GETO-DACICA, Civiltà (v. vol. III, p. 856)
Geti e Daci erano popolazioni traciche che parlavano la stessa lingua, per cui le fonti li hanno spesso confusi. In base alle indicazioni di Strabone (VII, 3, 12), si ritiene comunemente che i Geti occupassero le regioni fra il Mar Nero e i Carpazi (Dobrugia, Valacchia e Moldavia), mentre i Daci vengono identificati con il gruppo più occidentale, stanziato all'interno del bacino carpatico con sede permanente in Transilvania; di qui si spinsero verso la pianura ungherese, la valle della Morava e la Slovacchia, ma in genere per brevi periodi. Questa pur discussa distinzione viene mantenuta per ragioni di chiarezza.
Insediamenti. - Le più antiche presenze dei Geti sono da alcuni riconosciute negli orizzonti halstattiani di Basarabi e Ferigile-Bîneşti, che si sviluppano in Valacchia dall'VIII-VII sec., e continuano poi sul Mar Nero nella facies Tariverde, allargatasi con le scoperte più recenti di Beidaud, Sarinasauf, Visina (in gran parte inedite). Tuttavia, il quadro di una civiltà g.-d., intesa non come unità puramente etnica ma come fisionomia culturale ben distinta, non si delinea prima del II sec. a.C. e non appare pienamente formato che nel secolo successivo.
L'aspetto più saliente di questa civiltà è l'insediamento fortificato, o almeno in posizione dominante, che ingloba di solito un complesso santuariale. I muri in opera quadrata rimangono una peculiarità della zona di Orarie, ma impianti analoghi si trovano anche nelle regioni extra-carpatiche: p.es. Cozla e Bîtca-Doamnei in Moldavia, Popeşti presso Bucarest, e adesso Ocniţa in Oltenia (distretto di Vîlcea), dove scavi tuttora in corso hanno rivelato un abitato protetto da un sistema di fortificazioni che si disponeva su tre alture, in parte sistemate artificialmente a terrazze. Sono state individuate tre fasi principali entro un arco cronologico compreso fra il II sec. a.C. e gli inizi del I d.C. Quella intermedia vede un forte incremento dell'attività produttiva, attestato da grandi quantità di ceramica, sviluppo della metallurgia e circolazione di monete romane.
Delle alture circostanti, una ha ricevuto assetto di acropoli, con vari edifici a carattere sacro e residenziale di cui è stato precisato il tracciato. Le strutture erano di materiale deperibile. Si segnalano un tempio rettangolare períptero e una costruzione quadrata con tre ambienti sotterranei, dove è stata rinvenuta, fra l'altro, un'insolita maschera in bronzo. Fra i materiali di scavo hanno destato particolare interesse diversi frammenti ceramici con iscrizioni graffite, sia latine che greche, alcuni con il toponimo Buridava, altri con le parole basilèus Thiamarkus, ecc. La prosperità di Buridava, a quanto sembra residenza di un basilèus locale, dipendeva probabilmente dallo sfruttamento delle saline, di cui la zona è molto ricca.
I graffiti riaprono il problema della conoscenza della scrittura nel mondo geto-dacico, già sollevato dal vaso di Grădiştea Muncelului con iscrizione stampigliata in caratteri latini Decebalus per Scorilo. Contrariamente a quanto si era creduto, questo documento non sembra però redatto in lingua g.-d., né riferibile a personaggi storici; si tratta forse di un marchio di fabbrica in latino, con i nomi del fabbricante (Decebalo) e del vasaio (Scorilo).
Sul massiccio di Orăştie, fruttuosi scavi sono stati intrapresi a Fedele Albe, sito di un grosso insediamento che si estendeva su cinque terrazze con muri di contenimento imponenti. La terrazza I era occupata da case circolari con zoccolo in pietra, la III da un santuario rotondo; sulla IV si sono notate tracce di un granaio e di capanne di fango.
Non si hanno dati sostanzialmente nuovi sulla cronologia delle fortezze di questa zona: il sistema difensivo con parti in opera quadrata è stato realizzato solo nel I sec. a.C., anche se trinceramenti anteriori e tracce di frequentazione nel II sono segnalati a Costeşti, Tilişca e Căpîlna. La prima occupazione di Fedele Albe risale allo stesso periodo.
Santuari. - Un altro centro valorizzato da scavi recenti è Cîrlomăneşti in Muntenia, dove le indagini riprese nel 1972 hanno rivelato un'area sacra con due templi (rettangolare e circolare) e un deposito votivo di statuette di animali e figurine antropomorfe in argilla. I risultati dello scavo, noti in via preliminare, comportano un inquadramento cronologico fra il II e il I sec. a.C.
