GHETTI
Famiglia di scultori, marmorari e decoratori di origine carrarese attivi a Napoli e nell'Italia meridionale dalla fine del XVII agli anni Settanta del XVIII secolo. La prima testimonianza della presenza di Pietro nella città partenopea è la firma e la data 1671 che egli appose sulla base della statua di S. Francesco Borgia, nella cappella Brancaccio al Gesù Vecchio. Tuttavia, la sua presenza e quella del fratello Bartolomeo a Napoli è certamente anteriore a questo lavoro; inoltre, già dal 1681 essi risultano regolarmente iscritti alla locale corporazione dei maestri scultori e marmorari.
I due erano originari di Carrara e non è escluso che fosse un loro congiunto quel Santi Ghetti, mercante di pietra e scalpellino di origine carrarese, attivo al Roma almeno dal 1615 all'anno della morte (1656). Dopo un più che probabile periodo di formazione a Roma, testimoniato dal linguaggio berniniano che dimostrarono di possedere, i due si stabilirono a Napoli; la loro documentata presenza in città coincise, del resto, con quella di Luigi Bernini (fratello di Gian Lorenzo) che, esiliato da Roma, soggiornò nel 1671 a Napoli influenzando ulteriormente gli artisti di gusto berniniano.
Nell'agosto del 1678 Bartolomeo ricevette 30 ducati da padre Paolo Calabria per due capitelli di marmo bianco per la cappella di S. Francesco Borgia al Gesù Vecchio. Sempre nel 1678 i due fratelli ricevettero l'importante incarico del Monumento funebre del cardinale Innico Caracciolo, che il committente stesso si fece innalzare nel transetto del duomo napoletano.
Il monumento appare inserito in una edicola corinzia, con un enorme drappo in marmo rosso di Spagna spalancato da tre carnosi putti allegorici (uno dei quali con la faretra vuota) e con il ritratto di tre quarti del porporato; mentre alla base, sorgendo da un cuscino (con nappe) che ostenta il cappello cardinalizio, uno scheletro ghignante inalbera la inesorabile clessidra del tempo, che tutto spegne e annienta. Quest'opera di assoluta sintesi berniniana, si conclude alla base, su marmo nero, con la succinta epigrafe dettata dal cardinale e con la data 1678. Quattro anni dopo Bartolomeo ricevette dal Caracciolo (che morì nel gennaio del 1685) il pagamento "per una cascia di marmo con coverchio e lettere" (Strazzullo, p. 8).
Nel 1679 Pietro e Bartolomeo, che lavorarono quasi sempre in fedele partnership, posero mano alla lunga e complessa impresa decorativa della navata di S. Maria dei Miracoli, lavori ai quali attesero sino al 1687: sull'alta "cona" dell'altare maggiore (la parte plastica decorante la parete dell'altare) i due fratelli posero il solito drappo in marmo rosso, denso di gonfie pieghe teatrali, sorretto da bianchissimi cherubini. Nello stesso anno essi avviarono un altro dei loro cantieri a lunga durata: su commissione di Margherita Caracciolo, badessa di S. Andrea delle Dame, avviarono i lavori decorativi e plastici all'interno del monastero, uno dei più prestigiosi di Napoli. L'impresa fu portata a termine nel 1694 e venne eseguita su disegno di G.D. Vinaccia. Sotto la guida di questo geniale architetto, Pietro e Bartolomeo alla fine del 1679 lavorarono in S. Giuseppe dei Ruffo, anche lì spalancando, al sommo dell'alta cona, un ampio drappo, i cui viluppi sono sorretti da carnosi cherubini, ripetendo il modulo del Bernini della sala ducale in Vaticano.
Negli anni 1683-84 i due fratelli realizzarono l'altare maggiore di S. Maria Donnaromita: nell'84 lavorarono a una imprecisata cappella in S. Giovanni Battista delle Monache a via Costantinopoli e in S. Domenico Maggiore (Rizzo, 1984, p. 105). L'anno seguente Pietro scolpì, in uno stile tra classicismo e barocco, due sculture allegoriche a grandezza umana (la Carità e la Religione) che vennero poste accanto ai tre dipinti di L. Giordano con Episodi della vita di s. Agostino, nella cappella intitolata al santo in S. Maria Regina Coeli. Dall'ottobre del 1686, e fino all'aprile del 1688, Pietro e Bartolomeo lavorarono su disegno dell'architetto F.A. Picchiatti al berniniano Monumento funebre dei cardinali Francesco Maria e Stefano Brancaccio, nella cappella omonima, che nel 1691 venne riprodotto in una incisione disegnata da Achille Leve.
