SEGARELLI, Gherardo
(Gerardus Segarelli, Gerardinus o Ghirardinus Segalellus). – Nulla si sa sulla famiglia d’origine, se non che Segarelli nacque, presumibilmente, nella prima metà del XIII secolo, nel contado di Parma, forse a Ozzano Taro (Orioli, 1988, p. 19).
Nel 1260, nell’anno della grande devozione dei flagellanti e dell’inizio dell’età dello Spirito Santo per Gioacchino da Fiore, cercò di entrare nel convento dei frati minori di Parma, ma non venne accolto per le sue origini modeste, a quanto scrive il frate minore Salimbene de Adam (Chronica, a cura di G. Scalia, 1966, p. 369). Non è possibile confermare se ciò corrisponda a un fatto reale dal momento che, oltre a questa fonte, non ne sono sopravvissute altre sui venticinque anni successivi e, soprattutto, nessuna testimonianza diretta di Gherardo Segarelli.
Protrattasi per quarant’anni, la sua avventura religiosa si colloca nell’ambito del grande tema della predicazione itinerante di laici – uomini e donne – attratti dalla forza del messaggio di Cristo e dal fascino della mendicanza evangelica: un’esperienza religiosa che attraversa l’intera storia del cristianesimo medievale. Da ciò l’autodefinizione «Apostoli» o «Apostoli di Cristo» o «Poveri di Cristo» (Bernardi Guidonis Practica inquisitionis..., a cura di C. Douais, 1886, pp. 259 s., 261, 263), ma anche «minimi [di Cristo]» (Acta..., a cura di L. Paolini - R. Orioli, 1982, pp. 114 s.). Risulta pertanto errato il termine «Apostolici» utilizzato in modo pressoché esclusivo dalla storiografia (e addirittura nelle voci enciclopediche: Pacho, 1980, col. 753).
È importante ricordare che il termine «Apostoli», o «fratres Apostoli» (Acta..., cit., p. 114), indicando un’esperienza itinerante di adesione piena al messaggio di Gesù, non autorizza a concepire una – inesistente – forma di religiosità istituzionalizzata. Le espressioni «religio Apostolorum» o «Ordo Apostolorum» (Bernardi Guidonis Practica inquisitionis..., cit., pp. 327, 329) indicano un gruppo religioso, non un Ordine istituzionalizzato. La stessa considerazione è da farsi per l’espressione «frater Girardus» (così come per «sorores Apostolorum»): i termini frater e soror applicati agli apostoli sono da intendersi nel senso di fratello e sorella, non certo di frate e suora appartenenti a un Ordine istituzionalizzato (Benedetti, 2009, p. 126). Altrettanto forzato risulta vedere in Gherardo il fondatore di una forma di vita religiosa di cui, peraltro, non volle mai assumere la guida. Negli Statuti cittadini di Parma del 1250 si trova un riferimento a una «casa del gruppo degli Apostoli» («domus religionis Apostolorum») e nel 1264 si decreta che ai «fratelli chiamati Apostoli» («fratres qui dicuntur Apostoli») debba essere accordata la stessa elemosina convenuta per gli altri Ordini mendicanti (Statuta communis Parmae, a cura di A. Ronchini, 1856, rispettivamente pp. 116, 435). Nel 1269 il vescovo Obizzo Sanvitali, nipote di Innocenzo IV, concesse un’indulgenza di quaranta giorni a chi offriva elemosine alle «sorelle degli Apostoli» («sorores dicte apostolorum»: Orioli, 1988, p. 65). Plausibilmente collegate a Gherardo, o a una religiosità di cui si farà portavoce, queste disposizioni mostrano l’iniziale favore dell’autorità civile e vescovile. Indiscutibile è la volontà di sottomissione alla Chiesa se, incerti sulla fisionomia organizzativa da assumere circa un «capo» («rector»), si rivolsero ad Alberto da Parma, uno dei sette notai della Curia romana, che li indirizzò all’abate cisterciense di Fontevivo, il quale suggerì di non mutare la loro modalità di vita (S. de Adam, Chronica, cit., p. 377).