Nella fase di pieno sviluppo della civiltà g.-d. si avrebbero due forme di edificio templare, da alcuni ritenute di derivazione classica, ma ricollegabili anche alla tradizione pree proto-storica: il tempio rettangolare (periptero?) e quello circolare, con una o più file di colonne intorno a un corpo absidato; all'interno si trova di solito un focolare. Prevale ora l'opinione che non si trattasse di costruzioni ipetrali, ma dei tetti non rimangono elementi. Complessi santuariali sorgevano sia nei pressi dell'abitato che in luoghi appartati e, a quanto si presume, accessibili ai soli sacerdoti. Questi santuari isolati sono adesso individuati sui monti di Orăştie, dove si era creduto di riconoscere tracce di ovili (Meleia, Rudele, Tìmpu); il completamento dell'indagine ha invece rivelato la presenza di costruzioni, con le caratteristiche di pianta dei due tipi suddetti.
Necropoli. - Nella facies protogetica del delta danubiano rientra una vasta necropoli scoperta nel 1968 a Enisala, con tumuli e tombe terragne, per la maggior parte a incinerazione; i corredi, nei quali non manca la ceramica attica, si datano al V e IV sec. a.C. Altre indagini sono riprese a Zimnicea, la sola, fra le grandi necropoli getiche, utilizzata quasi ininterrottamente lungo un arco cronologico molto esteso: dal IV sec. a.C. agli inizi dell'era cristiana, laddove le altre non superano i primi del III. Anche qui si hanno tombe a tumulo, di cui è spesso riutilizzata la copertura per quelle comuni, e l'incinerazione rimane prevalente. Il sito è noto soprattutto per le deposizioni di cavalli, che contrariamente al solito non sono associate alla tomba del proprietario, ma sparse all'esterno in modo apparentemente casuale.
L'uso dell'«obolo di Caronte» è stato riscontrato a Ocniţa, dove si conoscono preliminarmente c.a. 380 tombe terragne (alcune con urna) e poche inumazioni in semplici fosse. In età romana il più importante complesso culturale dacico all'interno della provincia è la grande necropoli di Soporul de Cîmpie caratterizzata dall'associazione di ceramica romana e ceramica autoctona che tende a sparire col tempo.
Metallurgia. - Dalla torbiera di Lozna, nella Moldavia del Nord, è stata recuperata nel 1975 un'ingente quantità di armi e di utensili in ferro, databili fra II e I sec. a.C. È l'unico ritrovamento in torbiera avvenuto finora in Romania, e allarga notevolmente le conoscenze sullo sviluppo dell'industria del ferro, che si erano formate soprattutto sui reperti della zona di Orăştie. Alcuni oggetti attestano persistenti relazioni con i Celti.
Circolazione monetale e importazioni. - Un'altra caratteristica della civiltà g.-d. è la circolazione su larga scala della moneta romana a partire dal II sec. a.C. Il ritrovamento di dieci coni per la falsificazione di denari repubblicani nella fortezza dacica di Tilişca ridimensiona solo in parte il fenomeno, restando elevatissimo il numero delle monete repubblicane recuperate isolatamente o in tesori (c.a. 26.000).
Fra i documenti dei rapporti con l'impero romano rimessi in luce di recente si distingue, per qualità e valore venale, il tesoro di Muncelul de Sus, assegnato al II sec. d.C., ma rinvenuto fuori dai confini della provincia Dacia, nel territorio carpatico dell'alta Moldavia: consiste in un servizio da vino di sette pezzi d'argento, fra i quali una coppa con eroti cacciatori e un'altra con mostri marini e animali acquatici. Gli oggetti sono considerati di provenienza genericamente italica.
Toreutica. - Una serie di fortunati ritrovamenti negli anni Settanta ha ulteriormente arricchito il cospicuo gruppo dei c.d. tesori traco-getici del IV sec. a.C., peraltro di attribuzione piuttosto controversa. A Peretu (distretto di Teleorman in Valacchia), presso un insediamento getico già noto, è stata scavata una tomba a tumulo con carro e deposizioni di cani e parti di cavalli, secondo un costume ben documentato nella regione dalla necropoli di Zimnicea. All'esterno era sepolto un calderone di bronzo contenente numerosi pezzi d'argento, fra i quali un elmo da parata, probabilmente della stessa officina di quelli di Agighiol (v. S 1970, p. 17) e del museo di Detroit. Fra gli altri oggetti, meritano segnalazione un vasetto a testa umana e una phiàle con l'iscrizione in lettere greche kotyc (firma di toreuta o nome del re degli Odrisi Coti I), che ricompare sull'analogo vasellame di Agighiol e di varie località della Bulgaria (Vraca, Borovo, Rogozen). L'ipotesi che si tratti di doni diplomatici inviati a principi vassalli sembra avvalorata dal fatto che su questa suppellettile figurano anche altri nomi di sovrani odrisi (Cersoblepte, Amadoco).
