GHAZNA (v. vol. III, p. 860)
Città dell'Afghanistan, oggi Ghazni, c.a 140 km a S di Kabul, forse da identificare con una 'Αλεξάνδρεια (Ptol., Geog., VI, 20, 4) ο Άλεξανδρόπολις (Isidoro di Charax) in Arachosia. Da escludere è invece l'identificazione con la Γάζακα/Γαύζακα (Ganzaka?) di Tolemeo (Geog., VI, 18, 4), che è a Ν di Καϐοϋρα/Όρτόσπανα, nei Paropamisadai. Qualche dubbio, se non altro linguistico, può ancora restare sull'identificazione di Gh. con la Ho-si-na di Xuanzang, il pellegrino cinese del VII sec. d.C. Nota soprattutto per l'importanza che ebbe al tempo della dinastia islamica degli Yaminidi o Ghaznavidi (X-XII sec.), si è ritenuto a lungo che essa fosse rimasta fuori dalle grandi vie di comunicazione in età precedente, dal periodo ellenistico in poi. La ricerca archeologica, avviata poco dopo la metà del nostro secolo, ci ha fornito un quadro del tutto diverso, confermando l'importanza della via meridionale che univa l'Occidente iranico alla valle del fiume Kabul e, quindi, all'India attraverso le attuali Kandahar e Ghazni.
Fatte salve forse alcune monete, nulla ci resta della Gh. ellenistica e indo-greca; d'altra parte, nessuna documentazione archeologica precisa abbiamo di un insediamento abitativo prima del periodo islamico. Tuttavia è certo che Gh. ebbe a svolgere un ruolo politico importante dagli Eftaliti in poi (V-VI sec.), in particolare sotto il dominio, pur effimero, dei re di Zabol. È fin troppo ovvio pensare che la cittadella di Ghazni - e, in genere, l'area della città vecchia - sia da considerare come il luogo più vitale dell'antica città, ma nessuna ricerca archeologica è mai stata possibile in quel terreno. Ed è legittimo ritenere che la grande area urbana che si estende da Ghazni a Rowza contro le pendici delle colline (Koh-e Rowza) che limitano a Ν il Dašt-e Manāra, sia almeno in parte preesistente al periodo islamico.
Resti di strutture murarie di tipo «gandharico» furono visti durante l'esecuzione di lavori edilizi presso il Maidān (la grande piazza) della Šahr-e Now di Ghazni, nel 1964, ma non fu possibile procedere ad alcun accertamento. Anche i resti di alcune strutture precedenti l'impianto del Palazzo di Mas'ud III possono forse ricondursi a un'epoca preislamica. Ma l'importanza archeologica della città, per quanto riguarda il periodo precedente la conquista islamica, sta nel santuario buddhistico di Tapa Sardār (forse l'antica Šāhbahār < Rājavihāra; una iscrizione su frammento ceramico suggerisce che il santuario fosse effettivamente noto come [Kaniska]-Mahārāja-vihāra), una collina naturale nel Dašt-e Manāra, tra Ghazni e Rowza: in essa furono condotti scavi dalla Missione Archeologica Italiana (dell'Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente) a partire dal 1959, ma con regolarità solo dal 1967 al 1976.
Si tratta di un santuario che, nella sua fase ultima (c.a VIII sec.), presenta massicce strutture murarie in mattone crudo, con ambienti voltati, che contengono una corte ampia occupata per massima parte da un grande stūpa di epoca più antica, costruito in pietra con tecnica «gandharica». Fin dall'inizio dello scavo apparvero come della massima importanza le sculture in argilla che venivano in luce in straordinaria quantità: sebbene le operazioni sul terreno siano sospese da molti anni a causa della situazione politica, il contributo di Tapa Sardar è stato determinante nel costruire una cronologia per la produzione scultorea tardo-kuṣāṇa e post-kuṣāṇa dell'Afghanistan.
