MARONE, Gherardo
– Nacque a Buenos Aires il 28 sett. 1891, da Benedetto e da Concezione Cestaro; i genitori erano originari di Monte San Giacomo, nel Salernitano, e la famiglia fece ritorno in Italia nel 1904. Il M. compì a Napoli gli studi superiori, che culminarono con le lauree in giurisprudenza e in filosofia, conseguite rispettivamente nel 1916 e nel 1924.
Sin da ragazzo dimostrò un fervido interesse per la letteratura. Esordì alle stampe appena diciottenne, con un Discorso pel secondo anniversario della morte di G. Carducci pubblicato a proprie spese (Napoli 1909), cui seguì il volume di «note critiche» Shakespeare (ibid. 1911). Qualche anno dopo fece le sue prime prove di traduzione con Le canzoni di Jaufré Rudel (ibid. 1914).
L’attività di traduttore, che lo accompagnò per l’intero arco della vita, era considerata dal M. come un lavoro a tutti gli effetti originale; in un’interessante introduzione metodologica alla sua versione di La vida es sueño di P. Calderón de la Barca (ibid. 1920), affermava che la «traduzione non è rispondenza di vocaboli o di frasi», ma «è vita e creazione, e perciò gioiosa libertà ed armonia». Dopo la traduzione di La vida es sueño seguirono altre versioni da scrittori spagnoli del «siglo de oro» come M. de Cervantes, Tirso de Molina, F. Lope de Vega. Importanti anche le versioni da autori argentini unite nell’antologia Il libro de la pampa (I-II, Lanciano 1937), attraverso le quali si facevano conoscere ai lettori italiani scrittori come E. Banchs, J.L. Borges, L. Lugones, E. Mallea, E. Martínez Estrada e Alfonsina Storni.
Negli anni giovanili si cimentò anche con la scrittura in versi: compose un certo numero di poesie, da lui stesso definite «pseudoliriche», che non arrivò mai a raccogliere in volume (ma è noto il titolo che aveva scelto, Grovigli). Abbandonò presto la poesia, convinto di non essere dotato.
Il vero ingresso del M. nel mondo letterario è legato all’esperienza della rivista La Diana, una «nuova rassegna mensile» fondata nel 1914 e pubblicata dal gennaio 1915 al marzo 1917. Della rivista il M. fu il principale animatore; vi firmò parecchi interventi volti a definire la linea culturale del periodico, che si caratterizzava tra l’altro per la volontà di sprovincializzare la cultura italiana e per una matrice nettamente antidannunziana.
Un suo articolo intitolato La barra, pubblicato nel primo fascicolo, sanciva la contiguità della Diana con il movimento futurista, ma non senza ambiguità; caratteristica della rivista, in realtà, fu sin da subito un certo eclettismo, che permise la presenza nelle sue pagine di intellettuali anche molto lontani tra loro.
Punto di forza della Diana era in effetti l’ampia e prestigiosa rosa di collaboratori, tra cui figuravano scrittori importanti come M. Bontempelli, G.A. Borgese, L. Folgore, C. Govoni, F.T. Marinetti, A. Onofri, C. Rebora, U. Saba, C. Sbarbaro, A. Soffici e soprattutto G. Ungaretti, che nel 1916 pubblicò nella rivista alcune delle poesie raccolte nello stesso anno nel suo libro d’esordio: Il porto sepolto.
Il M. e Ungaretti furono legati da una profonda amicizia, destinata a durare; nel dicembre 1916 Ungaretti trascorse un periodo di licenza a Napoli in casa del M. e vi scrisse alcune poesie, tra cui la celebre Natale.
Una questione a tutt’oggi controversa è quella della possibile influenza esercitata sulla scrittura ungarettiana dalla poesia giapponese, che nel 1916 venne fatta conoscere al pubblico italiano grazie a un certo numero di traduzioni uscite proprio nella Diana e frutto della collaborazione del M. con H. Shimoi (l’operazione ebbe come esito la pubblicazione dell’antologia Poesie giapponesi, Napoli 1917). La maggior parte dei critici nega che il frammentismo di Ungaretti sia debitore dell’estrema sinteticità tipica delle forme metriche giapponesi; e in effetti appare probabile che i punti di contatto tra le due esperienze (messi in luce per tempo dallo stesso M.) si debbano a poligenesi.