Nel 1687 i due fratelli eseguirono interventi non meglio identificati nella chiesa napoletana di S. Michele (Rizzo, 1984, pp. 105 s.) e, l'anno seguente, nel duomo di Napoli, iniziarono i lavori in marmo dell'altare Loffredo, in concomitanza con la tela centrale (S. Giorgio e il drago) di F. Solimena. Nel 1689 ricevettero 40 ducati per lavori al pavimento dell'altare maggiore di S. Giovanni delle Monache. Nello stesso anno lavorarono anche a Rodi Garganico dove realizzarono rivestimenti marmorei per il palazzo del marchese di San Marco (Rizzo, 1984, p. 106). L'anno seguente iniziarono numerosi lavori decorativi, conclusi nel 1707, per diversi altari e cappelle della chiesa dei Girolomini di Napoli. Sempre nel 1690 iniziarono in S. Gregorio Armeno, su commissione della badessa Margherita Grisone, lavori di decorazione (marmi mischi) nella cappella del Martirio di s. Giovanni Battista e in quella dedicata a S. Benedetto; gli interventi si protrassero sino al 1725. Al 1690 risalgono anche alcune loro ornamentazioni marmoree in S. Maria di Monteoliveto dei Lombardi, sempre a Napoli.
Gli anni Novanta videro i due fratelli impegnati in numerosissime commissioni, soprattutto a Napoli; nello stesso periodo iniziarono ad associarsi, nelle varie botteghe e cantieri, i figli di Bartolomeo: Andrea, probabilmente il maggiore, Giovanni Francesco e Nicola, oltre ad Antonio Passeri (attivo con i G. almeno dall'ottobre del 1721), che sposò Agnese, loro sorella.
Su commissione del canonico Antonio Sanfelice, Bartolomeo nel 1692 lavorò alla lapide del canonico Giacomo Cangiano che si trova nella basilica di S. Restituta in duomo. Nello stesso anno i due fratelli lavorarono all'altare maggiore di marmi mischi della chiesa del Rosariello alle Pigne a via Foria; inoltre, sul preesistente portale rinascimentale del Gesù Nuovo, realizzarono la decorazione ornamentale e plastica, portata a termine l'anno seguente, in partnership con lo scultore Agostino De Felici (Amirante).
Il 10 genn. 1693 Bartolomeo ricevette 18 ducati per i marmi mischi delle cappelle del S. Crocifisso e di S. Maria Maddalena dei Pazzi nella chiesa dei Girolomini; il 13 febbr. 1693 insieme con il fratello venne pagato 1300 ducati per i grandi pilastri in marmi commessi in S. Gregorio Armeno, secondo quanto stabilito nel 1690; il 14 agosto padre Ottaviano Caracciolo, gesuita, versò loro 64 ducati (a conto di 114) "per due capitelli di marmo di ordine composito lavorati in Carrara da Giuseppe Poli… per servizio delle due colonne da ponersi nella porta maggiore della chiesa del Gesù nuovo di Napoli"; tra l'ottobre e il dicembre del 1693 il solo Bartolomeo - che in quell'anno ricoprì la carica di console dell'arte degli scultori e marmorari - ricevette 500 ducati per l'altare maggiore di S. Nicola al Molo.
Nel 1694 Bartolomeo ricevette 100 ducati di acconto per la balaustra dell'altare maggiore, realizzata su disegno di Arcangelo Guglielmelli, in S. Maria della Verità (Amirante, p. 110). L'anno seguente fece venire da Carrara i capitelli corinzi per la facciata della chiesa dei Girolomini. Nel 1696, il 28 maggio, i due fratelli ricevettero 100 ducati da Teresa ed Emilia Capece per aver fornito marmi per il pavimento della chiesa di Regina Coeli; nello stesso anno lavorarono alla fontana, detta del Satiro, del giardino di Francesco D'Andrea a S. Carlo alle Mortelle (Rizzo, 1983, p. 230). Intanto eseguirono lavori vari di decorazione marmorea in S. Maria Egiziaca a Pizzofalcone (Id., 1984, p. 106) e il 20 dic. 1697 Pietro ricevette 5 ducati per aver accomodato statue antiche per il reggente Gennaro d'Andrea. Nello stesso anno i due lavorarono alla cappella di S. Giacomo in S. Caterina a Formiello; nel 1698 eseguirono una perduta lapide sepolcrale per Giulia Gattola (ibid., p. 106) e lavorarono all'altare maggiore della chiesa di S. Francesco, in Aversa; contemporaneamente iniziarono, in collaborazione con il maestro marmoraro Giuseppe Gallo, la serie di lunghi interventi nella chiesa napoletana di Gesù e Maria (altare maggiore, pavimento, scalea e facciata), terminati nel 1728.
