DE ANGELIS (Angelis, Angeli), Gherardo
Nacque ad Eboli (provincia di Salerno), il 16 dic. 1705 da Anna de Caroli e da Giovanni, marchese di Trentinara. Debole e malaticcio, ma di ingegno vivace ed incline allo studio, fu dapprima educato presso la casa paterna poi, a undici anni, inviato dai genitori a Napoli a frequentare il corso di lettere superiori nelle scuole dirette dai gesuiti. Vi rimase quattro anni studiando, oltre ai classici latini, testi di filosofia, teologia e politica. Nel 1720, come il D. stesso narra (Vita di G. D. dell'Ordine de' Minimi, da lui stesso descritta, a richiesta del p. Ignazio Della Croce, visitatore generale degli Agostiniani scalzi, in Vita di uomini illustri, Miscell., LXIIIs.-I. né d., pp. I-XXXV,), abbandonò il collegio dei gesuiti perché affidato ad "un uomo di lettere, il quale professava la più barbara scolastica". Seguirono tre anni di grande incertezza e di studi disordinati. Il D. si adattò, per compiacere il padre che lo aveva destinato alla professione di avvocato, a frequentare le lezioni di legge all'università e l'Ordine dei giudici per la pratica del foro. Non per questo abbandonò gli studi filosofici e, profondamente attratto dalla vita religiosa, quello dei testi sacri; lesse, per suo conto. Platone, Cartesio, Malebranche, avvertendo, tuttavia, i limiti della sua formazione di autodidatta e la necessità della guida di un maestro.
In questi anni iniziò a comporre le prime rime che riflettono, soprattutto quelle di contenuto autobiografico, secondo uno sperimentato modulo petrarchesco, il disagio della sua condizione prodotto dal contrasto tra una giovanile propensione alla vanità della gloria e la paura della perdizione spirituale. A questo periodo risale l'incontro dei D. con G. B. Vico, del quale ascoltò le lezioni e che lo introdusse nelle conversazioni letterarie della città. Il D. partecipò alle riunioni che si tenevano in casa della marchesa Angiola Cimino, meta dell'alta società napoletana e dei letterati del tempo, che il Vico frequentava con la figlia Luisa, e fece parte di quel circolo di amici e ammiratori dei filosofo napoletano, letterati, professori, predicatori che spesso si incontravano nella sua dimora. Con il Vico il D. continuò negli anni seguenti a discutere della natura dell'arte e della poesia.
Nel 1725 il D. pubblicò a Napoli un primo volume di suoi versi giovanili, Rime, che fu lodato dal Vico in una celebre lettera (Lettera inedita di G. B. Vico a G. D. sopra L'Indole della vera poesia, in Scelta miscellanea, Napoli 1783. I, p. XXXVIII). Nel 1726 pubblicò a Napoli un secondo volume; un terzo volumetto apparve sempre a Napoli con data del 1727 (di questo si ha una successiva edizione; Delle giovanili rime, Bologna 1728). Preparò quindi una nuova edizione, in cui fece una scelta delle precedenti rime e ne aggiunse di nuove; la raccolta era preceduta da una lettera al lettore di G. B. Vico (Rime scelte, Firenze 1730). Si ebbero in seguito altre edizioni, sempre a cura dell'autore, l'ultima delle quali, Rime giovanili scelte, fu pubblicata a Napoli nel 1752. Nel 1727, per la morte della marchesa Angiola Cimino, scrisse un libro di versi (Firenze 1730). che gli valse l'invito, ricevuto per trainite di Anna Pinelli principessa di Belmonte, a recarsi a Vienna come poeta cesareo. Il D. ormai deciso a prendere i voti rifiutò, ed al suo posto fu chiamato il Metastasio.
La produzione poetica del D., da lui stesso distinta, nella prefazione all'edizione fiorentina, in dedicatoria, pastorale, amorosa, soggettiva, allegorica ed in morte di Angiola Cimino, tranne che nei componimenti "soggettivi" e nei versi per il Vico e per il Muratori, pieni di realismo e sincero affetto, non si discosta dalla tradizione arcadica.