Simpatia e interesse per la Diana dimostrò anche B. Croce, che vi pubblicò due articoli. A Croce, con il quale tenne un rapporto fatto di frequenti scambi epistolari ma anche di visite, il M. fu molto legato, tanto da sottoporgli in anteprima alcuni degli scritti raccolti in Difesa di Dulcinea (ibid. 1920), uno dei suoi libri più importanti.
L’influenza di Croce è viva nelle pagine di questo lavoro (basti pensare alla distinzione tra poesia e non poesia, fatta propria dal M.). Tra i saggi raccolti nel volume spiccano quelli in cui il M. affronta dal punto di vista teorico due «generi» particolarmente importanti nella sua attività culturale: la traduzione e il saggio critico. Entrambi svolgono non solo una funzione di mediazione tra autori e lettori, ma assumono una valenza creativa che ne fa prodotti artistici del tutto autonomi. Nella Difesa viene inoltre approntata una ricca rassegna critica di poeti contemporanei (tra gli altri si parla di S. Di Giacomo, Govoni, Onofri, G. Papini, E. Pea, Soffici e Ungaretti).
Negli anni Venti il M. esercitò a più riprese l’insegnamento scolastico, grazie a vari incarichi a Napoli e dintorni (il più importante dei quali fu la supplenza di filosofia nel liceo Umberto I, assunta nel 1925). Ma la sua fonte principale di guadagno era costituita dalle traduzioni.
Sin dall’avvento del fascismo si mostrò risolutamente contrario al regime, tenendo sempre un atteggiamento di perfetta coerenza. Nel 1924 partecipò attivamente alla campagna elettorale per la lista democratica di G. Amendola, cui era legato da amicizia sin dal 1922; nel 1925 fu uno dei firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da Croce. Difese in qualità di avvocato alcuni esponenti dell’opposizione al fascismo.
Nel 1924 l’antifascismo del M. si concretizzò nella fondazione – in collaborazione con Amendola, G. De Ruggiero, _S. Macchiaroli e V. Arangio Ruiz – e nella direzione della rivista di «problemi politici e morali» Il Saggiatore, che dopo solo un anno dovette chiudere a causa delle pressioni degli organi di controllo governativi. Il nome del M. è legato anche a un’altra rivista, Vesuvio, alla quale collaborò intensamente negli anni 1928-29.
La sua condizione di oppositore del fascismo impedì al M. una soddisfacente collocazione lavorativa, e in particolare gli precluse l’insegnamento universitario, cui aspirava. Le cose andarono meglio nella sua città natale: nel 1932 tenne un corso di letteratura italiana presso l’Università di Buenos Aires, e negli anni successivi continuò a collaborare con l’ateneo bonaerense (oltreché con l’Accademia di lettere di Rio de Janeiro), pur trascorrendo la maggior parte del tempo in Italia. Nel 1932 iniziò anche una collaborazione con il quotidiano La Nación di Buenos Aires, destinata a continuare fino alla morte.
Intanto l’orizzonte dei suoi interessi culturali si era notevolmente ampliato, soprattutto in direzione filosofica, ciò che emerge con ogni evidenza nel suo libro più impegnativo, Pane nero (Lanciano 1934).
Nella prima parte del volume, significativamente intitolata Miti, il M. si confronta polemicamente con alcuni protagonisti del pensiero e delle scienze del Novecento, tra cui S. Freud, A. Einstein, O. Spengler, le cui idee vengono risolutamente respinte. A tali esperienze si oppongono quelle appartenenti a Una grande tradizione (come recita il titolo della seconda parte), identificata in italiani illustri come, per esempio, N. Machiavelli e A. Manzoni. Nella terza parte (Coltura d’oggi) si auspica tra le altre cose una poesia in grado di lasciarsi definitivamente alle spalle le esperienze del futurismo e del frammentismo, e che si faccia promotrice di una riforma morale.
Nel 1939, vinta per concorso la cattedra che aveva tenuto per incarico, il M. si trasferì definitivamente a Buenos Aires. Nella sua Università fu dal 1940 direttore dell’istituto di letteratura italiana. In seguito collaborò attivamente con la sede bonaerense della Società Dante Alighieri, in cui ricoprì anche il ruolo di direttore didattico.