Un altro lungo cantiere i due fratelli lo allestirono in S. Domenico Maggiore realizzando la magnifica cappella Milano nella grande sacrestia, ma anche il pavimento dell'altare maggiore e altri interventi. Sempre nel 1698 eseguirono lavori vari nella chiesa di S. Antonio Abate e l'anno seguente decorarono di marmi la cappella di don Gaetano Bruno nella cattedrale di Cerce Maggiore (Campobasso). Nella chiesa napoletana di S. Girolamo delle Monache eseguirono il magnifico altare maggiore al di sotto di una tela di Solimena (1699). Nello stesso anno lavorarono a varie statue per don Francesco Cameo nella chiesa dell'Annunziata.
Nel gennaio del 1700 Giovanni Maria Maneri pagò a Pietro 15 ducati, che vennero riscossi dal nipote Andrea, per un altare di marmo per la cappella del Rosario nella chiesa di Arzano (Napoli). L'anno seguente Pietro ricevette 60 ducati per un Epitaffio di marmo bianco (con iscrizione, cornice e impresa) per papa Innocenzo XII, che fu posto sulla porta del seminario arcivescovile di Napoli. Il 27 ott. 1703 il marchese di San Giorgio pagò 75 ducati ai due fratelli "per l'opera fatta e facienda" nella cappella Milano in S. Domenico.
Negli anni 1704 e 1705 Pietro scolpì i ritratti di Domenico Sorrentino e di sua moglie Margherita Gentile, per la cappella del Crocifisso in S. Maria del Rifugio ai Tribunali. Nello stesso periodo i due fratelli lavorarono alla cappella del Crocifisso e all'altare maggiore della chiesa dell'Annunziata di Airola. Il 7 giugno 1704 Pietro venne chiamato, insieme con lo scultore Giacomo Colombo, a dirimere una controversia sorta tra il maestro marmoraro Gennaro Ragozzino e la chiesa della Ss. Annunziata di Marcianise di Capua.
Negli anni 1705 e 1706 i due fratelli, dietro il compenso di 850 ducati, eseguirono un grande altare nella cappella dei Martiri, con pavimento antistante, nella chiesa del monastero di S. Pietro Martire. Il 27 ott. 1706 Giovanni Francesco, figlio di Bartolomeo, riscosse per il padre e lo zio 50 ducati a completamento dei 3000 pattuiti per i lavori (pressoché terminati) alla cappella Milano in S. Domenico Maggiore; l'11 settembre i tre ricevettero 345 ducati per le "riggiole" in marmo fatte venire da Carrara per la certosa di S. Lorenzo in Padula; mentre il 1° dicembre padre Ludovico Iannucci pagò ad Andrea 40 ducati per decorazioni e accomodi alla balaustra marmorea del cappellone di S. Tommaso d'Aquino in S. Domenico Maggiore. L'anno seguente l'altro figlio di Bartolomeo, Nicola, affiancò Pietro nella magnifica Tomba del marchese d'Umbratico Giuseppe Rovigno in S. Agostino degli Scalzi.
L'opera presenta uno dei più rilevanti ritratti napoletani del primo quarto del Settecento, che servì indubbiamente da lezione ai grandi scultori partenopei successivi, da D.A. Vaccaro a Matteo Bottigliero. Commissionato da Carlo Carafa di Moncalvo, questo monumento sepolcrale denso di decorazioni araldiche (tra cui la croce di Calatrava) fu realizzato anche grazie all'apporto di Giovanni Francesco, come risulta dai pagamenti effettuati presso il Banco dello Spirito Santo nel luglio del 1707.
Al 15 dic. 1708 (Rizzo, 1983, p. 231) risale l'ultimo atto oggi noto, relativo alla pavimentazione della sacrestia di S. Domenico Maggiore, in cui è menzionato Bartolomeo, la cui morte avvenne plausibilmente alla fine del 1708. Per circa vent'anni Pietro portò avanti la bottega insieme con i figli del fratello, tra cui il più giovane Corinto (documentato sino al 1771) che divenne ingegnere.
