Gesù Cristo
Il fondatore del cristianesimo
Gesù Cristo era considerato un nome proprio già dagli storici romani del 2°secolo, ma in realtà esso è l'insieme di un comune nome ebraico ‒ Gesù ‒ e di un soprannome di origine greca ‒ Christòs ("unto") ‒ che equivaleva all'ebraico messia. Con questo termine gli ebrei indicavano un personaggio inviato da Dio per liberare Israele, ma è assai dubbio che Gesù si facesse chiamare così. Furono i fedeli, dopo la sua morte, a identificarlo con il Messia, ma con un significato esclusivamente spirituale (e non anche politico, come era nella tradizione ebraica). È soltanto a partire dal Settecento che Gesù, studiato sino ad allora solo dalla teologia, divenne oggetto di una ricerca storica, volta ad accertare cosa sappiamo effettivamente di lui
Il Cristo della fede ha sempre mantenuto un legame con il personaggio Gesù vissuto in un determinato momento storico: la stessa formula di fede del Credo ‒ composto alla fine del 4° secolo nei Concili di Nicea e di Costantinopoli e ancora oggi recitato durante la Messa cattolica ‒ ricorda le vicende storiche essenziali della sua vita. Quindi, pur precisandosi via via la dottrina di Cristo quale Dio-uomo, come vedremo meglio in seguito, l'ancoraggio alla storia rimase costante nella linea principale del cristianesimo, per evitare di fare di Cristo, come accadeva in alcune tendenze eretiche, una figura mitica e disincarnata, una manifestazione divina alla maniera degli dei pagani, uomo soltanto in apparenza.
Detto questo, è però altrettanto vero che nella storia del cristianesimo e delle Chiese per oltre mille e settecento anni si è compreso e interpretato il personaggio storico di Gesù esclusivamente alla luce della dottrina che lo proclamava Dio e salvatore dell'uomo e tale interpretazione ha costituito l'unico canone di verità per i cristiani.
Per esempio, il rapporto fra giudaismo e cristianesimo, che costituisce un problema fondamentale per l'attuale ricerca storica, fu risolto dai primi cristiani in termini teologici: Gesù rappresenta il compimento delle promesse fatte a Israele. La storia del popolo ebraico viene compresa a partire dalla fede in Gesù Cristo e viene quindi reinterpretata come prefigurazione della storia cristiana. Paolo usa un termine greco significativo: týpos, che vuol dire "impronta cava", qualcosa cioè da riempire, volendo indicare figure e fatti dell'Antico Testamento che rimandano a figure e fatti del Nuovo Testamento per essere compresi nel loro significato più autentico.
In quest'ottica, il sacrificio di Isacco, per esempio, prefigura il sacrificio di Cristo sulla croce. Così la storia ebraica diventa storia cristiana e ogni eventuale differenza fra Antico e Nuovo Testamento è di fatto annullata. Per arrivare a porre tutta una serie di domande sul piano storico che oggi sembrano naturali ‒ cosa significa che Gesù nacque ebreo? Possiamo ricostruire sulla base dei Vangeli le linee della sua vita? Quale fu il suo scopo? ‒ ci volle quel grande movimento intellettuale chiamato illuminismo, che mise in primo piano le esigenze della ragione e propugnò la libertà di investigazione su qualsiasi terreno, a prescindere dall'insegnamento dogmatico delle Chiese.
Iniziò così la ricerca sul Gesù storico: l'uso enfatico dell'aggettivo storico ci fa capire che siamo di fronte a un'implicita polemica verso l'approccio basato esclusivamente sulla fede. Polemica fu infatti l'impostazione del tedesco Hermann S. Reimarus, professore nel 18° secolo di lingue orientali ad Amburgo e sostenitore di una religione naturale, il quale viene considerato l'iniziatore della ricerca sul Gesù storico. Dopo aver lavorato per trent'anni alla sua opera finì per lasciarla inedita e fu il filosofo tedesco Gotthold E. Lessing a pubblicarne le varie parti, in modo anonimo, a partire dal 1774. Il settimo frammento (Lo scopo di Gesù e dei suoi discepoli) apparve nel 1778: sosteneva che Gesù era stato un rivoluzionario il cui scopo era liberare Israele dai Romani, i quali per questo motivo lo misero a morte. I suoi discepoli tramutarono questa sconfitta in vittoria, trafugandone il corpo: ne proclamarono poi la resurrezione e la messianicità, questa volta intesa in senso spirituale.
