GHETTO
. Si chiama così, dal sec. XVI in poi, un quartiere cittadino destinato a essere dimora coattiva degli Ebrei, chiuso d'ogni intorno, all'infuori di una o più porte che lo mettono in comunicazione col resto della città e che vengono chiuse anch'esse durante la notte. Talvolta il vocabolo si adopera impropriamente per designare ogni quartiere ebraico in genere, anche se non chiuso, e anche se la dimora degli Ebrei in esso non è coattiva, ma spontanea. L'esistenza di quartieri ebraici, di cui si trovano esempî dappertutto dall'antichità ai nostri giorni, trova la sua spiegazione nel desiderio naturale in ogni uomo di ricercare la prossimità delle persone a lui legate da vincoli di sangue o di particolare amicizia e da comunanza di usi e costumi; talvolta vi hanno contribuito altresì il desiderio di conservare meglio in un ambiente omogeneo le proprie caratteristiche forme di vita, la ricerca di maggiori possibilità di difesa contro eventuali attacchi ostili, e anche motivi d'indole economica. Nel Medioevo viene a cooperare nel medesimo senso anche la tendenza della Chiesa ad evitare, per il pericolo che potrebbe insorgerne per la saldezza della coscienza religiosa, rapporti troppo intimi della popolazione cristiana con gli Ebrei. Diversi concilî vietarono ai cristiani di dimorare in mezzo agli Ebrei, ovvero obbligarono gli Ebrei a dimorare in quartieri separati da quelli dei cristiani. Quartieri ebraici chiusi nel modo suindicato si conoscono a partire dal sec. XIII in varî paesi europei, come in Germania, in Spagna e in Portogallo. In Italia si hanno fin dall'antichita esempî di quartieri ebraici costituitisi per spontanea volontà degli Ebrei, e il sistema si continua nel Medioevo (si ricordino, ad esempio le "giudaiche" delle città del Mezzogiorno e l'isola della Giudecca a Venezia, se veramente questa, come pare, deve il suo nome ai giudei). L'obbligo coattivo di dimorare in un quartiere chiuso si trova in vigore a Torino fin dal principio del sec. XV. A Venezia una simile misura fu attuata nel 1516: gli Ebrei furono obbligati a raccogliersi in una località che fu appositamente chiusa, e che già prima recava il nome di getto o ghetto. Questo nome, originariamente proprio del quartiere ebraico di Venezia, si estese poi a tutti i quartieri ebraici del medesimo tipo. L'istituzione si diffuse in tutta Italia nel periodo della Controriforma. Vivo era nei dirigenti il movimento della Controriforma il timore che i rapporti di amicizia e di familiarità fra Ebrei e cristiani, frequenti e intimi in Italia nell'epoca del Rinascimento, potessero costituire un pericolo per la purezza della fede cristiana, e che idee novatrici o eterodosse potessero trovare facile adito nell'animo di chi fosse abituato ad avere cordiali relazioni coi seguaci della religione giudaica. Sembrò opportuno però di restringere la libertà di cui gli Ebrei avevano fino allora ampiamente goduto e di rendere meno frequenti i contatti fra loro e la popolazione cristiana, con la precisa osservanza di tutte le precedenti disposizioni in proposito, fra cui quella relativa ai quartieri segregati. Paolo IV ordinava nel 1555 che in Roma e in ogni altra località del suo stato gli Ebrei fossero tenuti a dimorare in un quartiere separato e chiuso, e la disposizione fu subito attuata. Pio V confermò tali misure nel 1566 e si adoperò affinché esse fossero adottate anche negli altri stati italiani. Alcuni di questi aderirono subito, vivente Pio V, altri più tardi. Entro i primi decenni del sec. XVII, l'istituzione del ghetto era già attuata in tutte le località italiane abitate da Ebrei, all'infuori di Livorno, dove cominciava a formarsi con larghi privilegi una nuova comunita ebraica, alla quale comunque erano riservate determinate strade. I ghetti erano di solito quartieri angusti e malsani, dove la mancanza di spazio costringeva ad aumentare quanto più fosse possibile l'altezza delle costruzioni e a ridurre al minimo l'ampiezza delle strade, sì che aria e luce scarseggiavano sempre entro le case. Gli Ebrei naturalmente sentirono la segregazione nel ghetto come una grande sventura; in alcuni casì però essa apparve loro come un mezzo di sicurezza contro il malanimo delle popolazioni e contro i pericoli di dissolvimento delle loro costumanze religiose: così ad esempio gli Ebrei di Verona solevano celebrare annualmente come una festa il giorno anniversario della loro chiusura nel ghetto. E così, fuori d'Italia, l'erudito rabbino Yōm-Ṭōb Lippmann Heller considerava come un suo titolo di merito l'aver contribuito all'istituzione del ghetto di Vienna. L'emancipazione degli Ebrei, iniziatasi con la Rivoluzione francese, e compiutasi, dove più presto, dove più tardi, nel corso del sec. XIX, schiuse agli Ebrei le porte dei ghetti. Nella maggior parte delle città italiane i risanamenti edilizî hanno portato con sé l'abbattimento degli antichi quartieri ebraici. Oggi ne sussistono pochissimi, come quello di Venezia, non più, del resto, abitato esclusivamente da Ebrei.
Molto è stato fantasticato sull'etimologia del vocabolo ghetto: si è pensato all'ebraico gēt (scritta di divorzio), al greco γείτων (vicino), al tedesco geheckter [Ort] (luogo recinto) al gotico gatvo (strada), all'italiano [bor]ghetto o al dialettale guetto, guitto, ma son tutti tentativi fallaci. È invece sicuro che il vocabolo deriva dal nome della surricordata località veneziana, comunque debba poi essere inteso il senso di questo.
Bibl.: J. E. Scherer, Die Rechtsverhältnisse der Juden in der deutsch-österr., Ländern, Lipsia 1901, pp. 44-45, e passim; J. Abrahams, Jewish Life in the Middle Ages, Londra 1896, p. 62 segg.; Vogelstein-Rieger, Geschichte der Juden in Rom, II, Berlino 1895-1896, pp. 153-154, 291 segg., e passim; E. Teza, in Atti del R. Istituto veneto, 1903-1904, parte 2ª, Venezia 1904, p. 1273 segg.; U. Cassuto, in Vessillo Israelitico, LV, p. 150 segg.; idem, Gli ebrei a Firenze nell'età del Rinascimento, Firenze 1918, p. 98 segg.; C. Roth, in Revue des études juives, LXXIX, p. 163 segg.; id., History of the jews in Venice, Filadelfia 1930, passim; L. Wirth, The Ghetto, Chicago 1929.