OTTAVIANI, Gherardo
OTTAVIANI, Gherardo. – Nacque a Recanati il 4 ottobre 1930, secondo di sei figli e primogenito maschio di Romolo, orologiaio, e di Gina Ripani.
Orologiaio era stato già il nonno Eraclio. Il padre, però, fin dai primi anni del secondo dopoguerra aveva dato vita al Laboratorio artigiano recanatese (LAR) per la produzione e la vendita di oggetti sacri e altri prodotti di oreficeria.
Crebbe nel mito dell’omonimo bisnonno calligrafo, del quale si conservano vari lavori nel Museo diocesano della città. Questa sua ammirazione lo spinse a intraprendere studi artistici, dal disegno all’oreficeria, dalla grafica alla pittura. Ben presto prevalse la passione per l’oreficeria, probabilmente alimentata dalla possibilità di utilizzare l’attrezzatura del famoso orafo recanatese Giacomo Braccialarghe (1829-1922), acquistata dal padre. Ancora adolescente iniziò a realizzare gioielli, dedicandosi – come scrive in una sua memoria (Esperienze di un orafo, in Recanati. Notiziario di vita cittadina, XIX [1980], pp. 2 s.) – a «infinite esperienze sugli stampi». Appena diciassettenne, nel 1947 vinse un concorso per la fornitura di posate d’argento, bandito dalla Marina militare, ma quando gli ispettori videro il laboratorio collocato in un piccolo scantinato e la giovanissima età del vincitore, annullarono il contratto.
Deluso per non essere riuscito a concretizzare neppure la commessa ricevuta dalla ditta Calderoli di Milano, si iscrisse alla scuola di ottica di Firenze e, ottenuto il diploma, aprì un negozio a Recanati, poi anche a Loreto e a Porto Recanati. La sua passione restava però l’oreficeria e di lì a poco tornò a lavorare l’oro e l’argento. Alla produzione di medaglie, corone da rosario e crocifissi, molto richiesti a Loreto dai pellegrini diretti al santuario della Santa Casa, ben presto affiancò calici, pissidi e ostensori realizzati utilizzando la tecnica del conio e del cesello e venduti soprattutto nel mercato romano con il marchio ‘Creazioni Ottaviani’. Temendo un ridimensionamento dell’oreficeria di carattere religioso a seguito delle disposizioni del Concilio Vaticano II in tema di arredi liturgici, iniziò a impegnarsi anche nella lavorazione di anelli e bracciali d’oro, per aprire poi nuove linee di produzione in settori come la ceramica e gli elementi di arredo.
Fu la gioielleria a rendere nota la ditta Ottaviani in campo nazionale; la crescita produttiva e occupazionale è attestata a metà degli anni Sessanta dalla costruzione di un nuovo stabilimento, in territorio di Montelupone. Se il prestigio venne dagli oggetti di oreficeria, che nel 1966 valsero a Ottaviani la menzione d’onore alla Mostra internazionale di Vicenza e, successivamente, l’Ercole d’oro, al grande sviluppo commerciale dell’azienda (trasformatasi nel 1972 in Ottaviani SpA) contribuirono soprattutto le produzioni di argento stampato e fuso, sbalzato, cesellato e smaltato, in particolare la bigiotteria e i quadri stampati su lamina d’argento. In quegli anni Ottaviani divenne famoso per le sue creazioni, originali per lo stile del disegno e per la capacità di applicare le tradizionali lavorazioni artigianali alla produzione su larga scala.
I principi ispiratori della sua attività sono indicati con chiarezza in Esperienze di un orafo (cit.): l’oggetto d’arte non doveva più essere «privilegio di pochi facoltosi», ma poteva essere reso fruibile a un vasto pubblico. Questo significava puntare «non sull’arte come avanguardia», ancora appannaggio pressoché esclusivo di pochi specialisti, ma «sull’artigianato di buona fattura, lavorato su idee già assorbite, su forme già viste». Ricreata nei reparti dello stabilimento l’atmosfera da bottega antica, venne affrontato anche il nodo principale: come conciliare l’oggetto di artigianato con la produzione in serie. La soluzione fu trovata nell’uso di impianti moderni capaci di riprodurre i prototipi creati nel laboratorio, ma rendendo originali gli oggetti così realizzati con interventi successivi: tutti gli articoli venivano «ripassati e finiti a mano». In questa impostazione è evidente il richiamo al movimento Arts and Crafts, al dibattito sull’arte nella società industriale promosso nell’Inghilterra del secondo Ottocento da William Morris e al sentimento dell’arcaico che volutamente pervade molte delle produzioni Ottaviani.