La collina si estende lungo un asse maggiore N-S e presentava alla sua sommità un piano orizzontale relativamente ampio, certamente dovuto a uno spianamento recente, dove sorge il Grande Stūpa.
Lo scavo ha interessato tre zone: innanzi tutto questa terrazza superiore, poi una terrazza minore a S, infine un'altra più modesta a NO della terrazza superiore. Le caratteristiche stratigrafiche salienti del sito si possono così riassumere: lo strato 4 è formato dal crollo delle strutture architettoniche, che segna la fine della vita del santuario; lo strato 5 è costituito dallo scarico di materiale anche scultoreo segnato evidentemente da un incendio; lo strato 6 è costituito dai crolli di mattone crudo e dal materiale scultoreo con ampie tracce di incendio da cui proviene la composizione dello strato 5, ma - a differenza del 5 - non è disturbato; lo strato 7, giacente sul suolo vergine (spesso sulla roccia viva), indagato solo in minima parte, sembra connesso con la costruzione di alcuni monumenti di tipo gandharico.
La vita del santuario si può così rappresentare sinteticamente:
Periodo antico I: strato 7. Periodo antico II: Fase A, Fase B: strati 6 e 5. Periodo tardo: strati 4-1.
Mentre il periodo tardo è ampiamente documentato sulla terrazza superiore e anche nell'area a S (trincea di 81) ma è totalmente assente nell'area a NO (trincea di 64 e 100), il periodo antico è più facilmente riconoscibile nella trincea di 81 e in quella di 64 e 100, mentre sulla terrazza superiore lo si può seguire soltanto episodicamente.
I caratteri salienti dei diversi periodi e fasi si possono così riassumere:
Periodo antico I: monumenti a lastre di schisto, spesso costruiti sulla roccia; uso di pakhsā (?); scultura in stucco (?); nessuna moneta; documentazione ceramica esigua.
Periodo antico II: monumenti a lastre di schisto; edifici in mattone crudo di c.a 42 x 42 cm (Fase A) e di 46 x 46 cm (Fase B); uso di pakhsa (?); scultura in argilla cruda dipinta, talvolta dorata; monete dei Grandi Kuṣāṇa e tardi Kuṣāṇa; ceramica stampigliata.
Periodo tardo: edifici in mattone crudo di c.a 38x38 cm; scultura in argilla cruda con rivestimento di argilla rossa dipinta e talvolta dorata; monete dei tardi Kuṣāṇa e posteriori; ceramica stampigliata.
Il passaggio dal periodo antico a quello tardo rappresenta sì una cesura netta nella vita del santuario, una vera e propria ricostruzione secondo un piano nuovo e ispirato a criteri di fondo diversi da quelli precedenti, ma non mancano elementi importanti di continuità.
Lo stato della ricerca non consente di distinguere sempre le strutture del periodo antico I da quelle del periodo antico II, ma sembra che il passaggio dall'uno all'altro abbia segnato una svolta sostanziale nell'impianto del santuario: da una distribuzione ariosa di monumenti a cielo aperto, per lo più fondati sulla roccia, si passa a un complesso di ambienti in parte coperti, dalla ricca decorazione plastica che non disdegna il colossale. Il monumento principale, il Grande Stūpa, e altri minori erano costruiti a lastre e lastrine di schisto con blocchi di pietra (schisto, calcare o arenaria) inseriti in facciavista.
Del Grande Stūpa si conservano soltanto la piattaforma di base e il primo corpo, ambedue a pianta quadrata, con unica scalinata sul davanti (la piattaforma misura c.a 24 m di lato). I recinti erano spesso costruiti in crudo.
Nel periodo tardo, l'area del santuario si restringe e gli spazi si fanno ancor più spesso chiusi: ambienti voltati, a più d'un piano, contenenti immagini e stūpa. Questi ultimi sono costruiti non più in pietra ma in mattoni crudi, come d'altra parte di crudo son fatte le immagini. Restano tuttavia in vita alcuni degli stūpa più antichi, in primo luogo il Grande Stūpa, intorno al quale si dispongono, in fila continua, su due lati, numerosi piccoli monumenti di argilla: stūpa e immagini di Buddha e Bodhisattva seduti su troni. La costruzione di questi monumenti minori intorno al Grande Stūpa era ancora incompleta al momento della distruzione del santuario.