Il 4 genn. 1709 Pietro risulta console tesoriere della Corporazione dei Quattro Ss. Martiri coronati dell'arte dei marmorari e scultori; nell'ottobre dello stesso anno ricevette pagamenti (195 ducati) da suor Maria Arcangela Ruffo per il pavimento in marmo nel cappellone di S. Agostino in S. Giuseppe dei Ruffo; e, il mese seguente, fu pagato per lavori alla cappella dell'Angelo custode, sempre in S. Domenico Maggiore, su commissione di Ludovico di Giugliano. Sempre nel 1709 la bottega allestì nel duomo di Salerno il cantiere per l'altare maggiore, in collaborazione con il marmoraro salernitano Virgino Ogna; mentre l'anno seguente (5 luglio 1710) Pietro riscosse 1000 ducati per tutti i lavori decorativi in marmo eseguiti in S. Anna a Montemiletto (Avellino). Il 17 dic. 1711 ricevette, con Nicola, 600 ducati per l'altare maggiore e altri lavori nella cattedrale di Caiazzo (Caserta); nello stesso anno la bottega realizzò anche quello di S. Maria de Foris a Teano (Rizzo, 1983, p. 232). Il 9 sett. 1713 Pietro fu pagato (138 ducati) dalla badessa di S. Gregorio Armeno, Claudia de Sangro, per numerosi lavori nella cappella di S. Maria dell'Idria, come apprezzati dall'architetto Donato Gallarano. L'anno seguente egli lavorò a sei busti di marmo per il palazzo alla Pignasecca del marchese Filippo Positano; e ricevette 92 ducati per il Ritratto di monsignor Rondola, collocato all'interno della basilica di S. Lorenzo Maggiore in Napoli e ora nel chiostro del monastero.
Nel 1716 la bottega fu impegnata sia nella chiesa napoletana di S. Maria Ancillarum (Rizzo, 1984, p. 109) sia all'altare maggiore di S. Maria della Fede, su commissione di fra Tommaso La Penta. In un documento del 9 ott. 1723 troviamo Pietro "ingegnere e scultore di marmi" che ricevette 24 dei 318 ducati per la parete in marmo bardiglio da farsi nel palazzo di Marco Cavaniglia, dirimpetto fontana Medina a Napoli; nel maggio dello stesso anno Nicola aveva restaurato i marmi seicenteschi della facciata di S. Maria di Costantinopoli e, nel 1724, egli eseguì tre altari per la chiesa nuova di S. Demetrio dei somaschi. Nello stesso anno suo fratello Andrea iniziò la complessa decorazione a marmi mischi nel cappellone di S. Cataldo nella cattedrale di Taranto.
Pietro risulta deceduto prima dell'agosto del 1726; alla morte di Andrea, avvenuta nel 1729, il cantiere pugliese venne portato avanti da Nicola e da Francesco, nato dall'unione di quest'ultimo con Antonia Palmieri, che furono attivi in altre chiese tarantine come anche in altre città della Puglia, quali Polignano, Bitonto, Trani.
Nel 1728 Nicola eseguì tre altarini di pietre mischie in altrettante cappelle della chiesa della croce di Lucca; contemporaneamente egli lavorò con A. Passeri, dietro il compenso di 251 ducati, alla sacrestia dei Ss. Apostoli a Napoli, sotto la direzione e seguendo i disegni dell'architetto Ferdinando Sanfelice. Nello stesso anno suo fratello Corinto incassò 90 ducati per i lavori in marmo alla facciata della chiesa del monastero di Gesù e Maria. Nel 1730 e nel 1731 Nicola ricevette pagamenti per la balaustra da lui eseguita per la cappella della Madonna di Caravaggio nella chiesa delle Scuole pie fuori porta Reale; nel 1733, su commissione di Maria Raggi d'Aragona, eseguì una lapide-epitaffio per il defunto Gaetano Pagano, in S. Antonio a Nola; tre anni dopo completò l'altare maggiore della cattedrale di Altamura.
Impegnato Nicola in Puglia per questi e altri lavori, la bottega a Napoli fu portata avanti dal fratello Corinto - che nel 1740 ricevette 40 ducati in conto delle decorazioni all'altare maggiore di S. Giovanni in Corte - rimasto solo allorquando di lì a poco (comunque prima del 2 dic. 1742) Nicola morì.
Nel 1751 Corinto fu uno dei cinque architetti chiamati, in qualità di consulenti, ad assistere alla discussione su problemi di ingegneria idraulica tenuta dall'ingegnere militare Giovanni Buonpiede nella sacrestia di S. Maria degli Angeli. Nel 1765 egli lavorò al palazzo del duca di Noja a Pizzofalcone; nel medesimo anno elaborò una perizia tecnica per interventi di manutenzione all'acquedotto del Carmignano. Nel 1766 e 1767 si dedicò intensamente, con l'architetto B. Vecchione, a soluzioni di carattere urbanistico (strada di S. Carlo all'Arena e relativa rettifica del flusso delle acque di scolo). Nel 1769, insieme con gli architetti Giovanni del Gaiso e G. Sanmartino, progettò le due leziose scale di ingresso nell'atrio di palazzo Ruffo Bagnara (attuale piazza Dante).