Per venticinque anni, dal 1260 al 1285, la scelta pauperistico-evangelica di seguire «nudi il Cristo nudo» comportò da parte di Segarelli e dei suoi seguaci la rinuncia al possesso di beni (e quindi il ricorso all’elemosina), la scelta dell’itineranza religiosa, la predicazione penitenziale e l’annuncio profetico. ‘Frate’ Gherardo viene definito da frate Salimbene di umile origine, «illitteratus», ossia che non conosce la lingua latina, un uomo di nessun conto e di nessuna cultura («ydiota et stultus») che, venduta la sua casetta («domuncula»), donò il denaro in piazza a dei ‘ribaldi’ (ibid., pp. 369 s.).
In realtà, non conosciamo la sua formazione, né le ragioni di una conversione religiosa all’insegna della radicalità evangelica. A dimostrazione di una cultura bassa, inadatta alla predicazione del messaggio divino, il dotto frate minore adduce un sintomatico esempio: annunciando la venuta del Regno dei cieli e sollecitando alla penitenza, Gherardo non avrebbe detto correttamente «Penitenziam agite!» (Mt 3,2), bensì «Penitençagite!» (ibid., p. 372). Alla storpiatura lessicale si aggiunge un’interpretazione letterale del messaggio evangelico: a Collecchio si rivolse a dei passanti usando le parole in Mt 20,4 («Andate anche voi nella mia vigna»), intendendo che sarebbero entrati realmente in una vigna e avrebbero mangiato l’uva. Anche al rito apostolico di spoliazione, inteso dagli apostoli come segno di perfezione evangelica, il frate minore attribuisce una valenza denigratoria applicando una «logica al negativo» (Merlo, 1988, p. 9), ovvero una concretizzazione visiva rovesciata dell’esemplarità cristiana.
In coerenza con una scelta religiosa pubblica e manifesta, l’abito svolgeva una funzione di riconoscibilità e di rafforzamento dell’identità di gruppo. Gherardo imitava la foggia apostolica ammirata su una lampada nella chiesa dei frati minori: vestiva un abito di bisello (un panno di lana di bassa qualità) e un mantello bianco di stanforte, portava capelli e barba lunghi, oltre che sandali e cordone come i frati minori (S. de Adam, Chronica, cit., p. 369).
Da Parma gli apostoli si diffusero a Fornovo, Faenza, Piacenza, Bologna, Ravenna e in molti altri centri dell’Emilia, nella Marca anconitana e poi altrove. Il primo compagno di Segarelli fu Roberto, un famulo dei frati minori. Ben presto iniziarono le divisioni circa la leadership: da un lato Matteo della Marca anconitana, dall’altro Guido Putagio di Parma, appartenente a una famiglia capitaneale e fratello di Roberto che fu podestà a Bologna nel 1274. Salimbene scrisse che Guido stesso gli raccontò degli scontri, persino violenti, che contrapposero le due parti a Faenza (ibid., pp. 378 s.) e informò della presenza nella congregazione apostolica anche di Tripia, sorella di Guido (p. 391), e di molte altre, coerentemente con gli sviluppi successivi in cui le donne non erano marginalizzate (Benedetti, 2009).
Salimbene scrisse la Chronica tra il 1283 e il 1286, l’anno prima della sua morte. Fin dalle righe iniziali definisce gli apostoli «ribaldi, porcari, stolti, ignobili» e, utilizzando il bagaglio culturale di uomo di Chiesa, precisa: «dicono di essere Apostoli, e non lo sono, sono invece la sinagoga di Satana» (Ap. 2, 8-9), aggiungendo «costoro non erano della stirpe di quegli uomini per le cui mani si doveva compiere la salvezza d’Israele» (1 Mc 62). In coerenza con il canone del secondo Concilio di Lione (1274) Religionum diversitatem nimiam, il cronista mostra l’‘utilità’ dei frati minori e, al contrario, l’‘inutilità’ degli apostoli dove utilitas nell’Ordine dei frati minori è un concetto ecclesiologico «provvidenziale e funzionale ai compiti carismatici della “Chiesa di Dio” [...] il che significa piena congruità dei frati minori con l’ordinamento della cristianità facente capo al papato» (Merlo, 2003, pp. 184 s.). Chiaro è l’intento di svilire una religiosità pauperistico-evangelica contrappositiva e validamente alternativa a quella dei frati minori. L’esposizione sistematica utilizza «un procedimento polemistico di impianto tautologico nella sostanza, solo in apparenza dimostrativo» (Merlo, 1988, p. 11) per ritagliare un modello positivo (i frati minori e i frati predicatori) e uno negativo (gli apostoli) attraverso un procedimento in cui anche il ruolo delle donne, ingabbiato in stereotipi antifemminili, è delegittimato nella promiscuità della convivenza apostolica. Ciononostante, Salimbene non usa mai il termine eretici.
