GERUSALEMME (A. T., 88-89)
Città della Palestina, situata a circa 31°48′ lat. e 35° 11′ long. E., sull'altipiano centrale, e anzi nella parte più elevata di esso (circa 750 m. s. m.) in prossimità dello spartiacque fra il Mediterraneo e il Mar Morto. La sua posizione è molto favorevole dal punto di vista delle comunicazioni, assai difficili in questa parte meridionale della Palestina, perché Gerusalemme si trova all'incrocio dell'antichissima strada che percorre l'altipiano in senso meridiano (da Nabulus a Hebron) tenendosi sulle aree più elevate per evitare le valli incassate dei corsi d'acqua (v. palestina), con una via che risale dal mare lungo il wādī es-Surar e i due torrenti che lo formano, uno dei quali costituisce nel suo tronco superiore la valle di Rephaim. Anche il passaggio alla valle del Giordano (Gerico) e alla sponda settentrionale del Mar Morto è qui relativamente facile. Ma la situazione di Gerusalemme è soprattutto propizia dal punto di vista della difesa, poiché la città occupa una platea un po' ondulata recinta da tre parti da profonde valli, e cioè a E. dalla valle del Cedron, tributario del Mar Morto, che la separa dal M. degli Ulivi, a S. e a O. dal suo affluente Hinnom. La penisoletta così delimitata è perciò facilmente accessibile solo da N. e da questa parte è recinta da una linea di mura, che già nell'età antica fu più volte ricostruita per inchiudere successivi ampliamenti del centro abitato.
Data la sua situazione elevata ed esposta, la città ha un clima molto rigido nell'inverno, durante il quale la neve non è rara, molto caldo d'estate specie quando soffiano venti di SE., di tipo sciroccale, che esercitano anche un'influenza deprimente, specie nelle ore diurne; le notti sono tuttavia sempre fresche. I venti marini apportano una notevole umidità, che si condensa in prossimità del suolo, e perciò anche d'estate le nebbie sono frequenti di notte e di prima mattina; d'inverno poi sono comuni le rugiade e le brine, che rendono impossibile il pernottare all'aperto e già da tempo remoto erano note come un ostacolo anche alla vita sotto le tende. Le piogge sono concentrate nell'inverno e nel periodo iniziale della primavera (novembre-aprile) e la loro benefica influenza sulla vegetazione è accresciuta da quella della rugiada; vi sono per contro cinque mesi senza piogge. Perciò l'aspetto del paesaggio nei dintorni della città è profondamente diverso secondo le stagioni: d'inverno e in primavera campi di grano e d'orzo rivestono le pendici dei colli e i fondi più ampî delle valli, là dove d'estate appare, nuda e arsa, la steppa. La vegetazione arborea è, soprattutto oggi, assai scarsa nei dintorni della città. Gli elementi climatici risultano dalla tabella in calce alla pagina.
A causa della situazione e del clima, la regione circostante a Gerusalemme è povera di sorgenti perenni e pertanto l'approvvigionamento idrico fu sempre un grave problema per la città. Sin da età antica l'acqua piovana veniva raccolta in grandi bacini scoperti o in vasche; in tutta la città erano poi numerose le cisterne, accuratamente mantenute, e molte di quelle tuttora utilizzate risalgono all'antichità. Ma anche oggi la penuria d'acqua si fa sentire, specialmente in anni di forte siccità.
Il nucleo urbano attuale consta di due parti ben distinte: il centro antico, chiuso e soffocato entro la sua cinta murata senza possibilità d'incremento, e il centro nuovo, che si sviluppa sempre più largamente fuori delle mura. Il nucleo più antico della città sorgeva nella parte meridionale della penisoletta (fra il Cedron e lo Hinnom), che è la più elevata e si trova fuori della cinta murata attuale; la città si estese a poco a poco verso nord, cioè verso la parte indifesa, e raggiunse la sua massima estensione, assai superiore all'attuale, al tempo di Erode; si vuole che la città avesse allora 60.000 ab. Al tempo di Tito essa doveva avere a nord una triplice cerchia murata e i resti della terza cerchia, che data all'incirca dal 40 d. C., venuti in luce negli ultimi anni, dimostrerebbero che la città si estendeva allora, anche a nord, oltre le mura attuali. Ma la topografia interna della città fu trasformata profondamente nella ricostruzione fatta da Adriano nel 135, e poi più volte in seguito. L'attuale cinta murata data in massima parte dal tempo di Solimano il Magnifico (1542); essa è interrotta da otto porte, la Porta dei Leoni, la Porta di Erode, la Porta di Damasco, la Porta della misericordia, la Porta del letame, (o dei Mori), la Porta Nuova, la Porta di Giaffa, e la Porta di Sion (o di David). Le strade sono strette e tortuose, talora in forte pendenza; frequenti le vòlte e gli androni. Come molte città orientali, la vecchia Gerusalemme è poi nettamente divisa in quartieri: arabo, ebraico, europeo, armeno. Il movimento è grandissimo specie nel bazar, in parte coperto, e in prossimità di talune porte.
