RANGONI TERZI, Gherardo Aldobrandino
– Nacque a Modena il 15 maggio 1744, primogenito di Bonifacio dei marchesi di Castelvetro e Levizzano, e di Corona dei conti Terzi di Sissa.
Educato presso il collegio dei nobili di Parma, Gherardo fu – in linea con i più stretti rapporti politici tra Estensi e Asburgo dopo la guerra di successione austriaca – mandato a Vienna presso l’Accademia di Savoia, recentemente fondata da Teresa Anna Felicita di Lichtenstein, vedova di Tommaso Emanuele di Savoia-Soissons. Qui coltivò specialmente le discipline fisico-matematiche, come dimostra l’unico lavoro edito, 140 proposizioni di dinamica e meccanica discusse e pubblicate a Vienna nel 1762, in appendice a un volume Dissertationum Physico-mechanicarum tratte dai Commentarii dell’Accademia delle scienze di San Pietroburgo. Lo dedicò a Maria Teresa che lo ricompensò con la nomina a ciambellano.
Rientrato a Modena, assunse il ruolo destinatogli dalla tradizione famigliare. Il matrimonio (1768) con Olimpia Rangoni, dello stesso suo ramo di Castelvetro, rispondeva forse a un’oculata scelta di conservazione patrimoniale spesso praticata nella famiglia. Dal matrimonio nacquero almeno quattro figli: Ludovico, Bonifacio, Emilia, monaca salesiana, Olimpia che sposò il marchese Stefano Benincasa di Ancona.
Sulla scia delle sollecitazioni muratoriane e del più stretto contatto con il riformismo asburgico, grazie alla sua presenza a Milano quale governatore generale della Lombardia austriaca, Francesco III d’Este (1737-1780) avviò una più decisa politica di riforme, nei settori dell’amministrazione, delle istituzioni ecclesiastiche all’insegna del giurisdizionalismo, dell’assistenza, degli studi, delle opere pubbliche e della legislazione civile e penale (Codice Estense, 1771). La ‘naturale’ appartenenza di Rangoni all’élite dirigente estense e gli spiccati interessi culturali, alimentati anche dai rapporti intessuti con vari intellettuali locali aperti agli influssi illuministici – Agostino Paradisi, Lodovico Ricci, Lodovico Antonio Loschi, Lazzaro Spallanzani, Vincenzo Alfonso Fontanelli – spiegano le nomine, nel 1773 a 'ministro sopra il Collegio d’educazione dei nobili' e a presidente del dicastero dei Riformatori degli studi, dopo che nel settembre 1772, con le Costituzioni per l’Università di Modena ed altri Studi […], il duca aveva riformato lo Studio pubblico di S. Carlo, fondando un’Università statale con quattro classi (arti e filosofia, teologia, legale e medica) mentre la precedente istituzione restava come collegio di educazione ma limitato al corso di studi umanistici. Rangoni operò insieme al naturalista Bonaventura Corti, cui affidò dal 1777 un radicale riordino dell’istituto con l'introduzione dell’italiano come lingua d’insegnamento e di nuove discipline come la storia e la geografia.
Il dicastero dei Riformatori negli anni successivi al 1773 mise in pratica la riforma universitaria, in relazione ai rapporti tra collegi dei professori e collegi professionali, alla definizione di figure professionali minori, allo sviluppo delle discipline scientifiche. La presenza a Modena di alcuni docenti di spicco in campo scientifico – come Antonio Scarpa, Michele Araldi, Giambattista Venturi, Michele Rosa – e il carattere solo artistico-letterario della ducale Accademia dei dissonanti sono alle origini della 'compagnia di amici' che dal 1782 si radunava periodicamente nel palazzo Rangoni come privata accademia di scienze. Essa chiuderà nel 1792, essendosi l’Accademia dei dissonanti trasformata in Accademia di scienze e lettere.
Rangoni aveva ospitato e sovvenzionato il fisiologo Michele Rosa, impegnato in esperienze sulla trasfusione sanguigna, cui avevano partecipato anche Antonio Scarpa, Giuseppe Maria Savani, Mariano Moreni e Giambattista Venturi. Questo nucleo iniziale fu portato a 12 membri, compreso il mecenate che offriva una medaglia d’oro annuale del valore di 50 zecchini da attribuirsi a una delle memorie presentate. Anche Rangoni presentò varie memorie (ancora inedite e brevemente riassunte in Venturi, 1818, pp. 22-26) su temi diversi, dalla statistica alla fisica (tradusse dal tedesco la memoria di Ernst Chladni sulle lastre vibranti nello stesso anno, 1787, in cui era presentata a Lipsia), alla gnoseologia (fu tra i primi a leggere in Italia l'Immanuel Kant della Critica della ragion pura), alla filosofia politica con analisi del pensiero di Thomas Hobbes, criticato per aver fatto «nascere il diritto dalla forza» (Ibid., p. 24), e di Montesquieu.
