GHIRZA
Con questo nome arabo viene designato il più importante dei centri militari che i Romani, presumibilmente intorno alla fine del III sec. d. C., impiantarono in Tripolitania a difesa della zona coltivata. Già circa un secolo prima alcuni distaccamenti della terza legione Augusta erano stati collocati oltre il limite di detta zona, in alcune oasi (Bu Ngem, Gheriat, Gadames) a controllo delle carovaniere dell'interno, e con funzioni verosimilmente di polizia nei confronti delle tribù nomadi ancora sottomesse, ma evidentemente non più sicure (v. fezzan). Tutto fa supporre però che tali centri non fossero più funzionanti dal punto di vista militare, quando venne creata questa nuova fascia difensiva, arretrata rispetto alla precedente, ma molto più fitta, e con i singoli elementi scaglionati in profondità lungo le sponde degli uìdian predesertici.
Si è fatta l'ipotesi che questa sia stata una conseguenza dello scioglimento di tale legione, effettuato da Gordiano III nel 238; ma poiché la legione stessa venne ricostituita da Valeriano nel 253, si sarebbe piuttosto portati a supporre che al momento della costituzione della nuova fascia difensiva i nomadi avessero riacquistato la loro piena indipendenza, ed avessero dato inizio a quelle razzie devastatrici, che nel 363 li condussero sotto le mura frettolosamente erette di Leptis Magna. È comunque da tener presente che questi nuovi centri militari vennero presidiati non da legionari, ma da limitanei, i cui nomi, conservatici dalle iscrizioni, si rivelano di forma prettamente locale (a G.: Nasif, Mathlich, Nimir, Fydel, Thefylgum, Metusan, Chullam, Varnychsin, Maccurasan).
Non conosciamo la denominazione antica di G. ma sembra da escludere che possa essere identificata con la Γέρεισα ricordata in Tripolitania da Tolomeo. Infatti la costruzione dei castelli e delle case - oltre che delle tombe - dal carattere così strettamente simile, appare concentrata in un breve periodo; mentre nessuna traccia di abitati più antichi si rileva né nella zona stessa né in prossimità, cosa che non potrebbe mancare se la vita vi fosse cominciata parecchi secoli prima. Una precisa datazione della fondazione di G. - come anche degli altri stanziamenti militari coevi - non è però a tutt'oggi possibile. Unico elemento sicuro è la menzione della moneta detta follis, che appare in due iscrizioni della necropoli N, e che riporta questi monumenti non più indietro dell'età di Diocleziano. L'inorganicità della pianta per l'abitato e l'esistenza di due necropoli, possono però far suggerire la mancanza di una fondazione unitaria; pur tenendo fermo il punto che l'esecuzione della maggior parte delle costruzioni debba essere stata effettuata in un periodo di tempo relativamente assai ristretto.
Molto più arduo è tentare di fissare un termine ultimo. Infatti, mentre da un lato sembrerebbe doversi prendere in considerazione l'inizio delle grandi incursioni contro le città della costa, compiute dagli Austuriani a partire dalla metà del IV sec., le quali dovrebbero presupporre la rottura delle difese del limes, dall'altro la supposizione che in questo momento i limitanei abbiano defezionato e siano passati in massa al nemico, sembra confermata dall'assenza di qualunque traccia di cristianesimo - che non avrebbe potuto mancare almeno in età bizantina e dall'esistenza di numerose docunientazioni di vita per il primo periodo arabo. Né le fonti né le iscrizioni ci rivelano alcuna notizia storica su G., e siamo quindi costretti, in questo campo, a congetture basate su quanto può ricavarsi dall'esame dei monumenti e dai risultati degli scavi. Ora mentre anche qui nulla ci parla di cristianesimo, gli scavi del 1956 hanno rivelato elementi che farebbero supporre l'esistenza di una comunità nei primi secoli del dominio arabo.
