OBIZZI, Gherardino
OBIZZI (Malaspina degli Obizzi), Gherardino. – Nacque presumibilmente a Lucca negli anni Settanta del Duecento, figlio di Guglielmo, già podestà di Padova nel 1285 e vicario di Fucecchio in Valdarno nel 1288.
Erroneamente ritenuto dai genealogisti esponente di un ramo dei Malaspina di Lunigiana, appartenne al casato dei Malaspina degli Obizzi, potente consorteria guelfa lucchese. Due membri dello stesso casato, Maghinardo e Bartolomeo, detennero presso il vescovado di Luni cariche di rilievo (l’uno nel 1307, vacando la sede vescovile, fu visconte pro Lunense capitulo; il secondo, nell’agosto 1312, luogotenente del visconte), quasi a indicare un particolare coinvolgimento della schiatta lucchese nelle sorti della diocesi lunigianese. Va evidenziato come la derubricazione di Obizzi dalla stirpe marchionale lunigianese contribuisca a confutare la tesi propugnata da Gioacchino Volpe (1923), secondo cui gli inizi del secolo XIV avrebbero visto il prevalere in quell’area di vescovi-marchesi malaspiniani: vi fu piuttosto nella regione, accanto alla presenza lucchese, quella di altre componenti, genovesi soprattutto – come testimoniato dalla pressione dei Fieschi – colluse con schieramenti locali nel controllo della regione.
Non si hanno notizie degli anni giovanili di Obizzi. Al 1° luglio 1290 risale il documento con l’indicazione del nome del padre: si tratta di una lettera di Niccolò IV (Ferretto, 1901, p. XXXVII), in cui si esortava il vescovo di Lucca a permettere a Obizzi, nonostante l’età, di conseguire la pieve di Vico, che aveva solo 16 parrocchiani e 20 fiorini annui di rendita. Ben più appetibile sarebbe stata di lì a non molto, presumibilmente intorno agli inizi del Trecento, la designazione a godere quale pievano del beneficio di S. Piero in Campo presso Pescia, in diocesi di Lucca.
Questa pieve, stando alla decima pontificia degli anni 1302-03, era tassata per una somma superiore a quella imposta alla stessa pieve di Pescia; si trattava quindi di un beneficio assai cospicuo, di cui non è però certo se Obizzi si limitasse a percepire i frutti o se vi risiedesse; non è noto neppure l’anno della designazione e la documentazione presso gli archivi ecclesiastici non fa menzione del suo nome.
Le vicende successive si legano alle tormentate vicissitudini della diocesi di Luni, la cui circoscrizione territoriale era da tempo oggetto di usurpazioni soprattutto da parte di esponenti della famiglia dei Malaspina. Dopo una nutrita serie di episodi che avevano contrapposto i presuli lunensi alle pressioni dei marchesi, si era giunti a un accordo (siglato il 6 ottobre 1306 a Sarzana da Dante Alighieri come procuratore dei marchesi di Mulazzo, Giovagallo e Villafranca), in base al quale il vescovo Antonio da Camilla aveva ottenuto che trovassero una soluzione le annose questioni relative ai castelli di Sarzana, Carrara, S. Stefano, Bolano. Dopo la morte del presule, tra luglio e agosto 1307, motivi di discordia interna al gruppo dei canonici incaricati dell’elezione del suo successore determinarono una scissione all’interno del Capitolo: una parte degli elettori, riuniti nella sacrestia della chiesa di S. Maria e S. Basilio di Sarzana, scelse Obizzi; gli altri, disertando l’adunanza per timore, come si disse, di essere forzati a votare contro la propria volontà, si raccolsero nella chiesa del castello di Ponzanello, dove elessero frate Guglielmo dell’Ordine dei minori.