Alcune decisioni normative del secondo Concilio di Lione del 1274 incideranno in maniera radicale in scelte di vita religiosa ispirate in senso pauperistico-evangelico. Tuttavia, contrariamente a quanto spesso capita di leggere, nessun riferimento esplicito agli apostoli di ‘frate’ Gherardo Segarelli è presente nel citato canone Religionum diversitatem nimiam, che intendeva bloccare lo sfrenato proliferare di gruppi e movimenti dalla mendicità controversa (Conciliorum Oecumenicorum decreta, a cura di G. Alberigo et al., 1973, p. 326).
Probabilmente l’origine di tale errore è nella Practica inquisitionis heretice pravitatis del famoso inquisitore tolosano Bernard Gui che riporta per esteso la Olim felicis recordationis di Onorio IV del 1286 (nel testo datata 1285), in cui il riferimento al canone conciliare Religionum diversitatem nimiam è espressamente collegato all’ordo Apostolorum, contribuendo a ingenerare la fallace convinzione di una condanna diretta degli apostoli da parte del concilio. La Olim felicis recordationis sollecita le autorità ecclesiastiche ad agire contro l’«ordo Apostolorum», ossia il gruppo degli apostoli, facendo deporre loro l’abito e sollecitando l’ingresso in uno degli Ordini mendicanti riconosciuti, in alternativa al carcere e a punizioni appropriate. Nel 1290 Niccolò IV, il frate minore Girolamo d’Ascoli e primo pontefice dell’Ordine, rinnovò il provvedimento e sollecitò il coinvolgimento degli inquisitori. Infine, nel 1296, Bonifacio VIII ribadì tali orientamenti.
Nei quindici anni dal 1286 al 1300, Segarelli e gli apostoli subirono inchieste e incarcerazioni. Con l’intervento degli inquisitori, «ragioni disciplinari» si trasformano in «motivi dottrinali» (Merlo, 2011, p. 110). Nel 1286. Segarelli venne per la prima volta imprigionato, ma presto rimesso in libertà. Nel 1287 rientrarono a Parma i frati predicatori, titolari del tribunale dell’inquisizione, allontanati nel 1279. Nel 1294 due donne e due uomini del gruppo degli apostoli furono condannati al rogo, mentre a Segarelli venne comminato il carcere perpetuo. Nel 1295 il vescovo Obizzo Sanvitali fu trasferito a Ravenna; Segarelli perdette in tal modo un protettore importante: un uomo che lo stimò e che lungamente lo aveva accolto nel suo palazzo. Nel frattempo, la morsa inquisitoriale si strinse se, nel 1299, il frate inquisitore titolare di Pavia, Lanfranco da Bergamo, si recò a Parma dove Gherardo era incarcerato, presumibilmente per interrogarlo. Non sono sopravvissuti i procedimenti inquisitoriali intentati contro di lui. Nei processi bolognesi degli anni 1299-1310 si trova qualche riferimento a Segarelli: era ritenuto un santo che avrebbe fatto miracoli, sanato alcuni malati a Milano e un fanciullo a Bologna, avrebbe camminato sulle acque come Pietro (Acta, cit., pp. 111 s., 114 s.). In più, un prete di nome Bonagrazia gli lasciò un tabarro per volontà testamentaria (ibid., p. 451).
