importanza. Nel 1725 venne operata per una cataratta e due anni più tardi subì un intervento all'altro occhio, che tuttavia non dette il risultato sperato. Alla morte dell'Alghisi, avvenuta nel 1733, la F., nella veste di governatrice dell'istituto, nominò nella carica di confessore delle "sorelle Franzoni" il padre F. Dalola, dottore in teologia e predicatore di chiara fama, biografo a sua volta dell'Alghisi.
La F. si spense a Brescia, dopo una grave malattia, ormai quasi cieca, il 18 genn. 1744. Venne sepolta nella chiesa di S. Gaetano dei padri teatini di Brescia.
Con la sua morte, tuttavia, non si estinse l'istituto da lei voluto. Secondo il testamento della F., redatto il 27 apr. 1727, la Congregazione, pensata per ospitare "vergini di onesta famiglia, di sufficiente salute e di buoni costumi", passò nelle mani delle successive governatrici, in carica a vita e intestatarie di un fede commesso che assicurava loro la proprietà sui beni lasciati dalla Franzoni. Tuttavia non si può parlare di un vero successo dell'istituzione, contando essa fra i suoi membri una ventina in tutto di presenze dalla fondazione all'estinzione, avvenuta verso il 1820 quando, essendosi le "sorelle" ridotte al numero di tre, su intervento di E. Panzerini, ultima governatrice, tutte le sue sostanze vennero devolute al costituendo collegio di S. Maria degli Angeli, diretto dalle orsoline.
Degli scritti della F. resta la sola autobiografia, La relasione della sua anima, redatta nel 1734 e approvata - ma non sollecitata come invece accadeva d'abitudine - dal padre Dalola. Le Ordinazioni, invece, risultano autografe di S. Angeri, seconda governatrice dell'istituto, presso cui si conservava anche una biografia manoscritta redatta dal Dalola, Breve rilazione della vita di G. G. di Brescia. Tutto questo materiale, conservato presso l'archivio privato di monsignor Luigi Fossati (morto nel 1982) risulta attualmente irreperibile.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Brescia, Ufficio del censo bresciano antico, B. 61/b; Brescia; Arch. vescovile, Visite pastorali, vol. 89: "card. Angelo Maria Querini, parrocchia di Urago Mella", 11 sett. 1738, c. 30r; Ibid., Arch. Parrocchiale di S. Agata, Registro battezzati, vol. V, 1662-1692, p. 253; F. Dalola, Mem. spettanti alla vita del servo di Dio Paris Francesco Alghisi da Brescia, Firenze 1766, pp. 11, 28, 41, 47, 52; V. Peroni, Biblioteca bresciana, Bologna 1818-23, I, p. 27; II, pp. 3 s.; L. Fè d'Ostiani, Storia, tradiz. e arte nelle vie di Brescia, Brescia 1927, p. 263; P. Guerrini, La Congregazione dei padri della Pace, Brescia 1933, pp. 307, 311; L. Fossati, Beata Maria Crocifissa Di Rosa, fondatrice delle ancelle della carità in Brescia, Brescia 1940, p. 20; A.A. Monti Della Corte, Le famiglie del patriziato bresciano, Brescia 1960, s.v.; L. Fossati, in Mem. stor. della diocesi di Brescia, XXX (1963), pp. 103-119; Id., Le figlie della beata Maria Vergine di G. F. dette volgarmente "Sorelle Franzoni", ibid., pp. 171-194; C. Pasero, Il catastico bresciano di Giovanni da Lezze (1609-1610), Brescia 1969, p. 193; M. Berta, L'episcopato bresciano di G.A. Badoer (1706-1714), Università degli studi di Milano, tesi di laurea, a.a. 1972-73, p. 81; A. Fappani, Enciclopedia di Brescia, IV, Brescia 1981, p. 309.