Gestualità
Per gestualità si intende l'insieme dei gesti di una persona considerati come mezzo di espressione e di comunicazione. La comunicazione fra gli uomini non passa infatti solo attraverso il canale verbale: negli scambi comunicativi quotidiani si attivano, parallelamente e contemporaneamente, anche canali paralinguistici (ritmo, intonazione, pause, esitazioni ecc.) e cinesici (posture e movimenti del corpo). Gli elementi cinesici fondamentali sono appunto i gesti, che possono essere definiti come le posizioni e i movimenti del corpo, delle mani, della testa, le espressioni della faccia (e in particolare degli occhi) che, volontariamente o involontariamente, comunicano una o più informazioni.
Gestualità e comportamento
di Gilberto Gobbi
Il gesto è un elemento costitutivo della comunicazione non verbale che si svolge prevalentemente mediante l'uso di posizioni spaziali, di distanze, di movimenti del capo e di altre parti del corpo, di contatto corporeo, di espressioni del volto, di orientazione, del tono della voce ecc., attraverso cui si completa o si sostituisce il linguaggio verbale, comunicando stati emotivi e atteggiamenti relativi a sé stessi o ad altre persone (v. comunicazione). L'incidenza totale dei gesti e dei movimenti, per A. Mehrabian (1972), copre il 55% di un messaggio, mentre R.L. Birdwhistell (1970), nei suoi studi sul rapporto tra verbale e non-verbale, ha concluso che le parole vengono accompagnate da gesti in modo tanto prevedibile che una persona ben esercitata sarebbe in grado, ascoltando una voce, di descrivere i movimenti in atto. Per P. Watzlawick (1968) esistono fondamentalmente due specie di segnali: quelli digitali, che sono simbolici, astratti, spesso complicati e con tutta probabilità specificamente umani, e quelli analogici, che sono diretti, figurati, propri del comportamento corporeo. Le parole trasmettono segnali digitali, i gesti segnali analogici. Molti dei gesti di base della comunicazione sono uguali in tutto il mondo e sembrano perciò innati: per es., le persone sorridono quando sono felici e si accigliano quando sono tristi o arrabbiate. D'altro canto, gran parte del comportamento gestuale sembra essere appreso, in quanto il significato di molti movimenti e gesti è determinato dal tipo di cultura a cui l'individuo appartiene. Il linguaggio gestuale può differenziarsi, infatti, da una cultura a un'altra come varia quello verbale, per cui il medesimo gesto, mentre può essere molto comune all'interno di una certa cultura e avere pertanto una chiara interpretazione, in un'altra potrebbe non avere significato o addirittura esprimerne un altro. Non tutti i comportamenti gestuali sono utili per comunicare, in quanto molti gesti rientrano nell'insieme delle azioni che servono per conoscere il mondo. Vengono in tal modo distinti due tipi di movimenti: quelli che sono prodotti per agire direttamente sul mondo e così comprenderlo e servirsene, e quelli espressivi. A questi si aggiungono, poi, i movimenti intenzionalmente rappresentativi. I primi due sono comuni all'animale e all'uomo, mentre quelli rappresentativi sembrano essere esclusivi dell'uomo. Tuttavia, non è possibile restringere il significato del gesto soltanto ai movimenti esplicitamente significativi e intenzionali o dotati di rappresentazione simbolica, in quanto questo porterebbe a eliminare molti gesti non intenzionali, che sono, invece, portatori di informazioni per un osservatore.
Il gesto comprende tre tipologie di movimento: involontario, che è indice di un'emozione e che ritma e punteggia l'esibizione verbale, come tremare di paura e piangere di gioia; volontario, che assume il valore di segno e ha un ruolo comunicativo, come puntare il dito verso un oggetto o una persona; volontario automatico, che ha come obiettivo il fare qualcosa e che comprende un insieme di azioni con una dimensione significante, come il susseguirsi di gesti per far funzionare una macchina o i movimenti ritmici della donna che lavora a maglia (Lurcat 1971-73). Si può dire che il gesto è il mezzo più efficace per esprimere idee complesse e astratte, sentimenti, stati emotivi, atteggiamenti, che vengono immediatamente percepiti dall'interlocutore: la rapidità, la molteplicità e la combinazione dei segnali non verbali permettono, infatti, una comunicazione affettiva di grande ricchezza, per lo meno se l'interlocutore è abbastanza aperto a questo tipo di linguaggio. I comportamenti gestuali sono, inoltre, più autentici, in quanto è molto difficile la falsificazione del contenuto affettivo attraverso i gesti, mentre la parola sembra essere un mezzo privilegiato della menzogna. L'errore nella comprensione e nell'interpretazione del linguaggio gestuale è comunque sempre possibile. Passando dalla descrizione all'interpretazione, occorre seguire una metodologia rigorosa, una definizione non equivoca dei comportamenti gestuali interpretati e inscrivere il comportamento osservato in un contesto più ampio, in cui troverà il suo significato. A questo proposito P. Ekman e W.V. Friesen (1981) rilevano l'esigenza di tener conto di una serie di variabili, come gli altri comportamenti dell'individuo osservato, il comportamento verbale concomitante, la situazione vissuta (uno stesso sorriso non va interpretato nella medesima maniera), le caratteristiche fisiche di chi emette un comportamento (lo stesso gesto ha significato diverso se fatto da un bambino o da un adulto), l'insieme del comportamento verbale e non verbale.