La spaccatura assumeva una colorazione politica: come ebbe modo infatti di dimostrare Giovanni Sforza (1870, p. 9) fondandosi su un documento lucchese del 1307, Guglielmo era intimamente legato ai lucchesi esuli di parte bianca, che avevano stanza nella città di Pisa; là il 20 ottobre avevano preso in prestito una somma di denaro da consegnarsi a Percivalle Mordecastelli, diretto «pro ambasciatore ad dominum papam, cum religioso viro fratre Guillielmo de ordine fratrum minorum electo episcopo Lunisciane», per perorare la causa dei bianchi lucchesi. Guglielmo dunque era bianco, mentre nero dovette essere Obizzi, la cui partigianeria lo avrebbe conseguentemente ed effettivamente collocato sul fronte degli avversari di Enrico VII.
Per ovviare al problema dello scisma lunense, gli elettori di Obizzi si appellarono al cardinale Napoleone Orsini, legato di papa Clemente V in Lunigiana, nell’intento di veder confermata la scelta. Obizzi non si arrischiò a recarsi di persona presso il cardinale e preferì mandarvi un procuratore; in persona invece si mosse il suo competitore. Poiché Orsini però non prendeva partito né per l’uno né per l’altro, Obizzi raggiunse ad Avignone Clemente V, che sottopose la contesa al giudizio di Pietro vescovo di Preneste e a Berengario vescovo di Tuscolo: con la prima risoluzione furono dichiarate nulle entrambe le nomine. Si intromise a quel punto il re di Francia Filippo il Bello, scrivendo in favore della designazione di un terzo candidato, il fiorentino Albizzo dei Bardi. Solo il 9 maggio 1312 Clemente si decise in favore di Obizzi, di cui, accanto alle doti personali, nella bolla di nomina metteva in evidenza la potenza di legami parentali e clientelari, mediante i quali auspicava il recupero dei possessi e dei diritti di cui la Chiesa di Luni era stata spogliata nei tempi più recenti.
Solo pochi mesi dopo quella sofferta elezione, la situazione politica mutò in modo rapido e inaspettato in conseguenza della decisa azione di Enrico VII di Lussemburgo in Italia. Questi, infatti, nell’intento di provvedere all’insediamento di uomini di sua fiducia nei punti più importanti del proprio itinerario, inviò in Lunigiana il conte Guido Novello cui, in dispregio del potere giurisdizionale esercitato da Obizzi nella regione, era stato conferito il titolo di capitano generale della diocesi e dell’episcopato lunense. Obizzi fu colpito di lì a poco dalla scomunica e dal bando dell’Impero: non essendosi presentato al sovrano per ossequiarlo e fornirgli l’aiuto militare intimato ai vassalli contro gli alleati guelfi di Firenze, fu spogliato in contumacia, il 23 febbraio 1313 dagli accampamenti di Poggibonsi, di ogni signoria che esercitasse su Luni per diritto imperiale.
La risoluzione era effetto, come recita la lettera del provvedimento (Sforza, 1870, p. 9) dell’aver sdegnato di essere del seguito dell’imperatore, con una schiera di armati, quando questi gliene aveva espressamente scritto in procinto di partire per Roma per cingersi della corona; del non essere mai voluto andare, come gli era stato comandato, a dargli aiuto contro Firenze stretta d’assedio; e del non essergli infine comparso davanti per difendersi dalle proprie colpe quando gli era stato ingiunto.
Obizzi, tutt’altro che intenzionato a venire a più ragionevoli consigli, si vide costretto ad abbandonare la Lunigiana: si allontanò dalla sede vescovile – dove non avrebbe mai fatto ritorno – rifugiandosi in un primo tempo a Fucecchio, punto di riferimento dello schieramento antimperiale. Del vuoto di potere approfittarono la Repubblica di Genova e i Malaspina, che occuparono le terre del vescovato. La situazione si fece ancor più preoccupante con la morte improvvisa di Enrico VII, che certo non risolveva a favore della cattedra vescovile gli equilibri politici della regione, compromessi dalla fuga di Obizzi e dall’occupazione dei beni di sua pertinenza giurisdizionale. In tale difficile frangente Obizzi prese una risoluzione che si sarebbe ben presto rivelata scarsamente lungimirante, designando a tutore dei propri diritti il giovane condottiero lucchese Castruccio Castracani.