La ricostruzione di Reimarus era ingenuamente anticristiana, ma sul piano del metodo egli stabilì due punti in modo definitivo. In primo luogo, l'idea della resurrezione costituisce la linea divisoria fra il Gesù di prima della Pasqua e il Cristo del dopo-Pasqua.
I Vangeli sono scritti alla luce della fede nel Cristo del dopo-Pasqua e solo attraverso l'interpretazione critica si può risalire al Gesù della storia. In secondo luogo, il fatto che Gesù era ebreo costituisce l'elemento dal quale bisogna iniziare per comprenderne la predicazione.
Questi due punti sono rimasti centrali nella ricerca, anche se le soluzioni cui hanno portato sono state diverse. Circa il primo, una volta operata la distinzione fra il piano della fede e quello della storia, si constata che, fino a tempi recentissimi, a occuparsi della questione del Gesù storico sono stati comunque i teologi, con l'evidente finalità di stabilire un'immagine storica di Gesù che potesse servire agli scopi della dottrina. Quanto al secondo punto, il rapporto fra Gesù e il giudaismo è un nodo problematico che vede tutto un ventaglio di soluzioni, a partire dagli estremi di chi ‒ e sono esiti recenti ‒ vuole totalmente riassorbire Gesù nel giudaismo, negandogli qualsiasi originalità, e di chi invece ‒ come la grande teologia liberale dell'Ottocento ‒ lo ritiene in consapevole opposizione al giudaismo dei suoi tempi.
La prima fase ‒ chiamata con la locuzione inglese Old quest ("vecchia ricerca") ‒, che parte, come abbiamo detto, da Reimarus, vede una serie di proposte interpretative su Gesù culminanti nella convinzione della scuola liberale tedesca di poterne ricostruire la biografia, e si conclude con la demolizione di questo progetto da parte del teologo tedesco Albert Schweitzer nel 1906. Costui smaschera la proiezione su Gesù degli ideali etici universalistici della teologia liberale e lo restituisce al suo retroterra giudaico, considerandolo un profeta dell'avvento imminente di Dio votato all'umana sconfitta. Questa lunga fase aveva visto grandi conquiste dal punto di vista storico-critico, fra le quali le scoperte che i Vangeli cosiddetti sinottici (termine greco che vuol dire "che possono essere visti insieme", in quanto assai simili nel contenuto; sono quelli di Matteo, Marco e Luca) storicamente sono più attendibili di quello di Giovanni, e che quelli di Luca e Matteo dipendono da fonti diverse, giacché il secondo si basa sulla cosiddetta fonte Q (cioè Quelle, che in tedesco significa "fonte"), ricostruita per ipotesi e che doveva presentarsi come una serie di detti e fatti senza cornice narrativa.
Si risaliva così indietro rispetto alla stesura dei Vangeli, posta per quelli sinottici intorno agli anni Settanta del 1° secolo, giungendo a un tempo più vicino a Gesù. Successivamente la ricerca, grazie al metodo detto della storia delle forme, riuscì ad avvicinarsi ulteriormente al tempo di Gesù e a capire le modalità di trasmissione delle memorie su Gesù: si arrivò così a distinguere piccole unità (pericopi) di detti e fatti di Gesù, tramandate prima oralmente e poi per iscritto, conservate dalle varie comunità in relazione alle loro esigenze spirituali, etiche e rituali. Uno dei maestri di questo metodo fu il teologo tedesco Rudolf Bultmann, il quale nel 20° secolo, pur essendo un grande storico, approdò alla paradossale conclusione teologica di negare ogni importanza alla ricostruzione storica di Gesù, perché ciò che conta sarebbe il Cristo predicato, il Cristo della fede e la decisione esistenziale di adesione o rifiuto da prendere nei suoi confronti.