di Alberto A. Sobrero
I.
La quantità di informazione, e dunque l'efficacia comunicativa, di un gesto varia a seconda della funzione che gli viene assegnata. In riferimento all'interazione comunicativa, e alla funzione, si usa distinguere fra gesti espressivi (o emotivi), gesti illustratori e regolatori, e gesti simbolici. I gesti espressivi sono indicatori dello stato emotivo del parlante e sono per lo più prodotti non intenzionalmente (per es., piangere, ridere); il loro canale principale è il volto, ma hanno una funzione analoga anche i gesti compiuti con altre parti del corpo, come, per es., picchiare un pugno sul tavolo, pestare i piedi in segno di rabbia ecc. I gesti illustratori vengono realizzati contemporaneamente alla produzione verbale con lo scopo di illustrare, ampliare, sottolineare il contenuto della comunicazione (per es., indicando forme di oggetti, direzioni di movimento ecc.). I gesti regolatori hanno la funzione di regolare la conversazione: dare e chiedere la parola, mostrare interesse ecc. I gesti simbolici, infine, dotati di alta specificità e di notevole forza comunicativa, vengono prodotti intenzionalmente e sono codificati secondo regole socialmente condivise (per es., il saluto, la preghiera). Si noti che lo stesso gesto in contesti diversi può avere funzioni differenti, e può perciò appartenere a due o tre di queste categorie. Poiché in questa sede consideriamo i gesti all'interno della comunicazione umana, ci soffermiamo sui gesti illustratori e su quelli simbolici, in quanto mostrano specifiche co-occorrenze sia con la struttura dell'enunciato verbale sia con i processi di organizzazione e gestione dello scambio conversazionale.
2.
Sono gesti illustratori: i gesti mimetici o iconici, nei quali la relazione tra gesto e significato è trasparente, intuitiva (per es. il gesto che indica la sigaretta, mimando l'azione del fumare); i gesti deittici, cioè ostensivi, con i quali il parlante indica il referente o la sua collocazione nello spazio o nel tempo (per es. il gesto con cui si indica un oggetto preciso, mentre si dice "dammi quello!"); i gesti 'batonici', che accompagnano il parlato in modo quasi del tutto involontario, mettendo in rilievo una particolare parola o espressione.
a) I gesti mimetici. Si usano per riprodurre un'azione (cinetografici: per es. mimare la guida dell'auto, fingendo di impugnare e di girare il volante) o per descrivere una relazione spaziale (spaziografici: per es. sovrapporre i due indici in croce, accompagnando la frase "ci ho messo la croce sopra"), o per descrivere un referente (pittografici: per es. tracciare due curve sinuose nell'aria per indicare una bella donna). A volte la mimesi non è diretta, ma passa attraverso la metafora: questo avviene, per es., quando si mima l'azione di soppesare qualcosa, utilizzando le due palme delle mani come piatti della bilancia, nel significato di scegliere.