Non sembra che le fonti arabe contengano notizie su G., e soltanto è tuttora viva sul posto la leggenda, che troviamo in tutta la Libia, della città che venne pietrificata per punizione divina, in seguito all'empio adempimento dell'incauto giuramento del sovrano. Così dobbiamo arrivare al principio del sec. XIX per trovare la prima menzione delle rovine di G. nella relazione di un viaggiatore inglese, il comandante W. H. Smith, che la visitò nel 1817 e ne parlò in una sua lettera del 27 marzo, pubblicata però soltanto nel 1854 (ma già riportata nell'opera del Beechey, nel 1828). Dopo di, lui furono nella zona il maggiore D. Denham nel 1825, il Barth nel 1854, il Méhier de Mathuisieulx nel 1903, il maggiore G. Bauer nel 1953, e, con numerose campagne dal 1952 al 1958, la missione inglese diretta da Mrs. O. Brogan con la collaborazione del Dipartimento delle Antichità della Tripolitania diretto da E. Vergara Caffarelli. Gli altri studiosi - ad eccezione di D. E. L. Haynes - che ne hanno parlato anche dottamente, l'hanno sempre fatto senza una visione diretta. Va però ricordato che G., probabilmente nel 1867, destò l'interesse di un, a noi ignoto, funzionario turco, il quale vi prelevò dodici rilievi di cui Carabella effendi, segretario del governatore Alī Riza Pascià, curò il trasporto a Costantinopoli, dove sono ora conservati in quel museo. Così pure, ufficiali italiani del presidio di Beni Ulid, nel decennio tra il 1930 e il 1940 trasportarono in quella cittadina tre rilievi, trasferiti in questi ultimi anni nel Museo Archeologico di Tripoli.
Tutto il complesso degli edifici romani, con la sola eccezione della necropoli S, giace sul lato sinistro dell'uadi G., a circa dieci km dalla confluenza dell'uadi Zemzem e a 240 in linea di aria a S-E di Tripoli. È costituito da due gruppi di abitazioni, separati da un piccolo affluente denominato Shabet el-Gsur, e da due necropoli monumentali, l'una prossima al centro abitato e l'altra situata a circa due km più a S, sull'altura che domina il lato opposto dell'uadi. Il centro abitato antico consta di 38 edifici di assai differente grandezza, 30 dei quali raccolti sulle pendici e sul pianoro settentrionale che fiancheggia a sinistra lo Shabet el-Gsur, è gli altri sulle alture della sponda opposta, alla confluenza di questa piccola vallata con l'uadi Ghirza.
La struttura dei muri è quasi sempre costituita da due paramenti di blocchi non molto grandi e squadrati rozzamente, i quali racchiudono un riempimento formato da un impasto di pietre e di fango. I soffitti erano pressocché senza eccezione di legno, e in alcuni casi rimangono i resti delle travi da cui erano costituiti. Il materiale per tutte queste costruzioni è un solido calcare facilmente lavorabile, le cui cave sono ancora visibili sul fianco destro dello Shabet el-Gsur, in prossimità dell'abitato; mentre il legno è stato riconosciuto per quello di una varietà di acacia che tuttora si trova sul posto. Nella grande maggioranza le case si presentano come piccole costruzioni aventi da una a cinque camere, quasi sempre con solo pianterreno: ma esiste anche una decina di imponenti edifici con cortile centrale e a vari piani, in uno dei quali sono stati contati fino ad ottanta ambienti. Per l'impiego degli edifici stessi, tenendo presente che gli abitanti di G. erano esclusivamente libici, si può supporre che in quelli minori ogni nucleo familiare occupasse un solo ambiente, con una parte del cortile comune; e che le provviste venissero raccolte in uno dei magazzini, aventi la funzione di magazzini della comunità, come ancora usano i berberi del Gebel. Case del genere erano però difficilmente difendibili; pertanto, in caso di incursione nemica gli abitanti presumibilmente le evacuavano e si raccoglievano negli edifici maggiori predisposti a questo scopo, i quali venivano a costituire delle vere e proprie fortezze, di assai difficile espugnazione da parte di bande di nomadi. Alcuni di questi edifici maggiori mostrano però di aver avuto anche qualche altra funzione: così uno con un portico interno che per le strutture, per l'esistenza di una singolare pittura, e per il trovamento di piccole are con iscrizioni in caratteri libici, si palesa di indubbia destinazione religiosa.