Ormai deciso a prendere i voti, il D. trovò l'opposizione della famiglia, tanto che il padre, con una lettera al suo procuratore in Napoli, lo privò di ogni aiuto. Nel 1728 entrò nella Congregazione della Famiglia di Gesù Cristo detta dei Cinesi, appena fondata dall'abate Matteo Ripa per la formazione dei giovani chierici; vi rimase un solo anno per poi passare nel convento di S. Francesco da. Paola. Qui recitò l'annuale panegirico di s. Francesco e dopo solo sei mesi, il 24 dic. 1729, con indulto speciale, vestì l'abito dell'Ordine dei minimi. Per quattro anni si dedicò interamente allo studio della teologia, dei padri della Chiesa, dei concili e alla lettura delle opere di s. Tommaso, di Estio, di Natale Alessandro e degli Annali del cardinale Baronio. Nel 1733 fu destinato al monastero di Salerno e qui, rifiutando l'offerta del vescovado di Ugento, si diede all'esercizio quotidiano della predicazione e dell'insegnamento. Rinomato per le sue qualità oratorie, il D. fu spesso chiamato a Napoli e in altre città a pronunziare Orazioni panegiriche e sacri ragionamenti. In questo periodo polemizzò con il confratello F. A. Piro, autore di un'opera contro il Bayle sulle origini del male, in cui si sosteneva che Dio avesse permesso il male per stabilire la virtù eroica nel mondo.
Il D., giudicando insufficienti le obiezioni antibayliane, nell'opuscolo Opponimento al sistema del padre F. Piro de' minimi intorno alla origirte del male si oppose alle argomentazioni del francescano e, con maggiore chiusura deterministica, sostenne la possibilità degli uomini di giungere anche in grado eroico alla virtù senza conoscere il peccato. La polemica antibayliana, a cui poi presero parte anche il principe della Scalea e il giurista Alessandro Marini, continuò negli anni successivi e valse a diffondere maggiormente il pensiero del Bayle a Napoli.
Qui il D. ritornò nel 1738 e vi continuò la predicazione e per incarico del re e di altri personaggi, recitò orazioni sacre e funebri.
Nelle sue orazioni i contemporanei ammirarono soprattutto la "gravità", il "decoro" e lo stile "saggio" e "dotto". Il D. insieme con il cappuccino Bernardo Giacco, fece parte di quel gruppo di oratori ufficiali al cui stile accademico si oppose s. Alfonso che lo definì "niente affatto profittevole". Accolto con onore nei convegni di intellettuali che si tenevano in casa dei marchese Grimaldi, vi conobbe il Filangieri e il giovane Mario Pagano, nel quale coltivò l'amore per la poesia avviandolo allo studio dell'eloquenza.
Collaborò con il Pagano alla Scelta miscellanea, per riesumare le opere minori di Vico, e di Vico, insieme con il figlio Gennaro, contribui a mantenere viva la memoria nelle accademie letterarie e negli ambienti universitari.
Continuò a predicare fino al 1765 quando, malato, si chiuse nel chiostro del monastero di S. Maria della Stella. Scrisse cinquanta Orazioni che furono pubblicate a più riprese (Orazioni sacre, Napoli 1742; Orazioni varie, ibid. 1750; Orazionifunebri, ibid. 1774 e 1778). Appartenne agli Arcadi romani, agli accademici della Stadera, agli aleatini di S. Agostino e agli Immaturi, poi accademici Sinceri della Reale Arcadia S.ebezia.
Morì a Napoli il 2 giugno del 1783.
Fonti e Bibl.: Novelle letter. (Firenze), IX (1748), col. 766; XII (1751), col. 239; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I, 2, Brescia 1753, p. 761; Produzioni letter. in onore del padre G. degli Angioli recitate dagli Accad. Sinceri della R. Arcadia, Napoli 1798; G. B. G. Grassi, Padre Degli Angioli, in Biografie degli uomini ill. del Regno di Napoli. V, Napoli 1818; E. De Tipaldo, Biogr. degli Ital. illustri..., I,Venezia 1834, pp. 9-11; E. Perito, G. De Angiolis, in Scritti di storia, di filologia e d'arte, Napoli 1908, pp. 249-54; L. Papa, G. Degli Angeli, Verona 1914; B. Croce-F. Nicolini, Bibliografia vichiana, pt. i, Napoli 1947, ad Indicem; P. Addante, Vita e pensiero di F. Piro in relazione al problema del male, Paola 1960, ad Indicem; G. De Crescenzo, Dizionario salernitano di storia e cultura, Napoli 1960, p. 139; F. Venturi, Riformatori napoletani, in Illuministi ital., V, Napoli 1962, pp. 786 s.; G. Solari, Studi su Mario Pagano, Torino 1963, ad Indicem; G. Gentile, Studi vichiani, Firenze 1968, pp. 197 s.; R. De Maio, Dal sinodo del 1726 alla Prima restaurazione borbonica del 1799, in Storia di Napoli, VII,Napoli 1972, pp. 851-54;R. Sirri, La cultura a Napoli nel Settecento, ibid., VIII, ibid. 1971, pp. 238, 305;G. Natali, Il Settecento, Milano 1973, p. 444.