GHŪL
. Essere demonico femminile di natura maligna, appartenente al numero dei Ginn malvagi e che secondo le credenze degli Arabi abitava luoghi deserti, seduceva con metamorfosi i viaggiatori che si avventurassero nelle solitudini, si concedeva loro, li sviava e li divorava. La menzione della G. occorre spessissimo nell'antica poesia degli Arabi ed essa è descritta come un orrido mostro dai denti aguzzi. La sua facoltà di trasformazione è divenuta proverbiale. Scienza naturale araba e teologia hanno teorizzato sulla sua natura, come su quella dei Ginn; al-Giāḥiz e al-Qazwīnī, ne parlano nei loro libri e alcuni teologi mu‛taziliti ne hanno negato l'esistenza. ad-Damirī (v.) s'intrattiene a lungo sui detti del Profeta circa la G., sui quali è questione (secondo una celebre tradizione il Profeta consigliava di recitare l'appello alla preghiera per mettere in fuga il mostro); nel Corano non ne occorre la menzione diretta. La credenza nella G. è scesa dall'antichità araba fino ai nostri giorni, ed è viva tra gli Arabi, e anche in varî popoli musulmani; credenze e racconti di orchi e di orchesse sono riferiti alle Ghūl. E G. ha preso anche il senso di cannibale, così spesso anche nella Mille e una notte, e nei racconti popolari. Anche oggi, in Egitto p. es., si crede tra il volgo che la G. frequenti luoghi deserti e cimiteri, si nutra di cadaveri e divori gli uomini. Sinonimo di Ghūl è Si‛lāh; il plurale è Aghwāl e Ghīlān.
Bibl.: J. Wellhausen, Reste arabischen Heidentums, 2ª ed., Berlino 1897; Th. Nöldeke, in Hastings, Encycl. of Religion a. Ethics, I, 670; Macdonald, in Encykl. de l'Islam, II, 175-76.