Poiché l'acqua della zona è salmastra - come i Romani stessi avevano potuto constatare con lo scavo di due pozzi, uno dei quali è stato rimesso in efficienza nel 1951 l'approvvigionamento idrico era effettuato mediante cisterne, che raccoglievano l'acqua piovana per mezzo di sbarramenti di pietre e successive vasche di decantazione. Tre di queste cisterne appartengono al complesso settentrionale e due a quello meridionale, che abbiamo visto meno fittamente abitato.
Non è agevole calcolare a quanto potesse ammontare la popolazione di G., ma non c'è dubbio che il complesso delle famiglie, che occupavano gli edifici sopra ricordati, dovesse arrivare a parecchie centinaia di persone. Per consentire la vita a tutta questa gente, il letto dell'uadi G. e quello di un suo piccolo affluente di destra, erano stati sbarrati da sponda a sponda con una serie di robusti muri costituiti di pietre disposte a secco, i quali trattenevano l'acqua delle piogge, in modo da causarne il più completo assorbimento da parte di quell'unico tratto di fertile terreno. Gli sbarramenti distavano l'uno dall'altro 50-70 m, e ne sono stati contati i resti di trentaquattro nell'uadi G., di sei nell'affluente sopra ricordato e di tre in un'anfrattuosità della sponda opposta; ma naturalmente altri possono essere scomparsi. È stato calcolato che il complesso dell'area coltivata doveva superare i 250 ettari, che dobbiamo immaginare fitti di olivi, di mandorli e di palme (alcuni di questi alberi sono rappresentati nei rilievi delle tombe, e i resti di un frantoio ancora appaiono in uno dei grandi castelli).
Negli anni poi in cui la pioggia cadeva nella stagione adatta, nella stessa area e in quella più a monte si potevano ottenere abbondanti raccolti di cereali, come i nomadi che abitano nella zona riescono a fare ancora oggi. Un'iscrizione rinvenuta presso la tomba A della necropoli N e concernente un grandioso sacrificio di tori e di capre, ci conferma poi che l'attività caratteristica di questi ultimi, la pastorizia, era ampiamente praticata in età romana; e doveva quindi dare un notevole contributo all'alimentazione della collettività.
L'interesse eccezionale che G. ha destato fin dal momento della scoperta non è però dovuto a nessuno degli elementi fin qui ricordati, ma alle sue due necropoli monumentali. Di queste, come abbiamo già accennato, la settentrionale sorge sulla riva sinistra dell'uadi, a poche centinaia di metri dal centro abitato; la meridionale, invece, sulla sponda opposta, a circa due km di distanza. Tranne un'unica eccezione, le tombe sono costituite da un'edicola nella quale le colonne che sorgono da un alto podio sorreggono archetti sovente decorati con rappresentazioni figurate, sopra i quali è un fregio parimenti decorato, mentre sull'alto del tetto si svolge una serie di acroteri a volute e a palmette. Al centro è una finta cella (che nelle tombe più piccole si riduce ad un pilastro quadrangolare) sulla cui fronte è di regola scolpita una porta di carattere palesemente simbolico. Una variante di questo tipo, di cui esiste un solo esemplare, è la forma a tempio; ma in sostanza la differenza, a parte la maggiore grandezza, consiste nella presenza degli architravi al posto degli archi. È comunque da tener presente che gli archi non sono formati di conci, ma appaiono sempre ricavati in un unico blocco di calcare, con una funzione quindi puramente figurativa e non costruttiva. La sola tomba in tutto diversa dalle altre (ma della quale si trovano numerosi altri esempi in Tripolitania) è la più meridionale della necropoli S. È costituita da una torre parallelepipeda terminante con un'altissima guglia, la quale, quando l'edificio era intatto (è stato purtroppo parzialmente abbattuto dal terremoto del 1935) raggiungeva quasi i 15 m.