In stridente contrasto con la città vecchia, la nuova si sviluppa con ampî viali e sobborghi di tipo europeo, che si allungano sulle colline a ovest, a nord-ovest e a nord. I sobborghi più recenti, che hanno spesso il tipo di città-giardino, si sviluppano lungo le strade irraggianti verso Giaffa, Emmaus e Nabulus e sono in parte dovuti alla recente immigrazione ebraica; a nord-ovest è il quartiere dei consolati stranieri, con scuole, ospedali, collegi, istituti varî appartenenti a diverse nazionalità; a sud-ovest la stazione ferroviaria e, nei pressi, fattorie e colonie agricole. A nord-est, sul Monte Scopus, di fronte al M. degli ulivi, sono gli edifici dell'università ebraica, e più a sud il palazzo del Commissariato inglese.
Difficile è calcolare il numero degli abitanti di Gerusalemme nelle varie epoche. Alla metà del secolo scorso le si attribuivano circa 20-23 mila abitanti, ma la cifra è forse esagerata; più sicuro è il dato di 16-17 mila ab. per il 1868 (7120 Ebrei, 5000 Arabi e Turchi e 4000 cristiani di differenti confessioni); nel 1881 la popolazione si calcolava a 28.000 ab. dei quali la metà Ebrei, nel 1901 era saiita a 42.000 ab., e intorno al 1913 era forse di 65-70 mila abitanti. Un censimento esatto eseguito nel 1922 trovò 62.578 ab., dei quali solo 22.247 entro le mura della vecchia città e 40.331 nei quartieri recenti fuori le mura. Nella città vecchia l'elemento maomettano era in prevalenza (9345 musulmani contro 7262 cristiani e 5639 Ebrei), nei nuovi quartieri erano in prevalenza gli Ebrei (28.332, contro 7437 cristiani e 4068 maomettani; il resto Indù appartenenti al presidio militare britannico, ecc.). Il censimento del 1931 assegna a Gerusalemme 90.526 ab.
Gerusalemme ha scarsa importanza come centro industriale; gli oggetti dei quali si fa commercio con i forestieri (oggetti di metallo intarsiato, cuoi, tappeti; oggetti religiosi, ecc.) vengono quasi tutti dal difuori. Ha invece importanza come centro commerciale, per la sua situazione centrale nella Giudea, e tale importanza si è accresciuta negli ultimi anni per la creazione di una buona rete stradale. La ferrovia che la unisce a Giaffa, che è il suo porto (87 km.), fu aperta nel 1892; è ora in progetto il prolungamento fino alla sponda settentrionale del Mar Morto. Ottime strade percorse da regolari servizî automobilistici uniscono la città, oltre che a Giaffa, a Nabulus e alla Palestina settentrionale, a Hebron e Bir esh-Sheba, e a Gerico; di qui un ramo raggiunge il Mar Morto, un altro varca il Giordano e sale ad Amman nella Transgiordania.
Monumenti. - La città vecchia di Gerusalemme nel suo aspetto generale ci riporta ad una rievocazione medievale, ma nel dedalo delle sue vie non di rado è un avvicendarsi di reliquie di tutte le epoche. Lo studio archeologico di questi avanzi e dei monumenti ancora esistenti mostra che Gerusalemme fu tributaria dell'arte dei popoli che la dominarono o le furono vicini.
Gerusalemme cananea e israelita. - Le molteplici cisterne, silos, grotte funerarie, tratti delle antiche mura con torri venuti alla luce nei recenti scavi dell'Ofel; la vasta opera idraulica sotterranea con i varî canali, specialmente con l'acquedotto d'Ezechia, intorno alla fonte Umm ed Dara, ecco i pochi esempî della tecnica costruttiva della Gerusalemme cananea e israelita. Il monolito cosiddetto di Siloe, che gli archeologi ascrivono al periodo israelitico, per la sua forma corrisponde a un ipogeo egiziano.
Gerusalemme greco-romana. - Più numerosi sono i resti monumentali della città greco-romana ed ellenistica: gli strati più bassi della poderosa muraglia, a blocchi bene squadrati e aggiustati senza malta, nella cinta del al-Ḥaram dalla località detta "Muro del Pianto" sino all'"Arco di Robinson", e nella base della Cittadella o Torre di David. Si possono assegnare con qualche certezza a questo periodo i monumenti funerarî della Valle del Cedron: le tombe di Assalonne, di S. Giacomo e di Zaccaria.
