Malaspina, Gherardino da Filattiera
, Vescovo di Luni (morto a Firenze nel 1321); escluso, dice ironicamente D., dal numero dei prelati italiani che census et benefitia consecuntur (Ep XI 15-16).
Morto nel 1307 il vescovo di Luni Antonio da Camilla, si verificò uno scisma nel capitolo di Sarzana, che condusse alla duplice elezione di G., figlio di Alberto Malaspina da Filattiera, e di frate Guglielmo dei Minori: scisma che starebbe a provare l'avvenuta divisione degli elettori in Bianchi e Neri, in quanto pare che l'avversario di G. fosse di Parte bianca. Questa interpretazione, oltre che nel sarcasmo di D., troverebbe conferma nel favore di Clemente V, che il 9 maggio 1312 lo confermò vescovo di Luni. S'inizia in questo modo una serie di vescovi-marchesi. (dopo di lui verranno Bernabò e più tardi Gabriele), che è chiara testimonianza della crescente influenza malaspiniana nella direzione della diocesi. Essendosi rifiutato di fornire i suoi contingenti feudali a Enrico VII, ne venne dichiarato ribelle e posto al bando dell'Impero (23 febbraio 1313): sentenza che, mentre costringeva G. ad abbandonare Sarzana, nella quale non sarebbe rientrato neppur dopo la morte dell'imperatore, creava le condizioni perché la città si sciogliesse dalla giurisdizione vescovile. Da Firenze, dov'era riparato, continuò a governare nominalmente la diocesi, ma senza ottenere apprezzabili risultati, né con la nomina di Castruccio Castracani a suo visconte (4 luglio 1314) né con il ricorso al papa (1318).
Il fatto che, tra tutti i prelati italiani, D. scelga proprio lui come esempio di cupidigia da una parte potrebbe testimoniare la sua conoscenza personale di G., che sarebbe avvenuta durante il soggiorno lunigianese del 1306, dall'altra confermerebbe l'ipotesi di una nuova presenza presso i M. al tempo dell'avventura romana di Enrico VII: la sua presenza infatti nella diocesi lunense al tempo della ribellione del vescovo, e quindi la conoscenza diretta della vicenda, darebbe una ragione a questa scelta. Lo stesso uso del termine pontificem al luogo di episcopum sembra confermare che D., ironizzando sul M., abbia avuto presente soprattutto il mancato adempimento dei suoi obblighi feudali: come a significare che, con quel rifiuto, egli si era posto ambiziosamente di fronte a Enrico, su un piano d'indipendenza quasi fosse stato pontefice.
G. Sforza, non intendendo il sarcasmo dantesco e di conseguenza non spiegandosi come potesse essere celebrato proprio un ribelle all'imperatore, ne fece la base per porre in dubbio l'autenticità dell'epistola ai cardinali.
Bibl. - G. Sforza, Castruccio Castracani degli Antelminelli in Lunigiana, in " Atti e Mem. Deputazione St. Patria Prov. Modenesi e Parmensi " s. 3, VI (1890) 301-572; G. Volpe, Lunigiana medievale, Firenze 1923, 254 ss.