Ognuna delle due necropoli conta sette tombe: quelle della necropoli settentrionale sono disposte lungo una linea N-S ed orientate in modo che le facciate con le gradinate e le porte simboliche prospettino tutte verso E: l'ingresso alle camere sepolcrali è a metà del lato S (tranne la tomba [?] G, la quale è inoltre fuori allineamento). Le tombe della necropoli meridionale sono invece disposte secondo allineamenti parziali E-O, e nessuna è provvista di gradinata, mentre solo la tomba A (quella a guglia) e la tomba E avevano la porta simbolica; rivolta a N nella tomba A e forse anche nella E; gli ingressi alle camere sepolcrali sono invece in alcune nel lato N (tomba A, C, D) e in altre nel lato E (tomba [?] B, tombe E, F, G). In tutte le tombe la camera sepolcrale è sotterranea ed è contenuta nell'interno del podio; la porticina d'accesso, provvista di una chiusura a calatoia costituita da una lastra di pietra, si apre, sotto il livello del suolo, nella parte inferiore della zoccolatura del podio stesso. Le dimensioni estremamente ridotte di alcune camere, costituiscono una prova che il rito usato era quello dell'incinerazione. In tutte le tombe poi (ad eccezione forse di due o tre) troviamo un singolare elemento che si riferisce ad una speciale cerimonia religiosa. Infatti, quelle che hanno una gradinata o un podio di modesta altezza, mostrano davanti alla porta simbolica una vaschetta con un canaletto che scende verso la camera sepolcrale; nelle altre troviamo invece un solco sull'orlo della zoccolatura (qui la vaschetta doveva essere applicata, ma è scomparsa) che dopo aver percorso due mezzi lati del podio, giusto in corrispondenza della porticina, va anche esso alla camera sepolcrale. Lo scopo era quello di versarvi un liquido sacro, secondo un rito di cui non mancano altri esempi coevi anche in Tripolitania; e pertanto talvolta, nell'interno della camera, questo canaletto mostra caratteristiche diramazioni che certo avevano lo scopo di condurre il liquido stesso in corrispondenza delle singole urne cinerarie. È da tener presente che il posto in cui veniva versato il liquido, essendo davanti alla porta simbolica, si trova sempre nel lato orientale, e anche nell'unico caso in cui tale porta non è ad E (tomba A della necropoli S), lo è, però, il punto di partenza del canaletto. Questa regola (con la sola eccezione delle tombe F e G della necropoli meridionale, che sembra avessero le vaschette sul lato N) si trova perciò applicata anche alle tombe nelle quali tale porta non esiste.
Delle quattordici tombe (di cui però due non è proprio sicuro che lo siano: v. più avanti) ne rimangono oggi in piedi, più o meno complete, tre nella necropoli settentrionale e due in quella meridionale (nell'anno 1958 una terza, appartenente a quest'ultima necropoli, è stata smontata e trasportata a Tripoli, dove è stata ricostruita in una sala del Museo Archeologico). Le altre sono ridotte allo stato di rudero; ma è interessante osservare che tra queste ne compaiono due, una per ciascuna necropoli (G del lato N e B del lato S) di struttura tutta particolare, e con alcuni elementi (la porticina dà su un ambiente al quale si scende da un ingresso laterale) che le differenziano tanto profondamente dalle altre, da fare addirittura dubitare che possa trattarsi di tombe vere e proprie. Inoltre queste due sono costruite con piccoli blocchi irregolari, che ci riportano in qualche modo alla tecnica adoperata negli edifici del centro abitato; nelle altre invece, l'opera a sacco è rivestita con bei blocchi di calcare regolarmente squadrati. Anche le colonne, i capitelli, i rilievi ornamentali e figurati, sono scolpiti nello stesso materiale, che ha assunto una bellissima patina di colore giallo rossastro. Per la necropoli settentrionale vennero utilizzate le stesse cave che erano servite per gli edifici del centro abitato; per l'altra venne aperta un'apposita cava, in prossimità del luogo dove furono erette le tombe. Dal punto di vista architettonico, la tomba a guglia si riallaccia a tipi