b) I gesti deittici. Quando il parlante deve segnalare la collocazione spaziale di un oggetto presente sulla scena in cui avviene l'interazione verbale, egli dispone fondamentalmente di due tipi di risorse: quelle del canale verbale (avverbi e pronomi deittici, come qui/qua/lì/là, questo/codesto/quello, costui, colui, che mettono a fuoco direzione approssimativa e distanza relativa dell'oggetto); e quelle del canale non verbale (gesti ostensivi, come un gesto della mano, o un movimento degli occhi, o della testa, che puntano direttamente all'oggetto, o quanto meno alla direzione precisa in cui si trova). Nell'un caso come nell'altro si parla di deissi spaziale, rispettivamente verbale e gestuale. Esiste inoltre una deissi temporale che allo stesso modo permette di collocare un evento nel tempo mediante il sofisticato sistema di puntamento predisposto dagli avverbi e dalle regole morfologiche e sintattiche della lingua, oppure tramite rudimentali - ma spesso indispensabili - indicatori gestuali dei rapporti di anteriorità/posteriorità. In Italia, per es., si usa il 'saltello dell'indice': l'indice teso salta in avanti tracciando uno o più piccoli archi; ogni arco rappresenta un giorno dopo l'oggi. In situazioni di comunicazione difficile, come quando si cerca di comunicare dai lati opposti della strada, o nella ressa di una discoteca, è possibile, in questo modo, darsi un appuntamento ricorrendo solo ai gesti: "dopodomani alle tre" si esprime con un duplice saltello dell'indice, seguito dal gesto delle tre dita tese (pollice, indice, medio). In casi come questi, i gesti sono addirittura più efficienti, ed efficaci, delle parole. In generale, la deissi, sia verbale sia gestuale, è uno strumento fondamentale per il buon funzionamento della comunicazione, in quanto è praticamente l'unico mezzo che permette a chi ascolta di collegare il messaggio verbale ad altre parti dello stesso messaggio, o a oggetti, persone ecc. del contesto extralinguistico. Questo consente a ogni attore dello scambio linguistico di rendersi conto in ogni momento 'di che cosa esattamente' parla il messaggio.
c) I gesti batonici. Nella conversazione, o nell'oratoria pubblica, gli occhi e le mani non stanno mai fermi. Le mani, in particolare, accompagnano le parole disegnando nell'aria linee curve e spezzate di varia dimensione e profondità: si raccolgono e scattano, minacciano, indicano. In una parola, gesticolano continuamente, per lo più in modo concitato, come se manovrassero un bastone (donde la denominazione di gesti batonici dal francese bâton, "bastone"). Fra i gesti che accompagnano il parlato, o gesti 'coverbali', alcuni simboleggiano quello che si dice, e accentuano la forza assertiva del messaggio. Per es. il 'colpo d'ascia', fatto con la mano tesa che si alza e si abbassa, accompagna espressioni del tipo "tagliamo questo nodo gordiano"; l'indice puntato verso l'interlocutore accompagna parole di aperta ostilità, e se il gesto è ripetuto seguendo il ritmo dell'enunciato, l'ostilità è ribadita, minacciosa. L'oscillazione verticale delle mani, tese e parallele davanti al corpo con la palma rivolta al basso, sottolinea vigorosamente le parole dell'oratore che si rivolge a una folla molto agitata con l'intento di indurre alla calma e alla riflessione. Oltre a questi gesti, che trasmettono dei segnali di accentuazione, ci sono - soprattutto nella conversazione quotidiana - movimenti 'a bacchetta' di un dito, della mano o dell'avambraccio, apparentemente casuali, la cui funzione è legata non tanto al contenuto del messaggio quanto allo svolgimento dell'interazione. I gesti batonici, diversamente dalla deissi che è legata al messaggio, sono connessi a caratteristiche paralinguistiche come l'enfasi, l'accento, l'altezza, la velocità e il ritmo dell'enunciato. In pratica, servono a rinforzare i punti salienti del discorso, marcandone la distanza dagli altri, ad accentuare, per renderle meglio visibili, parole e frasi che il parlante vuole trasmettere come parole-chiave, o a fornire chiavi di lettura (ironica, sprezzante ecc.) del messaggio verbale. I gesti batonici sono anche usati nelle conversazioni per avere il turno di parola. I gesti mimetici, deittici e batonici, come si è visto, di solito esprimono simultaneamente - oppure con leggeri scarti temporali, anch'essi non privi di significato - lo stesso concetto che è veicolato nello stesso tempo dal canale verbale, ma in modi e con forza diversa (funzione ripetitiva/rafforzativa).
Tuttavia non sempre è questa la loro funzione comunicativa. I gesti illustratori sono anche usati: 1) con funzione integrativa, quando aggiungono una o più informazioni alla produzione verbale (per es. mentre il parlante dice "ho pescato un pesce così", indica con le mani la lunghezza del pesce); 2) con funzione sostitutiva, quando rimediano a un vuoto lessicale (temporaneo o di competenza), all'impossibilità di comunicare verbalmente o a un tabu linguistico (per es. "mah, dicono che sia un po'...", seguito dal segno di omosessuale, cioè stringere e tirare leggermente verso il basso il lobo dell'orecchio); hanno funzione sostitutiva i gesti che si compiono quando si cerca di comunicare durante i compiti in classe a scuola, o in luoghi molto affollati, o nel corso del discorso, quando 'non viene la parola'; 3) con funzione commentativa, quando si fornisce la chiave di interpretazione di un messaggio verbale 'neutro' (per es. "questa sera viene a trovarmi Carla", accompagnato da smorfia di disgusto o di noia); 4) con funzione contraddittoria, quando canale verbale e canale gestuale veicolano informazioni contraddittorie: un caso tipico si registra nella comunicazione fra bambini, quando una dichiarazione solenne, addirittura giurata, può essere resa nulla dal gesto delle dita incrociate (medio su indice) compiuto dietro la schiena; si noti che, quando vi è contraddizione fra i due canali, prevale l'informazione che viene veicolata dal canale gestuale.
