GAMBARA, Gherardo (Girardino, Gherardo da Gambara)
, Gherardo (Girardino, Gherardo da Gambara). - Figlio di Federico, nacque a Brescia intorno agli anni Sessanta del XIII secolo; questa data è ricavabile da un documento del 1280 nel quale il padre risulta già defunto; non è noto, invece, il nome della madre. In quel periodo la situazione patrimoniale del G., dopo le conferme fatte al padre dall’abate di Leno nel 1270 e 1272, era in rapida crescita, come indicano gli atti di acquisto di vari appezzamenti nella località di Gambara (1280, 1283) e l’investitura di undici terreni a Milzano e Pralboino nel 1281.
Il G., che compare nella documentazione con l’appellativo di mites, risiedette a Brescia nel borgo di S. Giovanni, dove possedeva alcuni immobili, e, al pari di altri membri della famiglia Gambara, svolse importanti incarichi istituzionali dentro e fuori le mura cittadine. Nel 1284 partecipò alle trattative di pace tra il Comune di Brescia e il vescovo di Trento, Enrico, per il controllo di alcune località dell’alto Garda, mentre nel 1295 gli fu affidata la custodia di una delle quattro chiavi del reliquiario contenente le «sante croci, nel Duomo Vecchio e il suo nome fu registrato negli statuti cittadini. All’inizio del 1298 ricopri l’incarico di podestà di Milano in un momento molto delicato per gli equilibri interni, quando, dopo la morte di Ottone Visconti, i Torriani si preparavano a rientrare in città. li fatto non è di poco rilievo se si considerano i rapporti politici che si andavano delineando tra le due città lombarde, caratterizzati dall’alleanza tra i Visconti e il vescovo di Brescia, Berardo Maggi, che, proprio in quel periodo, stava imprimendo un’involuzione di tipo signorile alle istituzioni comunali bresciane. li G., infatti, fu uno dei maggiori sostenitori del potente presule bresciano imposto quale garante della riconciazione tra le fazioni che si erano fronteggiate violentemente negli ultimi decenni del XIII secolo. In occasione dell’assemblea generale del 5 marzo 1298, prendendo la parola dopo Tebaldo Brusati e Bresciano Sala, egli sostenne infatti che la gravità della situazione imponeva al Comune di affidare la balia e la piena autorità del governo cittadino al vescovo Maggi.
Nel giugno 1299 il G. fu nominato podestà di Parma per il semestre entrante, ma un mese prima di terminare il suo mandato fu chiamato a reggere le sorti del Comune di Firenze, che aveva esonerato in anticipo Ugolino da Correggio (dicembre 1299). La situazione del Comune fiorentino agli inizi del 1300, lacerato dalle continue lotte di parte fra bianchi e neri, non era certo tra le più pacifiche e non erano cessate le persecuzioni dopo il turbolento governo podestarile di Monfiorito da Coderta, che aveva preceduto quello di Ugolino da Correggio.
Tra i primi provvedimenti del nuovo podestà si registra un’ordinanza contro Corso Donati, all’epoca lontano da Firenze, con la quale lo si privava dei beni che questi aveva usurpato alla suocera, Giovanna Ubertini. In occasione dei noti tumulti di calendimaggio, avvenuti la sera del 1° maggio 1300 e che videro fronteggiarsi i Cerchi con i loro seguaci (tra i quali Naldo Gherardini e Giovanni Malespini) da una parte e i Donati con esponenti delle famiglie Pazzi e Spini dall’altra, il G. intervenne con una serie di rigorosi provvedimenti: Chierico Pazzi venne condannato a 5200 lire di ammenda e uguale sorte ebbe Naldo Gherardini, che poco tempo dopo attentò senza successo alla vita del G., mentre pesanti multe furono infine comminate ad Alamanno Adimari, a Taddeo Donati, cugino di Corso, e ad alcuni esponenti della famiglia Spini. Proprio la condanna inflitta a Chierico Pazzi suscitò, allo scadere del mandato podestarile, il ricorso degli assessori dell’ufficio di controllo podestarile, i quali la giudicarono troppo mite rispetto alle pene previste dagli statuti. Per questo il G. fu condannato dalla fazione capeggiata dai Cerchi a sborsare come risarcimento una somma così elevata da indurre le stesse autorità bresciane a intervenire, il 22 sett. 1300, in sua difesa chiedendo l’annullamento della condanna.
Nel secondo semestre del 1302 il G. fu richiamato come podestà a Firenze, dove la fazione dei neri aveva preso il sopravvento, in qualità di successore di Cante Gabrielli e si fece subito apprezzare nella soluzione del conflitto tra i Fiorentini e i fuorusciti ghibellini alleati agli esiliati della parte bianca contro i quali il predecessore del G. aveva iniziato un’accanita lotta di sfinimento.
Alla fine del mese di giugno le operazioni militari si erano concentrate intorno a Castel del Piano (pian tra Vigne), nel Valdamo superiore, e fu merito del G. di avviarle verso una rapida soluzione. Grazie a un accordo segreto, dietro promessa di un’ingente somma di denaro e la restituzione dei beni loro confiscati, con alcuni esponenti dei Pazzi alleati con gli Ubertini contro i Fiorentini, il G. riuscì a ottenere la resa del castello e a far prigionieri gran parte degli assediati, che vennero esemplarmente condannati. Pronunciò, poi, numerose sentenze contro i Cerchi e la Parte ghibellina: 108 condanne a forti pene pecuniarie, 260 alla decapitazione, 206 alla forca e 93 al rogo. Dopo la cacciata e la devastazione dei beni dei Pazzi e dei Cerchi, il 4 luglio 1302 la Parte guelfa nominò un procuratore con il compito di fare pressione presso il podestà affinché le case, le torri e i possedimenti nel contado dei fuorusciti fossero sequestrati o devastati irreparabilmente. L’istanza fu probabilmente accolta dal G., che il 20 ottobre condannò in contumacia il notaio Petracco da Incisa, padre di Francesco Petrarca, al taglio della mano e a un’ammenda di 1000 lire per la falsificazione di un atto ai danni di Albizzo Franzesi.