Alla nomina di quest’ultimo, senza limiti di tempo, a visconte del vescovado lunense, il 4 luglio 1314, non fu certo estranea l’influenza di Uguccione della Faggiuola, freschissimo signore di Lucca; e fu forse ancora grazie alle pressioni del Faggiolano che il 5 dicembre successivo Castruccio si vide attribuire anche il mandato di vicario, difensore e protettore delle terre di Sarzana e Sarzanello. Posti dal vicario imperiale sotto la giurisdizione di Pisa, quei Comuni si trovavano, dopo la morte del sovrano, in una situazione di grave precarietà; pur avendo inizialmente contato sull’aiuto dei Malaspina per sfuggire alla soggezione pisana, rivelatasi troppo onerosa, vedevano ora nella figura di Castracani quella di un’autorità che avrebbe garantito l’esercizio di una certa autonomia. A differenza di quanto era stato previsto per la nomina di visconte del vescovato, l’incarico vicariale era soggetto al limite di due anni, dopo i quali Sarzana e Sarzanello sarebbero state restituite all’imperatore o a un suo vicario: di fatto Castruccio si accinse di lì a poco a provvedere alle opere di fortificazione alla foce della Magra, che avrebbero potuto preludere a un insediamento portuale concorrente con Pisa. Fu probabilmente per non aver voluto rimettere nelle mani di Uguccione i possessi lunigianesi che Castruccio, il 1° aprile 1316, fu incarcerato a Lucca; l’11 aprile successivo fu liberato in coincidenza della rivolta scoppiata a Pisa, che portò alla deposizione di Uguccione e all’assunzione dello stesso Castruccio al titolo di signore di Lucca. Probabili debiti di riconoscenza contratti dal nuovo signore con i Pisani in quell’occasione fecero sì che egli, alla scadenza del mandato biennale di vicario, non impedisse il passaggio di Sarzana sotto il controllo pisano, mentre Sarzanello diveniva lucchese.
Di fronte alla completa perdita di ogni effettiva giurisdizione sulle terre del vescovado, Obizzi si rese conto delle conseguenze della propria politica. Dopo la cacciata dei guelfi da Lucca e da Genova, tra l’altro, le forze dei ghibellini si impadronirono dei pochi castelli e villaggi ancora fedeli al vescovo. Obizzi, ormai stabilmente residente a Firenze, chiese allora aiuto al pontefice Giovanni XXII perché intervenisse a ristabilire i diritti della diocesi, che egli stesso aveva leso irreparabilmente con l’attribuzione del viscontato all’ambizioso condottiero lucchese. Una bolla papale, emanata il 21 gennaio 1318 (Bonatti - Ratti, 1991, p. 70), prescrisse ai vescovi di Fiesole e di Firenze un’inchiesta sul patrimonio del collega lunense, senza attaccare esplicitamente Castruccio, cui si faceva allusione allorché si denunciava come le usurpazioni dei beni della mensa fossero iniziate proprio all’epoca in cui questi aveva ottenuto l’incarico di visconte; eloquente risulta la scomunica del signore di Lucca il 4 aprile seguente. Le lamentele di Obizzi e l’intervento del pontefice non sortirono gli effetti sperati: né Castruccio né il Comune di Pisa riconobbero infatti i diritti dell’episcopato lunense.
Trovandosi a Firenze (nel chiostro di S. Iacopo d’Oltrarno furono rogati alcuni documenti risalenti a quel torno di tempo) bisognoso di denaro liquido, Obizzi si risolse, nell’agosto 1318, ad accordarsi direttamente con il Comune di Sarzana per la cessione, mediante un procuratore (il canonico Enrico da Sarzana, arciprete della chiesa di Trebbiana), di consistenti proventi dei beni della mensa vescovile, dietro corresponsione di 50 fiorini d’oro e della pensione annua di 12 denari imperiali: è questa l’ultima notizia di rilievo del suo operato. Rimase attivo come vescovo almeno fino alla fine di quell’anno, dato che nel settembre un canonico agiva ancora come suo procuratore (Il Registrum…, 1965, p. 120).
Morì a Firenze prima dell’agosto 1320 (al 20 di quel mese data la collazione apostolica del successore Bernabò Malaspina di Filattiera).