Il lungo iter giudiziario mostra un coordinamento nella repressione culminante nel 1300, anno del primo giubileo della Chiesa cattolico-romana, in cui furono portate a compimento plurime inchieste decennali, ad esempio a Ferrara contro Armanno, detto Pungilupo, e a Milano contro Guglielma (impropriamente chiamata ‘la Boema’), mostrando il progressivo consolidamento dell’egemonia degli Ordini mendicanti in raccordo con i vertici della Chiesa, anche attraverso gli inquisitori, in relazione alla santità e alla possibilità dei laici di predicare contrastate dalle autorità politiche ed ecclesiastiche locali (Benedetti, 2008).
Gherardo morì sul rogo il 18 luglio 1300 a Parma in seguito alle inchieste dell’inquisitore Manfredo da Parma.
L’avventura religiosa degli apostoli non si dissolse con le sue ceneri, ma proseguì con ‘frate’ Dolcino da Novara, il nuovo «capo» («rector»), che in due lettere del 1300 e del 1303 espose una nuova teoria della storia e della salvezza in cui Gherardo non solo era protagonista della quarta mutazione della Chiesa (l’ultima che porta alla perfezione apostolica) e del quarto stato dei santi (l’ultimo che durerà fino alla fine del mondo), ma era anche l’angelo di Smirne dell’Apocalisse (Bernardi Guidonis Practica inquisitionis, cit., pp. 332, 334). Le epistole furono riassunte intorno al 1316 da Bernard Gui nella sua famosa Practica inquisitionis heretice pravitatis, dove sono illustrati anche gli errori dottrinali di Gherardo tratti, a quanto sembra, dai suoi interrogatori. Nel 1332-33, nei processi contro gli apostoli di Riva del Garda, non si trova più alcun riferimento a Gherardo Segarelli.
Fonti e Bibl.: Statuta communis Parmae, in Monumenta Historica ad provincias Parmensem et Placentinam pertinentia, a cura di A. Ronchini, I, Parmae 1856; Bernardi Guidonis Practica inquisitionis heretice pravitatis, a cura di C. Douais, Paris 1886, pp. 257-264, 327-355; Chronicon Parmense ab anno MXXXVIII usque ad annum MCCCVIII, a cura di G. Bonazzi, in RIS, IX, 9, Città di Castello 1902, p. 67; S. de Adam, Chronica, a cura di G. Scalia, I, Bari 1966, pp. 369-396; Conciliorum Oecumenicorum decreta, a cura di G. Alberigo et al., Bologna 1973, pp. 326 s.; Acta S. Officii Bononie ab anno 1291 usque ad annum 1310, I-II, a cura di L. Paolini - R. Orioli, Roma 1982, pp. 114 s., 381.
E. Pacho, Apostolici, in Dizionario degli Istituti di perfezione, I, Roma 1980, coll. 748-759; G.G. Merlo, Salimbene e gli apostolici, in Società e storia, 1988, vol. 39, pp. 3-21; R. Orioli, Venit perfidus heresiarcha. Il movimento apostolico-dolciniano, Roma 1988, pp. 17-85; G.G. Merlo, Nel nome di san Francesco. Storia dei frati Minori e del francescanesimo sino agli inizi del XVI secolo, Padova 2003; G. Andenna, Il carisma negato: G. S., in Charisma und religiöse Gemeinshaften im Mittelalter, a cura di G. Andenna - M. Breistenstein - G. Melville, Münster 2005, pp. 415-442; B.R. Carniello, Gerardo Segarelli as the anti-Francis. Mendicant rivalry and heresy in medieval Italy, in The Journal of ecclesiastical history, LVII (2006), pp. 226-251 (con vistose lacune bibliografiche); M. Benedetti, Inquisitori lombardi del Duecento, Roma 2008, pp. 227-313; Ead., Margherita “la bella”?, La costruzione di un’immagine tra storia e letteratura, in Studi medievali, s. 3, L (2009), pp. 105-131; G.G. Merlo, Eretici ed eresie medievali, Bologna 2011, pp. 109-116.