Dal momento della sua entrata in ruolo nell’accademia argentina intensificò notevolmente la produzione saggistica, rivolta soprattutto a temi di storia della letteratura e dell’arte italiana, ma aperta anche a vari aspetti della cultura e della società contemporanee d’Italia e di Argentina.
Tra i più di cinquanta volumi e opuscoli pubblicati si possono ricordare: Il sentimento della natura nella poesia argentina (Buenos Aires 1939); Raffaello e Michelangelo (ibid. 1941); Umanesimo e Rinascimento. Letture (ibid. 1942); La pedagogia e la riforma di Giovanni Gentile (Salerno 1942); Pintores italianos del Renascimiento (Buenos Aires 1943); Trieste, piedra de toque de la moralidad internacional (ibid. 1946); Ensayo sobre el pensamiento de Benedetto Croce (ibid. 1946); Trovadores y juglares. Antología de textos medievales con traducción comentarios y glosario (ibid. 1948); Vittorio Alfieri: poeta de la virtud heroica (ibid. 1951); Unidad de la literatura italiana (ibid. 1952); Parnaso italiano. Antología de la literatura italiana desde los origenes hasta nuestros días (ibid. 1952); Dignidad de la critica. La critica literaria italiana desde Vico hasta nuestros días (1744-1960) (ibid. 1960). Due raccolte di saggi uscirono postume, entrambe per le cure di N. Cócaro, che era stato allievo del M.: Las dos Españas y otros ensayos (ibid. 1972); Viaje al espíritu italiano (ibid. 1973).
Nel 1948 aveva sposato Delia Checchi, una giovane studiosa argentina di origine italiana. Membro, dal 1949, dell’Accademia Pontaniana di Napoli, in seguito divenne socio anche dell’Accademia di antropologia di Buenos Aires. Nel 1950 fondò la Società argentina di studi danteschi, di cui fu presidente. Negli anni 1954-56 tenne per incarico la cattedra di lingua e letteratura spagnola all’Università di Bologna. Nel 1960 fondò a Buenos Aires l’Istituto superiore di studi italiani, di cui assunse la direzione.
Il M. morì il 19 ott. 1962 a Napoli.
Tra i lavori incompiuti, di particolare rilievo appaiono due progetti che avrebbe dovuto realizzare per il settimo centenario della nascita di Dante: una traduzione della Commedia in prosa ritmica e una bibliografia degli studi danteschi in Spagna e Sudamerica.
Nel 1995 gli eredi hanno depositato presso la Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli l’Archivio G. Marone, in fase di inventariazione.
Fonti e Bibl.: E. Amendola Kühn, Vita con Giovanni Amendola, Firenze 1960, ad ind. (con 16 lettere del M.); G. M., a cura di A. Marone, Napoli 1969 (con bibl. delle opere e della critica, pp. 15-30); G. Ungaretti, Lettere dal fronte a G. M. (1916-1918), a cura di A. Marone, Milano 1978; G. Amendola, Contro il fascismo nel Mezzogiorno. Lotta politica nel Salernitano (1919-1925) nella corrispondenza con Benedetto e G. Marone, a cura di A. Marone, Napoli 1978; A. Dei, La Diana, Roma 1981, passim; N. D’Antuono, Avventura intellettuale e tradizione culturale in G. M., Salerno 1984; La Diana, a cura di N. D’Antuono, Cava dei Tirreni 1990; N. Cócaro - D. Petriella, G. M., Buenos Aires 1993; G. M., Napoli 1996 (alle pp. 107-115 integrazioni e correzioni alla bibl. di A. Marone, a cura di N. D’Antuono); M. Andria, Lettere ai Marone (1919-1925), in Giovanni Amendola. Una vita per la democrazia, Napoli 1999, pp. 79-85; M. D’Ambrosio, Futurismo e altre avanguardie, Napoli 1999, pp. 139-177; Gherardo Marone a Lionello Fiumi. Lettere, 1915-1918, a cura di S. Arena, Verona 2003; L. Fiumi, Lettere, a cura di S. Gallifuoco, Napoli 2003, ad indicem.