Quasi contemporaneamente alla scoperta di Peretu, sono stati recuperati a Băiceni, villaggio della Moldavia nel distretto di Iaşi, numerosi pezzi d'oro di una raccolta smembrata, rinvenuta casualmente e in parte dispersa fra gli abitanti. Anche questo «tesoro» comprendeva un casco tipo Agighiol, ma più simile all'esemplare di Coţofeneşti (v. S 1970, figg. 639 e 681); inoltre, decorazioni di bardature con motivi animalistici, ornamenti personali e laminette per guarnizioni di abiti. Altre tombe principesche con ricchi corredi, comprendenti armature di bronzo e varí ornamenti in metallo prezioso, sono state scoperte a Stînceşti, sempre in Moldavia, e a Găvani nel distretto di Brăila.
Arte traco-getica. - La definizione è stata adottata su proposta di D. Berciu, per distinguere la toreutica dei Traci settentrionali dall'orizzonte scitico cui l'avevano assegnata Rostovtzeff, Schefold e altri. Nell'accezione più comune, implica il riconoscimento dell'originalità di uno stile animalistico creato senza il contributo di quella cultura (tesi che però non trova un consenso unanime), contrapponendosi a termini come «traco-scitico», già introdotto da Filov, o «sub-scitico», usato in anni più recenti da Jacobsthal. L'area di diffusione, più ampia di quanto si pensasse, si estende a Ν dei Balcani fino all'alta Moldavia: interessa la Valacchia con tutta l'Oltenia, la Dobrugia settentrionale e una frangia di territorio bulgaro nei distretti attuali di Vraca e Loveč: quindi un arco territoriale nettamente delimitato, che contorna la cortina carpatica escludendo la Transilvania, ma allargandosi verso SO oltre lo spazio geografico dei Geti. Per questo alcuni studiosi preferiscono parlare più genericamente di una toreutica tracica a Ν dei Balcani.
Gli oggetti più rappresentativi, ripetutamente associati in tesori e corredi funerari, sono le armature da parata, i recipienti in metallo nobile e le guarnizioni di finimenti. Come materiale è usato soprattutto l'argento, con dorature sui dettagli della decorazione; pezzi di armatura caratteristici gli elmi e gli schinieri, questi ultimi derivati dal tipo greco con protome sul ginocchio, mentre rimane problematica l'origine del casco a ogiva con occhi apotropaici sul frontale. Le forme vascolari più comuni si rifanno a modelli iranici, ma mediati dalla Tracia meridionale; numerosissime le brocchette e le phiàlai, lisce, bacchiate, o con motivi fitomorfi, fra le quali però non è facile distinguere i lavori importati; chiaramente di fattura locale i due bicchieri di Agighiol e del Metropolitan Museum, entrambi con fregio animalistico, e il rhytòn a testa di toro da Poroina con scena mitologica sul collo. Delle guarnizioni di bardature, diffuse anche a S dei Balcani fino alla zona di Plovdiv, offrono un'esemplificazione particolarmente cospicua il c.d. tesoro di Craiova e i ritrovamenti più recenti di Peretu e di Lukovič (Bulgaria): placchette sagomate a testa di animale, frontali con protome a tuttotondo, bottoni, applicazioni a giorno con cifre astratte e zoomorfe; le più comuni sono il tríscele e la svastica terminanti in musi animaleschi. Nella serie rientrano anche le lastrine di Letnica (Loveč), alcune con soggetti latamente narrativi.