3.
Un gesto come quello che indica "aver fame", realizzato con la mano a taglio battuta ripetutamente contro il fianco, all'altezza dello stomaco, non è affatto compreso fuori d'Italia; per giunta, comincia a non essere compreso neppure in Italia, nelle generazioni più giovani. Il motivo è semplice: non è un gesto imitativo, ma simbolico. E come tutti i gesti simbolici è codificato con regole socialmente condivise, che determinano in modo arbitrario la corrispondenza fra un certo movimento e una certa rappresentazione semantica. I gesti simbolici hanno con il significato lo stesso rapporto arbitrario che hanno le parole e quindi, come le parole, variano anch'essi a seconda delle culture, nel tempo, nella società; ma all'interno della società che li elabora e li trasmette, hanno sempre un significato preciso, socialmente condiviso, che spesso fa parte integrante dell'identità culturale. Si pensi al segno della croce, tipico segno simbolico: da secoli ha un valore costante e immutato, in cui si riconoscono le genti di religione cristiana, mentre al di fuori di tale gruppo religioso è privo di significato (oppure ha significati diversi).
Dal punto di vista del significato, i gesti simbolici possono essere: lessicali, quando si riferiscono a oggetti, azioni ecc. (per es. le mani incrociate ai polsi per indicare la prigione); olofrastici, quando a essi corrisponde una frase o un concetto che si può rendere con più frasi (per es. la 'mano a borsa', con le estremità delle cinque dita riunite a formare un cono, scossa dall'alto al basso, è usata per significare "ma che vuoi?", oppure "ma ti sembra possibile?" o altre espressioni interrogativo-avversative, il cui contenuto specifico non è unico, ma si ricava dal contesto verbale o da elementi della situazione). I gesti simbolici hanno due caratteristiche importanti, che ritroviamo anche in tutte le lingue storico-naturali: la sinonimia e la polisemia. Ci sono significati che possono essere veicolati da gesti diversi (sinonimia), così come ci sono gesti che possono avere significati diversi (polisemia). È polisemico il gesto che si compie unendo tutte le dita di una mano, a cono: esso può avere tanto il significato "che paura!" quanto il significato (in parte iconico) "pieno di gente, affollato". Ugualmente è polisemico il gesto delle corna, che vale tanto "toro" quanto "cornuto" (riferito ad animali, ma soprattutto a uomini), e può essere inoltre utilizzato come gesto di scongiuro. Sono numerosi i casi di sinonimia, a causa dell'ampiezza dei significati veicolati dai gesti: per es. sono sinonimici tutti i gesti di esultanza, come alzare le braccia, sferrare un pugno nell'aria, fare una capriola, oppure - più recentemente affermatosi in ambito sportivo - 'fare la ola' ecc.
4.