Rangoni era nel frattempo divenuto componente del Consiglio di economia, consigliere intimo, segretario di Stato e membro della Tavola di Stato, l’organismo che suppliva al sovrano in sua assenza. Si trovò così al centro dei dibattiti e delle decisioni relative al piano di riforma tributaria, proposto nei primi anni Settanta da Salvatore Venturini, già presidente del magistrato di Agricoltura e Commercio, basato sulla pressoché totale abolizione dei dazi e l’applicazione del tributo mercantile e dell’imposta fondiaria diretta, da riscuotersi direttamente dallo Stato.
Era un piano di chiara ispirazione fisiocratica. Tale dottrina era insegnata in Università da Agostino Paradisi che dal 1776 era impegnato, su consiglio dello stesso Rangoni, nella traduzione (rimasta inedita) de Le commerce et le gouvernement, di Étienne Bonnot de Condillac. Con quest’ultimo, forse incontrato negli anni parmensi (1758-1767), Rangoni fu in corrispondenza e gli chiese anche un parere, che fu positivo, in merito alla relazione, commissionatagli dal duca, sul piano di riforma. Di essa venne poi steso un Epilogo dell’esame fatto da S. E. il signor marchese Gherardo Rangone sopra il piano di tributi… (1779; cf. Ricca-Salerno, 1894, pp. 622-624) «di piena osservanza fisiocratica» (Dattero, 2014, p. 285), che viene generalmente attribuito a Paradisi (Ricca-Salerno, 1894, pp. 622-624; Ricca-Salerno, 18962 (1960), pp. 274-278; F. Venturi, 1987, pp. 612 s.; Dattero, 2014; l’attribuisce a Rangoni invece Rabitti, 1971, pp. 70-77; Rabitti, 2007). In effetti, va sottolineata la consonanza di intenti tra il Rangoni e il duca, vera traduzione pratica dell’ideale illuministico della collaborazione tra sovrano e filosofo, che permise di superare l’ostracismo dei fermieri, i quali si erano rifiutati di consegnare i registri della Ferma di Modena. Fu Paradisi a trovare le informazioni necessarie attraverso l’analisi dei libri della Ferma di Reggio, a consultare il ministro Angelo Tavanti sulle riforme fiscali in Toscana, a occuparsi della parte contabile del piano di Venturini. Pur approvato da Francesco III, esso ebbe però un’attuazione parziale.
Ercole III, ritornato a Modena alla morte del padre, inaugurava un metodo di governo ministeriale, creando un Supremo Consiglio di Conferenza da lui presieduto: ministro degli Interni (e vicepresidente del Consiglio) nominò Rangoni, che rinunciò perciò agli incarichi nella Pubblica Istruzione.
Oltre a impegnarsi in vari ampliamenti legislativi del Codice estense per migliorare l’amministrazione della giustizia, egli - descritto dai suoi biografi come fervente cattolico (Brignoli, 1835, pp. 473-474) - riprese la precedente politica giurisdizionalista: nel 1780 tolse all’Inquisizione, poi abolita nel 1785 (seppure i suoi poteri vennero trasferiti ai vescovi), il controllo sulla stampa, lasciando libera la circolazione e lettura dei libri «massime giurisdizionali e politici» (grida del 13 apr. 1780, cit. in Rabitti, 1971, p. 99) e limitando la censura preventiva ai libri dichiaratamente irreligiosi; mentre proseguivano le soppressioni delle case religiose. Nel 1784 erano eliminate tutte le immunità ecclesiastiche in materia di tributi; secondo lo spirito della 'regolata devozione', venivano inoltre ridotte e regolamentate le feste religiose e disciplinato il fasto degli apparati ecclesiastici. Nei confronti dei privilegi feudali 'laici' l’azione fu meno incisiva, ma furono limitati i diritti di caccia; il decreto del 19 marzo 1785 firmato da Rangoni, che deliberava l’attuazione di nuove opere stradali e aboliva o diminuiva gabelle e tributi, va considerato la premessa alla riforma annonaria (1788) che liberalizzava il commercio dei grani e il preludio al varo nello stesso anno del nuovo catasto.
Nel 1792 Rangoni presentava le proprie dimissioni; la morte della madre lo obbligava a occuparsi più direttamente del vastissimo patrimonio famigliare: nel 1791 le sue proprietà terriere, nel solo ducato di Modena, ascendevano a 620 ettari (Rinaldi, 2001, p. 972). Di fatto dava anche sfogo a un’antica passione, se fin da ragazzo sognava di andare in Cina (Brignoli, 1835, pp. 460, 470): tra il ’93 e il ’94 visitava Roma e Napoli e tornava a Vienna; si ritirava infine a Borgoforte nel Mantovano, dove possedeva una casa. Nel volontario isolamento dalla politica dovette giocare una parte importante la Rivoluzione francese e la sua affermazione in Europa. Nel 1795 decideva di trasferirsi negli Stati Uniti: vendette i terreni che possedeva in Boemia per eredità materna e inviò a Filadelfia per acquistare una tenuta il primogenito Ludovico; la morte del figlio per febbre gialla fece arenare il progetto, mentre le vittorie dei Francesi in Italia lo spinsero a riprendere nel 1796 un ruolo politico attivo.