La conclusione di Bultmann fu respinta innanzitutto da alcuni suoi allievi: si apre così una seconda fase detta New quest ("nuova ricerca") che va dagli anni Cinquanta agli anni Settanta del 20° secolo, cui succede a partire dagli anni Ottanta la Third quest ("terza ricerca"). Siamo così arrivati al nuovo secolo. Quali sono le acquisizioni di queste ultime due fasi? La New quest ribadisce il carattere costante nella Chiesa della connessione fra il Cristo glorificato e il Gesù storico e si propone di individuare il legame e la continuità fra l'uno e l'altro. In questa fase si precisano i criteri per stabilire l'autenticità di detti e fatti di Gesù. La Third quest segna la fine del predominio dei teologi: lo studio del Gesù storico diventa autonomo. Si valorizzano, con talune esagerazioni, i Vangeli apocrifi (letteralmente "segreti", ma poi il significato nella tradizione cristiana diventa negativo, sinonimo di "non autentici") come fonti accanto ai Vangeli canonici. Si fa notare che il processo di formazione dei Vangeli fu il medesimo e che la differenziazione tra essi deriva dal fatto che gli apocrifi continuarono a essere rimaneggiati più a lungo e con varie intenzioni, mentre i Vangeli accolti nel canone testamentario furono preservati da ulteriori interventi sul testo. Ma di fatto il giudizio della Chiesa antica, la quale privilegiò i quattro Vangeli canonici, sembra uscire confermato dal confronto, perché, a parte Vangeli perduti di cui sappiamo poco più del nome, l'unico Vangelo apocrifo che potrebbe riportare tradizioni indipendenti da quelle dei Vangeli canonici è il Vangelo di Tommaso, di cui abbiamo una redazione in lingua copta.
Al di là della valutazione dei singoli esiti della Third quest, si constata che attualmente il problema del Gesù storico ha perso l'iniziale vena polemica. Oggi con questa espressione si indica Gesù in quanto oggetto di ricostruzione storica, indipendentemente dalla fede che si può avere in lui. I problemi in proposito nascono da due fattori. In primo luogo, Gesù appartiene al mondo antico, per il quale le fonti sono carenti e quindi la parte riservata alle congetture è molto ampia. Ma sotto questo profilo siamo abbastanza fortunati, perché la situazione delle fonti su Gesù è migliore della media. Il secondo fattore è che lo studioso di Gesù, credente o meno, spesso è coinvolto esistenzialmente nella ricerca e questo potrebbe accentuare il rischio di distorsioni. Per limitare gli effetti di questo rischio bisogna puntare su criteri di indagine severi, tali da poter essere condivisi da studiosi di qualsiasi credo e convinzione.
Si cerca di risalire dai Vangeli canonici e anche da quelli apocrifi alle tradizioni scritte e orali cui essi hanno attinto, per arrivare più vicino possibile al tempo della predicazione di Gesù. Si tenta poi di vedere nel materiale così ricavato cosa appare come un tratto individuale, proprio di Gesù, tale cioè che si differenzi sia da ciò che sappiamo del giudaismo del tempo sia dall'insegnamento della Chiesa primitiva (criterio della dissomiglianza o della discontinuità). Per esempio i detti di Gesù che presentano il regno di Dio come un banchetto, e in cui egli non sembra avere una posizione di rilievo, contrariamente a quanto avviene nella Chiesa primitiva, hanno buona probabilità di essere autentici. Questo criterio, per essere usato correttamente e non produrre distorsioni, deve essere integrato con altri.
Attualmente è molto quotato il criterio della molteplice attestazione: hanno alta probabilità di essere autentici quei detti e fatti di Gesù che sono attestati in due o più fonti indipendenti l'una dall'altra: per esempio le parole di Gesù nell'Ultima Cena o la proibizione del ripudio della moglie.
Un altro importante criterio è quello della coerenza, da applicare però quando già si sia individuato materiale possibilmente autentico per altra via: si considera storicamente autentico ciò che appare compatibile rispetto al contesto nel quale visse Gesù, che è coerente rispetto a quanto assodato in base al criterio della dissomiglianza e che può spiegare l'evoluzione successiva.