Corinto risulta attivo fino al 1771, ma ignoto è l'anno della sua morte.
Fonti e Bibl.: Napoli, Arch. stor. del Banco di Napoli, Banco del popolo, matr. 566, 28 genn. 1689, p. 124; matr. 594, 13 ott. 1692, p. 344; matr. 597, 10 genn. 1693, p. 94; matr. 957, 13 febbr. 1693, p. 331; matr. 600, 22 ott. 1693, pp. 412 s.; matr. 602, 2 dic. 1693, p. 715; matr. 622, 28 maggio 1696; matr. 704, 27 ott. 1703, p. 579; matr. 711, 7 giugno 1704; matr. 811, 9 sett. 1713, pp. 144 s.; matr. 1013, 7 sett. 1730, p. 114; matr. 1018, 18 giugno 1731; matr. 1892, 5 luglio 1769, p. 1141; Banco della pietà, matr. 739, 30 ag. 1678; matr. 873, 28 apr. 1687; matr. 941, 15 febbr. 1691; matr. 979, 14 ag. 1693; matr. 1164, 16 maggio 1705; matr. 1191, 11 sett. 1706; matr. 1190, 1° dic. 1706; matr. 1246, 21 ott. 1709; matr. 1254, 5 luglio 1710; matr. 1497, 9 ott. 1723; Banco di S. Giacomo, matr. 522, 14 genn. 1700, p. 39; matr. 603, 17 dic. 1711, p. 803; Banco di S. Eligio, matr. 650, 4 giugno 1701; matr. 732, 4 genn. 1709; matr. 1061, 29 genn. 1738; Banco del Ss. Salvatore, matr. 501, 27 ott. 1706; matr. 533, 5 nov. 1709; matr. 591, 2 genn. 1714, p. 20; matr. 737, 21 maggio 1723, p. 12; matr. 1543, 30 luglio 1765; Banco dello Spirito Santo, matr. 892, 30 luglio 1707; matr. 919, 28 giugno 1709, p. 534; matr. 1119, 27 ott. 1721, p. 289; matr. 737, 21 maggio 1723; matr. 1188, 9 sett. 1728; matr. 833, 3 nov. 1728, p. 304; Banco dei Poveri, matr. 940, 24 ag. 1716; matr. 1160, 5 ott. 1733; D.A. Parrino, Nuova guida de' forestieri, Napoli 1725, p. 354; G.B. D'Addosio, Documenti inediti di artisti napoletani…, in Arch. stor. delle provincie napoletane, XXXIX (1914), pp. 844-847; F. Brauen, The high altar in S. Pietro a Maiella: Fanzago, the G. and the celestine fathers, in Storia dell'arte, 1979, n. 35, pp. 39-48; T. Fittipaldi, Scultura napoletana del '700, Napoli 1980, pp. 10-15; M. Pasculli Ferrara, Arte napoletana in Puglia…, Fasano 1983, pp. 60-65; V. Rizzo, Uno sconosciuto paliotto di Lorenzo Vaccaro e altri fatti coevi napoletani, in Storia dell'arte, 1983, n. 49, pp. 211-233; Id., Contributo alla conoscenza di Bartolomeo e Pietro G., in Antologia di belle arti, n.s., 1984, nn. 21-22, pp. 98-110; K. Fiorentino, in Civiltà del Seicento a Napoli (catal.), II, Napoli 1984, pp. 196-200; G. Marciano - M. Pasculli Ferrara, Il cappellone di S. Cataldo, Taranto 1985, pp. 48-58; F. Strazzullo, Il testamento del cardinale I. Caracciolo, in Atti dell'Accademia Pontaniana, 1988, pp. 8-18; G. Amirante, Architettura napoletana tra '600 e '700. L'opera di Arcangelo Guglielmelli, Napoli 1990, pp. 67, 110; G. Fiengo, L'acquedotto di Carmignano e lo sviluppo di Napoli in età barocca, Firenze 1990, p. 58; F. Abbate, La scultura del Seicento a Napoli, Torino 1997, pp. 169-204; V. Rizzo, Ferdinandus Sanfelicius architectus Neapolitanus, Napoli 1999, pp. 3 s., 16, 53, 64 s., 108, 113, 167; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, pp. 529 s.