Ai primi di maggio Ercole III abbandonava infatti Modena alla volta di Venezia e lasciava la reggenza a un Consiglio di governo, presieduto da Rangoni. Tra maggio e ottobre, quando la città cadde definitivamente in mano ai Francesi, il Consiglio cercò di mediare tra le aspettative del duca di difesa della sua sovranità, la necessità di evitare rappresaglie alla popolazione e tumulti da parte di questa, e le pretese dei Francesi per l’esborso di una pesante contribuzione, per il pagamento della quale ricorse a prestiti forzosi. Amareggiato ma non disposto a collaborare con i Francesi, il marchese lasciò Modena. I movimenti successivi non sono del tutto ricostruibili; visse alcuni anni tra Padova e Venezia; si trasferì poi (non è chiaro quando, ma prima del 1808) - dopo aver venduto il palazzo di Modena e altri beni - a Vienna, dando, anche in questo caso, prova della sua fedeltà a un 'riformismo illuminato' che si tingeva ormai di tinte conservatrici e attardate. Non mancarono rientri temporanei in Italia, come è attestato, ad esempio, da una lapide nella chiesa parrocchiale di Sissa (Parma) che ne testimonia la presenza, nell’agosto 1812, per riesumare, insieme al cugino Pietro Marazzani Terzi, il corpo della nonna materna Anna Maria Sanvitale Terzi. A Vienna si dedicò completamente ai suoi studi, dalla storia alla filosofia (riprendeva le sue riflessioni su Kant), alle scienze, matematiche, fisiche e naturali - sempre attraverso una prospettiva utilitaristica e applicativa -, alla poesia, non a caso didascalica.
Morì il 27 maggio 1815 a Hietzing, sobborgo di Vienna, e fu sepolto nella chiesa parrocchiale di Ottenschlag.
Fonti e Bibl.: Modena, Biblioteca Estense, Autografoteca Campori, Lettere di A. Paradisi a G. R., t. IV; Raccolta Campori: Scritti diversi del marchese G. R., y. D. 1-15; Scritti politici, scientifici, letterari del marchese G. R., y. A. 5. 1-3, tomi I-II-III.
G. Venturi, Memoria intorno alla vita del marchese G. R., letta al Cesareo-regio Istituto di scienze di Milano…, Modena 1818; P. Litta, Famiglie celebri italiane, IV, 1819, R. di Modena (tav. V); A. Sabini, Collegii Parmensis nobilium convictorum nomenclatura universalis […], Parma 1820, p. 167; G. de’ Brignoli, Del marchese G.A. R.-Terzi modonese. Notizie biografiche, in Continuazione della Biblioteca modonese di Girolamo Tiraboschi, IV, Modena 1835, pp. 457-483; G. Ricca Salerno, Agostino Paradisi e G. R., in Nuova Antologia, s. 2, LIII (1894), pp. 605-632; Id., Storia delle dottrine finanziarie in Italia (18962), rist. Padova 1960, pp. 272-289; C. Poni, Aspetti e problemi dell’agricoltura modenese dall’età delle riforme alla fine della Restaurazione, in Aspetti e problemi del Risorgimento a Modena, Modena 1963, pp. 123-174; M. Rabitti, G. R. nel governo di Modena (1772-1796), tesi di laurea in storia moderna, Università di Bologna, Facoltà di lettere e filosofia, anno acc. 1971-1972; L. Pucci, Lodovico Ricci. Dall’arte del buon governo alla finanza moderna, Milano 1971, ad ind.; F. Venturi, Ritratto di Agostino Paradisi, in Nuova rivista storica, LXXIV (1972), 4, pp. 717-733; C.G. Mor - P. Di Pietro, Storia dell’Università di Modena, I, Firenze 1975, pp. 99, 527-530, 589; L. Marini, Lo Stato estense, in Storia d’Italia, diretta da G. Galasso, XVIII, Torino 1979, pp. 111-159; G.P. Brizzi, Riforme scolastiche e domanda di istruzione, in Istituzioni scolastiche e organizzazione dell'insegnamento nei domini estensi nel XVIII secolo, a cura di G.P. Brizzi, in Contributi (numero monografico) 1982, 11-12, pp. 53-98; G. Santini, Lo Stato estense tra riforme e Rivoluzione: le strutture amministrative modenesi del XVIII secolo, Milano 1983, pp. 82 s., 107 s., 119-121, 133 s., 160 s.; F. Venturi, Settecento riformatore, V/1, L’Italia dei lumi (1764-1790), Torino 1987, pp. 599-621; M. Rabitti, G. R. al governo di Modena, in Modena/Storia, s. 2, 2007, n. 23, pp. 15-21; A. Rinaldi, Il possesso fondiario modenese dal secolo XVIII al 1859, in Lo Stato di Modena. Una capitale, una dinastia, una civiltà nella storia d’Europa, a cura di A. Spaggiari - G. Trenti, Roma 2001, pp. 967-980; A. Dattero, Paradisi, Agostino, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXXI, Roma 2014, pp. 281-286.