ben conosciuti del I o del II sec. (Sarsina, Igel; v. monumento sepolcrale), mentre quelle ad edicola, con l'alto podio, le brevi colonne e il misurato ritmo degli archetti, sono espressione di una sensibilità già completamente inquadrata nell'arte nuova, della quale manifestano in modo particolare la componente di origine orientale. Un problema di non facile soluzione è quello posto dall'esistenza di due necropoli, apparentemente della medesima età, le quali si riferiscono entrambe allo stesso centro abitato. La cosa è veramente singolare, quando si pensi che una delle due non doveva essere molto comodamente accessibile, trovandosi ad una discreta distanza dal centro stesso. È però da tener presente che le tombe a guglia che si trovano in Tripolitania - quali quelle di Msellatim, di Gadames, e, più caratteristiche di ogni altra, quelle dell'uadi Nefed - sono tutte, senza alcuna eccezione, costruite sul sommo di alture, in modo da apparire visibili a grandissima distanza; ed è quindi da supporre che costituissero una specie di segnale per le carovane che percorrevano le sterminate solitudini della zona predesertica. Ora, anche a G., l'unico esemplare di questo tipo di tomba si trova in una posizione dominante; cosicché sembra che si possa fondatamente supporre che la prima ad essere costruita fosse la necropoli meridionale, la quale sorse accanto all'altissima tomba-segnale; e che successivamente ragioni di comodità suggerissero, per le nuove tombe, una zona molto più vicina al centro abitato.
Ma indubbiamente la parte più importante delle tombe di G. è costituita dai rilievi di cui sono copiosamente ornate, con l'unica eccezione delle due presunte tombe testé ricordate (di queste, in verità, manca ogni traccia dell'elevato) e della tomba F della necropoli N. Di estremo interesse sono anche i capitelli, che si presentano in forme svariatissime. Valga in proposito una sommaria elencazione degli elementi principali.
Necropoli N. - Tomba A (così detta tomba a tempio o dorica): tetrastila con cinque colonne sul fianco e rozzo fregio dorico con rosette nelle metope; sulla fronte della cella, scena di sacrificio, busto di defunti, leone che assale un toro, iscrizione. I capitelli sono a cesto, con strani ovoli e volute angolari. È l'unica che ha la particolarità di avere due camere sepolcrali sovrapposte, di cui la superiore ricavata dalla cella, forse in un secondo periodo.
Tomba B: cinque colonne per lato; sugli archetti e sul fregio una monomachia, Vittorie volanti, scene di aratura, mietitura, trebbiatura, combattimenti con animali (venationes?), scena di giudizio (?), carovana, iscrizione. Gli acroteri angolari sono statuette di Vittorie. I capitelli sono di tipo composito.
Tomba C: quattro colonne per lato; nel fregio scene di aratura, mietitura, cacce, cavalcate, scena familiare (?), scena di giudizio (?), palme, carri, iscrizione. Gli acroteri angolari sono statuette di sirene alate. I capitelli sono di tipo corinzio.
Tomba D: due colonne per lato; sugli archetti e sul fregio palme, struzzi, uva, pesci.
Tomba E: tre colonne per lato; sul fregio caccia allo struzzo, un uomo che conduce un cammello e poi pavoni, cani, cervi; i capitelli sono di tipo corinzio ma con la parte superiore con fasce a croce o con zone e figuraziom a linea rilevata.
Tomba F: cinque colonne per lato, sul fregio rozzissimi triglifi. I capitelli sono cilindrici, con foglie stilizzate e dischi superficialmente incisi.
Tomba (?) G: manca ogni traccia dell'elevato.
Necropoli S. - Tomba A: (a guglia), con nicchia contenente due statue; sul fregio sotto la nicchia ritratti di defunti, figura volante (?), sulla porta resta un'elegante protome leonina con anello in bocca. Era coronata da un grande capitello sormontato da una pigna.
Tomba (?) B: manca ogni traccia dell'elevato.
Tomba C: tre colonne per lato; sul fregio scene di aratura, carovana, pesci attorno a una rosetta, pavone, fallo, tre busti di defunti. I capitelli sono di tipo corinzio molto elaborato, con testine umane e grappoli d'uva.