Assai improbabile risulta l’identificazione di un «Gerius domini Gherardini Malaspina», ricordato nei libri della Biccherna senese alla data del 1347, come di un suo figlio illegittimo. Per lungo tempo, fino alla decisiva presa di posizione di Giovanni Sforza (1904, p. 162), fu oggetto di equivoco l’interpretazione di un passo dell’epistola diretta da Dante Alighieri ai cardinali italiani, in cui si fa riferimento all’operato di Obizzi: «A, mater piissima, sponsa Christi, que in aqua et Spiritu generas tibi filios ad ruborem! Non caritas, non Astrea, sed filie sanguisuge facte sunt tibi nurus; que quales pariant tibi fetus, preter Lunensem pontificem omnes alii contestantur». Lo studioso massese chiarì come l’eccezione fosse in realtà dettata da un palese intento sarcastico, in perfetto stile dantesco.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Lucca, Manoscritti, 126, cc 8r, 183; E. Gerini, Memorie storiche d’illustri scrittori e di uomini insigni dell’antica e moderna Lunigiana, II, Massa 1829, pp. 51-54; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica, LXI, Venezia 1863, pp. 220, 222; G. Sforza, Della signoria di Castruccio e de’ Pisani sul borgo e forte di Sarzanello in Lunigiana, Modena 1870; Bibliografia storica della Lunigiana, a cura di G. Sforza, I, Modena 1872, p. 97; P. Litta, Famiglie celebri italiane, IX, Torino 1879, s.v.Malaspina, tav. III; E. Branchi, Illustrazione storica di alcuni sigilli antichi della Lunigiana, a cura di G. Sforza, in Giornale ligustico, X (1883), pp.137 s.; G. Sforza, Castruccio Castracani degli Antelminelli in Lunigiana, Modena 1891, pp. 2-17, 150,154, 305-307; E. Branchi, Storia della Lunigiana feudale, III, Pistoia 1898, pp. 23-25; A. Ferretto, Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante (1265-1321), in Atti della Società ligure di storia patria, XXXI (1901), pp. XXXVI s.; G. Sforza, Memorie e documenti per servire alla storia di Pontremoli, II, Firenze 1904, p. 162; Jean XXII (1316-1334). Lettres communes, a cura di M. Mollat, II, Paris 1904, nn. 6231, 6981, 7679; G. Volpe, Lunigiana medievale, Firenze 1923, pp. 254 s.; U. Dorini, Un grande feudatario del Trecento: Spinetta Malaspina, Firenze 1940, p. 69; Codice diplomatico dantesco, a cura di R. Piattoli, Firenze 1950, ad ind.; Il Registrum vetus del comune di Sarzana, a cura di G. Pistarino, Sarzana 1965, ad ind.; E. Coturri, Un pievano di S. Piero in Campo di Pescia ricordato da Dante nella sua lettera ai cardinali italiani, in Bull. storico pistoiese, n.s., VII (1965), pp. 3-10; R. Davidsohn, Storia di Firenze, IV, Firenze 1968, pp. 575, 704, 713, 816, 819, 870, 872, 892; G. Baruffini, Malaspina, Gherardino da Filattiera, in Enciclopedia dantesca, III, Roma 1971, pp. 780 s.; B. Campi, Memorie storiche della città di Pontremoli, Pontremoli 1975, p. 93; M. Luzzati, Castracani degli Antelminelli Castruccio, in Dizionario biografico degli Italiani, XXII, Roma 1979, pp. 203 s.; Castruccio Castracani degli Antelminelli in Lunigiana. Catalogo della mostra storico-documentaria, a cura di F. Monatti, Pisa 1981, pp. 33-38; G. Zanzanaini, I Malaspina di Lunigiana, [Lucca] 1986, pp. 53, 58; F. Bonatti - M. Ratti, Sarzana, Genova 1991, ad ind.; E.M. Vecchi, Per la biografia del vescovo Bernabò Malaspina del Terziere (+1338), in Studi lunigianesi, XXII-XXIX (1992-99), pp. 126 s., 131, 136.