Pertanto, se nel periodo antico Tapa Sardār è da avvicinare a santuari «gandharici» come quello di Goldara (v. kabul), nel periodo tardo assistiamo al formarsi di una tipologia architettonica piuttosto centroasiatica.
Lo stato di conservazione delle strutture e l'incompiutezza della ricerca sul terreno non consentono di definire una chiara evoluzione della tipologia architettonica; molto più facilmente utilizzabili sono invece i dati relativi alla produzione scultorea. In ambedue i periodi abbiamo una scultura esclusivamente in argilla, quando si escludano alcuni frustuli di scultura in stucco, certamente pertinenti al periodo antico, che non è possibile stabilire se siano testimonianze di una produzione contemporanea a quella in argilla o di questa più antica. L'argilla delle opere provenienti dagli strati 6 e 5 (periodo antico) appare spesso come terracotta, ma si tratta sempre di una produzione in argilla cruda accidentalmente cotta da un incendio, che ha segnato appunto la fine del primo santuario e quindi del periodo antico. Le sculture del periodo tardo differiscono dalle precedenti, sotto l'aspetto tecnico, soprattutto per il fatto di avere una rifinitura superficiale in argilla rossa, diversa dall'argilla del nucleo. È simile invece, per i due periodi, l'uso di elementi a stampo che venivano applicati alla superficie delle immagini e degli stüpa di argilla, quando la materia era ancora umida e plastica.
Dal punto di vista stilistico, la produzione del periodo antico è chiaramente affine a quella di siti come Jauliān (v. vol. VII, p. 630, s.v. Taxila), Haḍḍa (v.), Goldara e Akhnur (sul medio corso del Chenab, uno degli affluenti di sinistra dell'Indo): forti reminiscenze ellenistiche di tradizione gandharica ma al tempo stesso avvicinamento a una sensibilità formale di ascendenza indiana di epoca gupta. Nel periodo tardo, invece, le reminiscenze ellenistiche sono ridotte allo stato di fossili (soprattutto nelle immagini del Buddha): si afferma sempre più disinvoltamente una tendenza ad accogliere forme elaborate nell'India gupta e post-gupta, che si coniugano con elementi tipologici e formali di ascendenza sasanide, sino a formare una sintesi originale che avvicina strettamente Tapa Sardār a Fondukistān (valle del Ghorband, presso il passo di Šibar) e all'Asia centrale (soprattutto Tumšuq), nonché, per molti versi, al Kashmir (p.es. Ushkar).
Per quanto riguarda la cronologia, tenendo pur presente la provvisorietà delle conclusioni, si può proporre una data nel IV sec. d.C. per la costruzione del Grande Stūpa e una tra il V e il VI sec. per il grosso della produzione scultorea del periodo antico. Si può riferire ragionevolmente al VII-VIII sec. (con probabile coda perfino nel IX) la produzione del periodo tardo. A queste proposte di datazione, basate su considerazioni tipologiche e stilistiche, si possono far corrispondere eventi traumatici quali una distruzione del primo santuario nel corso di una delle incursioni arabe che ebbero inizio poco dopo la metà del VII sec.; la distruzione del secondo santuario potrà così esser messa in relazione con la conquista di Ghazni da parte del saffaride Ya'qub bin Laith (869-870).