Il G. mantenne nel contempo forti legami con Brescia e il vescovo Maggi: al termine del primo mandato fiorentino contribuì alla repressione delle ribellioni scoppiate in Valcamonica, mentre nel 1301 intervenne a fianco del presule per favorire una tregua tra Bergamo e Milano. L’anno seguente aveva termine con un intervento papale la lunga vertenza aperta con la mensa vescovile per il possesso dei beni di Corvione, che furono riconosciuti alla famiglia Gambara, mentre il G. veniva inviato insieme con Bresciano Sala come mediatore a Bergamo per tentare una difficile pacificazione tra i cives e i fuorusciti. La missione ebbe esito favorevole, ma il G. dovette rientrare in fretta a causa della difficile situazione politica bresciana, detenninata dalla scadenza del mandato quinquennale conferito al Maggi e dal pericolo, per la fazione che sosteneva il vescovo, di perdere la supremazia politica raggiunta. Durante una tumultuosa seduta del Consiglio generale degli anziani, svoltasi alla fine di marzo del 1303, Tebaldo Brusati fu incriminato e bandito insieme con molti esponenti dei Griffi, dei Confalonieri e degli Ugoni. In questa azione politica si distinsero sia il G., sia Girone da Palazzo, i quali chiesero al Consiglio di confennare, come poi avvenne, la balìa al vescovo Berardo Maggi per un altro quinquennio. Il nuovo governo episcopale era però destinato a rivelarsi debole e fondato su incerti equilibri, tali da rendere la vita politica bresciana estremamente precaria.
Il G. diede in sposa una delle sue figlie a Iacobino Sala e un’altra, Adelasia, a Rizardo Ugoni, esponenti di due antichissime famiglie nobiliari di parte guelfa. Il 26 luglio 1304, nella cattedrale di S. Pietro de Dom presenziò al matrimonio di Cancellaria Maggi con Simone da Correggio, figlio di Gibetto signore di Parma, mentre 1121 maggio 1305 fu tra i sottoscrittori dei trattati tra Brescia, Verona e Mantova contro i fuorusciti guelfi. Nel marzo 1307 fu infine tra i firmatari della pace tra Brescia e Bergamo, stipulata nella pieve di Palazzolo.
La crisi politica vissuta dal vescovo Maggi (morto nel 1308) e dalla sua consorteria politica coinvolse anche il G. che, tra il 1308 e il 1311, dovette dare manforte all’esercito cittadino nella repressione delle ribellioni che scoppiavano sempre più di frequente nel contado bresciano. Nel gennaio 1311 era in S. Ambrogio a Milano, insieme con la migliore nobiltà bresciana, per la solenne incoronazione di Enrico VII. In seguito, fu travolto dagli avvenimenti che portarono all’assedio di Brescia compiuto dalle truppe imperiali, dopo che i Bresciani avevano cacciato dalla città il vicario di Enrico VII, Alberto da Castelbarco, insieme con gli esponenti più in vista della fazione ghibellina e nominato loro signore Tebaldo Brusati. Salvatosi dalle stragi susseguitesi in quei mesi fino alla resa della città (settembre 1311), il G. fu tra gli artefici della pace di Gussago, stipulata nell’ottobre del 1313 nella pieve di S. Maria e garantita dal giovane presule Federico Maggi, nipote di Berardo, che ristabiliva un formale equilibrio fra le due fazioni cittadine. Nel mese di novembre fu eletto tra gli Anziani del quartiere di S. Giovanni, incarico che esercitò solo per breve tempo, poiché all’inizio dell’anno seguente ottenne di esserne esonerato.
La cacciata del vescovo Federico Maggi nel 1316 coinvolse anche il G. che nel primo semestre di quell’anno fu chiamato a reggere le sorti del Comune di Genova; nel novembre 1319 fu eletto podestà di Panna e nel maggio dell’anno seguente capitano del Popolo della stessa città. Bandito da Brescia, il G. risiedette a lungo nella città emiliana, dove fu rieletto podestà, stando alla testimonianza del Chronicon Parmense, nel gennaio 1322. Si hanno di nuovo notizie del G. nel 1330 quando, ritornato a Brescia, rappresentò la sua città insieme con Corradino Confalonieri in occasione del conferimento della signoria a Giovanni di Boemia.
Questo fu probabilmente il suo ultimo incarico politico, in quanto dopo tale data non si hanno più sue notizie; nel 1346 il G. è nominato nella documentazione d’archivio come defunto.
Dalla prima moglie, Imiola, nacquero i figli Federico, Adelasia e Maffeo; dalla seconda, AIda «de Fogolinis», già moglie di Bresciano Sala e avuta in sposa grazie a una dispensa papale (1312), nacquero invece due figlie: la prima sposò Iacobino Sala, mentre la seconda, di nome Cancelliera, era ancora vivente nel 1376.
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