Risultati di questo tipo furono possibili grazie alla collaborazione non solo di studiosi e artisti, raccolti nel Centro studi ricerche Ottaviani, dotato di un ricco archivio fotografico, ma anche di maestranze specializzate provenienti dalle botteghe artigiane del territorio, guidate da un ufficio di progettazione aperto alle sperimentazione di forme, materiali e nuove tecniche produttive. Lo confermano i cataloghi realizzati nel corso degli anni Settanta: Gli ori di Ottaviani; La ceramica Ottaviani, a cura di B.M. Mascambruni; Linea studio ’78, tutti con presentazione dell’archivista della S. Casa di Loreto, Floriano Grimaldi.
Nei primi anni Settanta la Ottaviani SpA giunse a operare su tre stabilimenti di non ampie dimensioni, caratterizzati ciascuno dalla diversa specializzazione produttiva voluta da Ottaviani, ormai affiancato dai fratelli Alberto e Franco: non solo oggetti di oreficeria e quadri d’argento, ma anche ceramiche artistiche dipinte a mano contornate e decorate da lamine d’oro e d’argento, scatole da gioco smaltate, portafotografie e cofanetti portaoggetti realizzati con legni pregiati e arricchiti da metallo prezioso cesellato a mano.
La diversificazione merceologica, individuata come la via per la crescita del settore, venne resa possibile dalle nuove tecniche produttive: alla tradizionale tecnica orafa della fusione a cera persa, dai primi anni Settanta Ottaviani affiancò prima la produzione di quadri e bassorilievi stampati con lastra d’argento, spesso impreziositi con lavori al traforo o al cesello, poi, dalla fine degli anni Settanta, la realizzazione di vere e proprie sculture ottenute con la elettrodeposizione di argento, tramite processo galvanico, su un modello realizzato in resina. A queste due fondamentali innovazioni produttive introdotte per la prima volta in forma industriale dagli Ottaviani, si aggiunse successivamente lo stampaggio di lastre di argento bilaminato, ovvero supportato da una lastra di alluminio.
Le nuove produzioni ottennero subito un grande successo commerciale, tanto che nei primi anni Settanta l’azienda superò i 100 addetti. Negli anni seguenti l’improvvisa crescita dei prezzi delle materie prime, compresi i metalli preziosi, connessa alla crisi petrolifera del 1973, ebbe pesanti conseguenze anche su questo settore; ne risentirono pure gli Ottaviani che furono costretti a una ristrutturazione, resa più difficile dall’improvvisa malattia di Gherardo.
Morì a Recanati il 25 aprile 1980.
La sua morte mise fine a un’esperienza di rilievo per la storia del design italiano. Ottaviani merita infatti di essere ricordato fra i più interessanti autori di oggetti di oreficeria del secolo scorso. Alla sua scuola si formarono numerosi piccoli imprenditori, che a Recanati e nei comuni limitrofi diedero avvio ad altre esperienze artigianali e industriali, dalle quali è sorto il distretto marchigiano dell’argento delle province di Ancona e Macerata.
Fonti e Bibl.: I gioielli di O., in Madre, 1973, n. 18, pp. 116 s.; F. Bernabei, Le «tentazioni» di O., in I protagonisti delle Marche, 2000, n. 39, pp. 50 s.; F. Grimaldi, Argentieri, coronari, medagliari, orafi a Recanati e Loreto, Loreto 2005, pp. 203 s.; M. Moroni, Come nasce un distretto: il caso del polo argentiero delle Marche, in Economia Marche, 2007, n. 2, pp. 113-127; R. Ottaviani, G. O. designer. Il progetto, l’ideologia, l’oggetto, in Historia nostra, 2010, n. 3, pp. 103-114.