Tapa Sardār fornisce anche informazioni preziose per lo studio dell'evoluzione delle idee religiose e delle pratiche cultuali. L'area sacra intorno allo Stūpa 64, appartenente al periodo antico II, è delimitata da una cinta urbana in miniatura, il che non ha mancato di suggerire una interpretazione mandalica. L'ambiente 100, una nicchia o cappella appartenente all'ultima fase del periodo antico, ci fornisce un esempio di immagine colossale del Buddha, seduto «all'europea» tra due Bodhisattva stanti (raffiguranti la prajnān e la karuṇā del Buddha stesso) e gruppi di devoti in abito principesco di foggia kusāna. Di eccezionale importanza è il c.d. altare del fuoco, posteriore alla distruzione del primo santuario, che solleva la questione della presenza di culti del fuoco in ambiente buddhistico. Un caso interessante di sincretismo è rappresentato dall'immagine di Durgā Mahiṣamardinī in una cappella del periodo tardo, dove la dea si trova a fronteggiare un'immagine del Buddha ingioiellato (c.d. Buddha paré), una forma iconografica che si è voluta ricondurre - ma in maniera non del tutto convincente - al concetto di saṁbhogakāya, il «corpo di beatitudine» dell'Illuminato. Ancora al periodo tardo appartiene la cappella 17 le cui pareti erano decorate di varí ordini di immagini del Buddha, di Bodhisattva, di deva: si trattava probabilmente della rappresentazione di una «Terra Pura» paragonabile a complessi pittorici centro-asiatici come quello della Grotta delle Apsaras di Qumtura, in Asia centrale. Infine, vale la pena di ricordare l'immagine colossale del Buddha in parinirvāṇa in un contesto architettonico la cui complessa articolazione consente di ipotizzare un particolare percorso cultuale.
Sebbene in alcune strutture in crudo, rinvenute ai piedi della collina e certamente pertinenti al periodo antico, siano da riconoscersi con buona probabilità i resti dell'insediamento monastico, l'indagine di scavo non è stata portata tanto avanti da consentire alcuna considerazione di carattere tipologico.
La decorazione pittorica era abbondante a Tapa Sardār in ambedue i periodi, ma la fragilità dei supporti (intonaco di argilla) e la tecnica a tempera su intonaco asciutto hanno consentito che se ne conservassero soltanto pochi lacerti.
Negli immediati dintorni di Ghazni non mancano altri siti con strutture riferibili a epoca pre-islamica. Fra questi ricordiamo Gudal-e Āhangarān, a SO della cittadella, dove un rinvenimento fortuito ha restituito un buon numero di oggetti di argilla cruda: stūpa in miniatura del tipo noto come avatāra-stūpa (simili a quelli del periodo tardo di Tapa Sardār, costruiti in mattoni crudi e argilla) e cretule con impressa la professione di fede in caratteri brāhmī.
Altri siti promettenti sono stati individuati nell'area di Āb-e Estāda (Sra Ghwaṇḍai: apparentemente una città fortificata, c.a 1,5 km a Ν di Nāwa), mentre un rilievo tutto particolare meritano i complessi monastici cavati nella roccia, scoperti dalla Missione Archeologica Italiana nell'area di Qarabāgh e nel Jāghori. Sebbene non sia possibile fissare date certe per queste opere, è molto probabile che esse siano da collocare in un arco di tempo piuttosto lungo, ma si ha l'impressione che la maggior parte di esse sia da assegnare a epoca tarda, forse al VI-VII secolo.
A differenza di quanto si riscontra nei complessi rupestri della valle di Bāmiyān, in questi non sopravvivono pitture, ma è stato possibile ricostruire con piena credibilità uno degli ambienti - a Senowbar, nel Jāghori - decorato con una serie di nicchie sostenute da pilastrini e sormontate da un fregio a bucefali e ghirlande, forse una delle opere più antiche in questi complessi monastici della regione di Ghazni.
Si può infine ricordare che strutture murarie apparentemente pre-islamiche furono viste nell'oasi di Qarabāgh. Di qui sembra anche che provenga un frammento scultoreo in arenaria che documenta l'esistenza di una produzione gandharica piuttosto antica, precedente quella ampiamente attestata dallo scavo di Tapa Sardār (periodo antico).
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