Naturalmente l'applicazione di questi criteri, i risultati cui si perviene e la loro interpretazione variano molto, ma tali oscillazioni non devono essere lette come impossibilità pratica di raggiungere risultati validi, bensì come presa di coscienza del carattere provvisorio e in progresso di qualunque ricostruzione storica.
In conclusione, cosa si può dire di Gesù che sia ragionevolmente sicuro sul piano storico?
Nacque negli ultimi anni del regno di Erode il Grande (che morì nel 4 a.C.) in una zona appartata della Palestina, la Galilea, e fu condannato alla crocifissione a Gerusalemme, per ordine del prefetto Ponzio Pilato e su istigazione di alcuni settori delle autorità religiose giudaiche, morendo forse il 7 aprile del 30 d.C.
La sua attività di predicatore itinerante e di guaritore si protrasse per pochissimi anni, forse tre. Predicava un messaggio incentrato sull'amore misericordioso di Dio per gli uomini, buoni e cattivi, cui essi possono rispondere con una conversione di vita e con un atteggiamento d'amore estremo verso amici e nemici.
Questo messaggio si concentra in un annuncio, la venuta del regno di Dio. Gesù non spiega cos'è il regno di Dio, in quanto i suoi interlocutori già lo sanno: è il dominio universale del Dio d'Israele. Un suo tratto specifico è la convinzione che questo regno prossimo futuro già si rende presente e le guarigioni che Dio opera attraverso di lui ne sono un segno. L'orizzonte mentale di Gesù, come denota la sua predicazione sul regno di Dio, si iscrive nel giudaismo del suo tempo, di cui egli cerca un rinnovamento interno, come, con alcune analogie e altrettante diversità, faceva Giovanni Battista, di cui Gesù stesso fu discepolo per un periodo.
Gesù opera una reinterpretazione della legge mosaica (Torah), rispetto alla quale si pone con inusitata autorevolezza, a partire dal precetto fondamentale dell'amore, al quale ogni prescrizione risulta subordinata. È per questo che alcuni studiosi riassumono il suo atteggiamento verso la legge come un approfondimento di quei precetti che noi chiamiamo morali e come una messa in ombra di altri, per esempio l'osservanza del sabato o le prescrizioni di purità rituale, fondamentali in molte correnti del giudaismo.
Gesù, insomma, appartiene alla storia ebraica ma nello stesso tempo è ragione sufficiente per spiegare lo sviluppo da questa di un'altra storia, quella cristiana.
Gesù aveva predicato l'imminente avvento del regno di Dio; i primi seguaci predicarono l'imminente avvento di Gesù risorto nella gloria. Questa differenza è fondamentale, anche se la fede in Gesù quale messia non si atteggiò allo stesso modo in tutte le correnti del cristianesimo primitivo.
Alcuni tendevano a considerarlo un uomo, scelto da Dio per una straordinaria missione: altri ‒ a cominciare da Paolo nelle sue Lettere e da Giovanni nel suo Vangelo ‒ videro in Gesù una componente divina. Si pensò cioè a Gesù Cristo innanzitutto come a un essere divino disceso sulla terra e fattosi uomo.
La fede in Gesù quale Dio si diffuse senza troppe difficoltà fra i credenti di estrazione pagana, i quali non avevano il dogma, centrale per il giudaismo, dell'unicità di Dio e quindi non sentivano il problema di conciliare la divinità di Gesù con l'unico Dio. Tuttavia l'eredità giudaica, permanente nel cristianesimo, fece sì che si dibattesse a lungo tale questione (eresie) per arrivare infine alla concezione trinitaria di Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo.
Ancora più a lungo si discusse in merito alle modalità dell'unione, nella persona di Cristo, di umanità e divinità, cioè di come si potesse concepire un individuo insieme uomo e Dio. Accanto alle definizioni dogmatiche su Trinità e cristologia, formulate nei grandi concili dell'antichità, il cristianesimo vive ‒ conoscendo così i fenomeni più intensi di rinnovamento al suo interno ‒ dell'aspirazione a un rapporto diretto fra Cristo e la sua Chiesa e fra l'esistenza del singolo fedele e Cristo.