Tomba D: tre colonne per lato; sul fregio due busti di defunti; leoni affrontati che sorreggono un bucranio, venatio con cervo (?), animali vari, figure umane, sfinge, albero di olivo (?). I capitelli sono di tipo corinzio con testine umane.
Tomba E: tre colonne per lato; sul fregio due busti di defunti, pesci e rosette, aquila, figure umane, leone, cavalli, caccia allo struzzo; sulla porta è raffigurata la serratura.
Tomba F: due colonne per lato; sugli archetti e sul fregio: combattimenti, caccia, pesce, struzzo, palma, uccelli, uva, melograni. Capitelli di tipo composito con rosette.
Tomba G: (ricostruita nel museo di Tripoli) sugli archetti e sul fregio: due busti di defunti, leoni affrontati con bucranio, scena di vendemmia (?), pesce grande che mangia uno più piccolo, due uccelli e lepri, militari, cammelli, palma, uva, scene di caccia. I capitelli sono di tipo composito con testine umane e rosette.
Come si vede, abbondano le scene legate alla vita reale; ma neppure mancano altre di carattere puramente simbolico, che però non sempre sono confrontabili con quelle comunemente conosciute. L'esecuzione è quasi sempre rozza, e talora rozzissima; talché appare chiaramente l'estrema modestia degli artefici. Ma è interessante osservare che tali artefici operano non soltanto al di fuori del mondo classico - mentre non sarebbe stata pretesa eccessiva attendersi nelle loro creazioni qualche elemento classico attardato - ma anche al di fuori delle correnti artistiche che conosciamo operanti nel bacino del Mediterraneo tra il III e il IV sec. d. C. Infatti, se nella stessa tomba la discordanza tra la rigorosa stilizzazione di evidente carattere orientale di alcune parti e la mollezza e l'inorganicità di altre è da attribuirsi all'inabilità ed alla povertà spirituale degli esecutori, gli elementi che rivelano l'influenza di un'arte matura e pienamente padrona dei suoi mezzi espressivi ci riescono di difficilissima localizzazione. A questo proposito sono particolarmente significativi alcuni rilievi della necropoli S, quali i leoni reggenti il bucranio (tombe D e G) e l'aquila ad ali spiegate (Tomba E) che, come creazione, superano completamente le modeste possibilità degli artefici di G., e ci richiamano prototipi ancora non conosciuti.
Assolutamente uniche nel loro genere, anche se di tutt'altro spirito, sono poi le due statue (necropoli S - tomba A) nelle quali si rivela una potenza espressiva che culmina nella testa della donna con le guance gonfie e i grandi occhi sbarrati. Frutto di sfrenata fantasia sono poi alcuni capitelli, nei quali la sovrabbondanza degli elementi compositivi manifesta un compiacimento addirittura di carattere infantile. Ma i solenni mausolei non esauriscono le possibilità di seppellimento della popolazione, e così le loro sculture il campo delle manifestazioni artistiche di Ghirza. Tre modeste necropoli, nelle quali le tombe sono contraddistinte da cerchi di pietre, si possono riconoscere a breve distanza dal gruppo dei castelli; tutte sull'altura che fiancheggia a destra lo Shabet el-Gsur. E mentre in molti cerchi è stata rinvenuta un'assai piccola ara parallelepipeda decorata nei fianchi con graffiti geometrici, e che porta nel piano superiore incavi circolari per le offerte, in taluni sono stati ritrovati elementi cilindrici, nella parte superiore dei quali è raffigurato un volto umano di eccezionale schematizzazione. Ma con queste opere, per quanto talvolta vivamente suggestive, ci troviamo fuori di qualunque possibile inquadramento di carattere stilistico.
In un campo di ricerche ancora più umili ci portano i quattro grandi mucchi di rifiuti esistenti al margine orientale e meridionale degli edifici che sorgono sulla stessa altura. Ma l'esplorazione di questi è stata appena iniziata, ed inoltre è ancora in corso lo studio del materiale recuperato.
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