La decorazione, vistosa e disorganica, segue filoni paralleli, attingendo dallo stile animalistico i motivi zoomorfi preferiti per gli ornamenti di bardature (ma non esclusivi di questa classe), dall'arte greca i prototipi delle scene con personaggi e formule figurative di vario genere; altri temi come quello della «bestia vorace» rifluiscono forse dall'Europa occidentale e dall'arte delle situle. Per la cronologia, fissata fra la metà del IV sec. e i primi del III, i riferimenti più sicuri vengono dalle forme vascolari e dalla ceramica greca associata al corredo di Agighiol. Nelle composizioni iconografiche ricorrono soprattutto le immagini del cavaliere, guerreggiante o a caccia, e della divinità libante che siede fra i suoi accoliti. Otto placchette delle serie di Letnica sono state interpretate come ciclo figurativo completo, con un protagonista della stessa natura degli eroi greci, seguito nelle sue imprese dalla giovinezza alla maturità, fino alla ierogamia con una grande dea madre. Prevalgono comunque situazioni indeterminate, rievocanti la caccia e la guerra come momenti culminanti della vita dinastica. D'ispirazione mitologica è stato ritenuto anche il bestiario dell'officina di Agighiol, dove assume particolare risalto l'aquila-unicorno che ghermisce la lepre e il pesce, forse impersonando una divinità celeste con supremi poteri sulla terra e le acque.
Autorevole sostenitore dell'originalità dell'arte tracogetica, Berciu ha escluso qualsiasi rapporto genetico con quella degli Sciti, per postulare una comune matrice iranica all'origine dei molti punti di contatto. Ne verrebbe ridimensionata l'entità della penetrazione scitica nello spazio danubiano-carpatico, oggetto di un'annosa controversia (v. S 1970, s.v. Romania) alla quale Berciu si mostra più interessato che ai caratteri intrinseci del materiale. Sostanzialmente concordi le conclusioni di Venedikov sull'arte tracica in generale, seguita nei suoi possibili antecedenti fino agli inizi del primo millennio, quando si costituirebbe, con apporti anatolici e iranici, un fondo di motivi geometrici e zoomorfi, che i continui contatti commerciali con la Persia (e la stessa espansione achemenide nei Balcani) avrebbero poi arricchito e preservato dalla completa ellenizzazione del gusto. I limiti di questa impostazione sono però additati in una serie di studi di P. Alexandrescu, dove l'equilibrata valutazione critica del fenomeno, ricondotto alla sua dimensione di artigianato eclettico e privo d'ispirazione propria, è sorretta da un'analisi metodologicamente ineccepibile delle singole componenti: ne emerge tutta la difficoltà di scorporare l'arte «tracogetica» dal contesto della tarda koinè sub-scitica, di cui rappresenta una delle tante fioriture marginali. La produzione ha avuto durata relativamente breve e diffusione circoscritta: si attribuisce in gran parte a poche officine, forse attive fra la Moldavia e il basso Danubio, che rifornivano di prodotti suntuari i piccoli dinasti della zona, in un momento di relativa stabilità e di benessere per tutto il Sud-Est europeo. Con la rovina dei principati locali, logorati dalle guerre col regno ellenistico di Tracia e travolti dall'invasione celtica, l'arte «traco-getica» sparisce, senza lasciare praticamente traccia. La definizione è quindi accettabile solo nel più ristretto senso geografico, se con essa si vuol caratterizzare una particolare toreutica diffusa regionalmente. Funzionali alla pura ostentazione, questi oggetti rilucenti raggiungono lo scopo, ma il loro indiscutibile fascino è in larga misura indipendente dai valori dello stile. Danno una certa impressione di barbarica opulenza, con tutti gli ingredienti che più solleticano il gusto moderno del primitivo, potenziati nel loro effetto dalle superfici corrusche dei metalli preziosi: l'esuberanza ornamentale e l'aggressività espressionistica, il bestiario fantastico e l'ingenua scomposizione dell'immagine nella cesellatura minuziosa dei suoi dettagli stilizzati. Ma i toreuti traco-getici difettano di senso della forma, e palesano troppo scopertamente le loro fonti disparate per aspirare al rango di creatori d'arte.
Non si può parlare di una fase «dacica» come sviluppo di quella «traco-getica», dal momento che una simile continuità non si afferra nelle tipologie né sul piano generale del gusto, indubbiamente meno fastoso. Nel periodo «dacico» la toreutica è rappresentata soprattutto da ornamenti personali in argento, abbondanti ma poco caratterizzati.
Larga circolazione hanno avuto le falere con motivi figurati e ornamentali, diffuse dal Nord della Bulgaria (tesoro di Galiče) alla Valacchia (Herăstrău) alla Transilvania (Surcea). Prevale l'imitazione di forme ellenistico-romane, in versioni fortemente barbarizzate. Non si è ancora del tutto chiarito se i lavori più impegnativi come le coppe del tesoro di Sîncrăieni siano di fattura locale, benché i Daci avessero i propri argentieri. La ceramica dipinta non compare fino alla seconda metà del II secolo, e quella con motivi floreali e figure animalesche rimane tipica della regione di Orăştie.
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