GFP (Green fluorescent protein)
Proteina fluorescente utilizzata come sonda in biologia molecolare e cellulare. La GFP di Aequorea victoria è diventata a partire dagli anni Novanta del secolo scorso uno strumento di larghissimo uso, benché fosse noto da almeno due decenni che le proprietà luminose di alcune specie marine dipendono dalla presenza non solo di fotoproteine, che emettono luce attraverso la conversione enzimatica di un cofattore (come l’equorina), ma anche di proteine fluorescenti, che modificano il colore della luce emessa. Dopo il clonaggio del cDNA (DNA complementare) della GFP, Martin Chalfie e collaboratori hanno mostrato che, grazie alla fluorescenza di GFP, era possibile identificare in animali vivi cellule neuronali, nel cui genoma era stata inserita una copia del cDNA della GFP sotto il controllo di un promotore genico attivo solo nei neuroni. Questo elegante esperimento non solo ha dimostrato che l’espressione della GFP in un organismo eterologo produce una proteina intensamente fluorescente, ma ha anche fornito un primo esempio di applicazione biologica della GFP. La diffusione di questo approccio sperimentale è stata impressionante: centinaia di laboratori nel mondo utilizzano questa proteina per le più svariate applicazioni di ricerca, e la sua importanza è stata riconosciuta dal Nobel per la chimica attribuito ai suoi scopritori nel 2008. Le ragioni del successo della GFP sono evidenti. Innanzitutto, la fluorescenza di GFP non è specie-specifica e non richiede l’aggiunta e la diffusione di cofattori all’interno della cellula transfettata con il cDNA della GFP. La sua semplice espressione ricombinante fornisce quindi un intenso segnale di fluorescenza in batteri, funghi, lieviti, cellule vegetali e animali. Inoltre, le dimensioni limitate della proteina (ca. 27 kDa) ne permettono la fusione con altre proteine di interesse, con scarsa probabilità di interferire significativamente con l’assemblaggio o la funzione di queste ultime. Infine, l’isolamento di mutanti con caratteristiche spettrali diverse amplia sensibilmente la gamma delle applicazioni. La proteina è formata da una struttura cilindrica compatta composta da undici foglietti β, che circondano una α-elica che contiene il fluoroforo, costituito dalla ciclizzazione di tre amminoacidi della proteina, Ser(65)-Tyr-Gly. La ciclizzazione è un processo lento che avviene, in presenza di ossigeno, dopo la sintesi della proteina, ed è responsabile della latenza tra la biosintesi della proteina e la comparsa del segnale fluorescente, un ostacolo importante all’utilizzazione della GFP come rivelatore dell’espressione genica. Il fluoroforo della GFP esiste in due forme chimiche diverse, che sono responsabili dei due picchi di eccitazione della proteina fluorescente. Il picco a 470 nm (luce blu) è dovuto alla forma anionica del fluoroforo, mentre il picco a 395 nm (luce UV) è dovuto alla forma neutra. Entrambe le forme riemettono poi luce verde (picco a 510 nm). Nella GFP nativa le due forme del fluoroforo sono in equilibrio, in rapporto 6: 1 (forma neutra/forma ionizzata) e quindi il picco di eccitazione è maggiore per la luce UV. Tuttavia, l’illuminazione con luce UV determina la ionizzazione del fluoroforo e quindi la riduzione del segnale fluorescente, mentre aumenta quello rilevabile per illuminazione con luce blu. (*)