Dalla constatazione che la grande maggioranza dei gesti è acquisita culturalmente nasce la domanda se esistano effettivamente gesti innati, comuni a tutti gli uomini. La questione è dibattuta: le due tesi estreme sono quelle di Ch. Darwin, che rispondeva affermativamente rilevando una serie di somiglianze nel comportamento di uomini dotati di diversi background culturali, e di R.L. Birdwhistell, il quale ha attribuito tali somiglianze - peraltro modeste - a coincidenza o a imitazione. I. Eibl-Eibesfeldt (1973), esaminando al rallentatore alcuni filmati di una sua ricerca, ha scoperto un brevissimo gesto di uso pressoché universale: il 'colpo di sopracciglia'. Quando, all'inizio di un incontro, si fa un saluto molto amichevole, oltre a sorridere e a fare cenno con il capo, si sollevano le sopracciglia con un movimento rapido che dura non più di due decimi di secondo. Questo gesto, usato in Europa solo per salutare gli amici stretti e i parenti, ricorre, oltre che nel mondo occidentale, anche in tutte le culture primitive note. Si potrebbe dunque sostenere che è un 'universale gestuale'. C'è però un'eccezione che rende discutibile questa generalizzazione: è il Giappone, dove il colpo di sopracciglia è considerato indecente. È facile, viceversa, trovare numerosi esempi di differenziazione culturale, anche così forti da generare malcomprensioni. In Italia, come in molte altre culture, si dice "sì" scuotendo il capo dall'alto al basso, e "no" scuotendolo da destra a sinistra e da sinistra a destra. In Grecia, ma anche nella cultura popolare dell'Italia meridionale (quanto meno fino a qualche tempo fa), il sì è ancora espresso dal movimento verticale del capo, mentre il no è espresso da uno scatto all'indietro del capo, sempre sul piano verticale. In zone di contatto interculturale il no può essere perciò scambiato per un sì, proprio per la sua caratteristica di movimento verticale (che, in un sistema a contrapposizione orizzontale-verticale, si identifica come caratteristica fondamentale del sì). Attualmente gode di un buon prestigio la posizione dello stesso Eibl-Eibesfeldt, il quale ritiene che la variazione culturale si manifesti nell'uso diversificato, e culturalmente ritualizzato, di gesti e di schemi gestuali innati. Ci sarebbero, dunque, secondo questa ipotesi, degli schemi di comportamento 'di base', geneticamente tramandati, che nelle diverse storie culturali verrebbero combinati in modo diverso e inseriti in procedure differenziate. Di fatto, se vogliamo trovare gesti di base che possano essere ritenuti sicuramente universali, dobbiamo rivolgerci a gesti che sono utilizzati anche presso alcune specie animali, in particolare i Primati: il colpo di sopracciglia è usato dai macachi e dai babbuini; salutarsi con abbracci e baci è in uso anche presso gli scimpanzé, e così via. Tutto questo sembra favorire, nel complesso, la tesi della naturalezza filogenetica dell'esprimere le sensazioni fondamentali attraverso gesti, anche se riesce ancora difficile identificare con sicurezza i gesti di base.
5.
Inventario, conoscenza e uso dei gesti, soprattutto simbolici, presentano una variabilità considerevole, tanto che anche nei sistemi gestuali, come in quelli linguistici, si possono identificare diverse tipologie, corrispondenti alle dimensioni delle variazioni: sociale, geografica, storica, oltre che di quella stilistica. La variazione sociale, o 'diastratica', è legata all'importanza di fattori come il sesso, l'età, il ruolo sociale degli interlocutori. I gesti d'insulto, e i gesti osceni, in moltissime culture, compresa la nostra, sono tabu per le donne; altri sono poco usati dalle classi sociali superiori perché ritenuti triviali, altri sono usati solo dai bambini (per es. il segno della V per chiedere di andare in bagno). La variazione geografica, o 'diatopica', si può rilevare osservando la distribuzione areale relativamente limitata di molti gesti: il segno della V con la palma della mano girata verso l'interno è un insulto sessuale nell'area anglosassone, ma è del tutto sconosciuto in Italia, dove viene scambiato per il segno di vittoria o addirittura, in certi contesti, per la richiesta di andare in bagno. In Italia, il gesto noto come 'fare le fiche' (pollice teso, fra indice e medio piegati, con mano chiusa a pugno) è conosciuto nel Mezzogiorno, anche se è poco usato, perché percepito come osceno, ma sconosciuto al Nord (se non per via colta: Dante, Inferno, XXV, 2); viceversa, un segno di vittoria usato spesso al Nord - braccia alzate con gli indici tesi - non è compreso al Sud. La variazione storica, o diacronica, riguarda le variazioni sia di significato sia d'uso. È stato dimostrato che nel corso dell'ultimo secolo e mezzo, nell'Italia meridionale, il sistema dei gesti simbolici ha subito una forte riduzione nel numero e nelle varianti gestuali, con abbandono di gesti riferiti a stadi anteriori di sviluppo della società, accettazione di innovazioni provenienti da altri sistemi gestuali, ristrutturazione semantica dei gesti conservati. Sono rimasti, tendenzialmente, i gesti di esecuzione più semplice, che coinvolgono un minor numero di parti del corpo, e ogni gesto ha ampliato l'area dei significati. La variazione diacronica si può cogliere anche in microdiacronia: il gesto fatto con pollice indice e mignolo tesi, uno dopo l'altro, a indicare il messaggio "I love you" è nato alla fine degli anni Ottanta del 20° secolo, nell'ambito dei concerti rock, e a distanza di un decennio, appare in palese declino. Questa, in fondo, è una testimonianza del fatto che anche la diacronia dei gesti risente delle forti accelerazioni impresse al cambiamento linguistico. Per i gesti, più che per la lingua, sembrano prevalere le spinte standardizzanti, guidate e regolate dai massa media.
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