La tomba di Assalonne, di stile ionico su pianta quadrata e scavata nella viva roccia fino al cornicione, termina in ardito pinnacolo circolare. Quattro pilastri d'angolo con due colonne interposte e un cornicione con fregio a fogliame ne formano la decorazione. Il solenne monumento di Zaccaria, tutto ricavato dalla viva roccia, per il disegno è simile al precedente mentre la tomba dei Benī-Khafir, volgarmente detta "Tomba di S. Giacomo", è di un tipo tutto differente: scavata in una parete rocciosa verticale a forma di portico dorico, ci riporta alla tomba di Benī Ḥasan nell'Egitto o ad altri monumenti analoghi in Asia Minore. Rappresentano bene le tendenze architettoniche dell'epoca le volgarmente dette "Tombe dei Giudici" a nord della città e quelle dei re o ipogeo della regina Elena di Adiabene e della sua famiglia.
Della colonia di Èlia Capitolina è riconoscibile l'arteria principale o Cardo Maximus lungo la via dei bazar, che va da Bāb el-‛Amūd a Bāb Nebī Dāwūd: rocchi e basi di colonne disseminate nelle botteghe attestano la continuità e magnificenza del porticato. La superba colonna, ancora in situ alla VII stazione, faceva parte del "Tetrapylon" ove si apriva la strada alla porta monumentale dell'Est, detta fin dal sec. XV "Arco dell'Ecce Homo", la cui struttura architettonica è un tipo delle porte trionfali a tre archi, comuni al mondo romano nel sec. II e III. Anche il recinto del Forum di Èlia, il suo pavimento lastricato, l'arco trionfale dell'entrata han lasciato tracce sicure nell'Ospizio russo d'Alessandro.
Gerusalemme cristiana. - Sotto il regno di Costantino (306-337) nasce la prima arte cristiana a imitazione dell'architettura classica con gli edifici del S. Sepolcro e dell'Eleona: la Rotonda del Sepolcro deriva dal Pantheon, la basilica rispecchia quelle romane. Alla morte dell'imperatore i torbidi interni impedirono il progressivo sviluppo dei sacri edifici, sicché può notarsi solo la erezione della basilica della Santa Sion nel 345 Ma alla fine del secolo IV l'arte cristiana torna a fiorire, usando con maggiore libertà gli elementi classici, come è dato arguire dalle rovine del Getsemani e dall'edificio poligonale dell'Ascensione sul Monte Oliveto, che datano appunto da quest'epoca.
Nuovo slancio costruttivo si ebbe nel sec. V per opera del patriarca Giovenale (421-458) e dell'imperatrice Eudossia (421-444). Oltre alla basilica di S. Stefano al Nord della città e a quella del Paralitico nel mezzo della Piscina Probatica, sorsero in questo tempo nuove costruzioni sacre a cupola: la triconca chiesa di S. Giovanni che sussiste tuttora, la chiesa della Piscina di Siloe, la basilica di Santa Sofia o del Pretorio, la curiosa costruzione della Porta Duplice del Tempio, l'edicola della Porta Dorata e il Tempio rotondo della Vergine nella valle di Giosafat. Verso la medesima epoca è segnalato l'oratorio in forma di croce al pinnacolo del Tempio, la basilica di S. Pietro nella Casa di Caifa, San Pietro in Gallicantu, e numerosi monasteri, ospizî e oratorî. Giustiniano fece costruire, su un punto molto in vista della città, la grande chiesa di Santa Maria la Nuova.
Le invasioni dei Persiani e degli Arabi distrussero ciò che esisteva ed arrestarono lo sviluppo dell'arte cristiana: tolleranti alcuni califfi, si ebbero nel sec. IX per la protezione di Carlo Magno, e nell'XI per quella di mercanti amalfitani, nuovi edifici (Latinie) vicini al S. Sepolcro: chiesa di S. Maria Latina, biblioteca, mercato, ospizî per pellegrini, oltre l'abbazia del Monte Oliveto e la chiesa dell'Aceldama. Una vera rifioritura artistica vi fu col regno dei crociati che portarono nella costruzione o riedificazione dei santuarî, salvo qualche adattamento locale, la tecnica costruttiva dell'occidente e la decorazione dello stile romanico di transizione. Dai crociati alla guerra mondiale furono compiuti solo modesti restauri. In questi ultimi anni l'arte ha cominciato a riprendere nella città il suo compito di illustrare ed onorare i luoghi santi, traendo dalle loro rovine gli antichi santuarî, in particolar modo con la ricostruzione della basilica del Getsemani, e coronando di nuove chiese e di grandiosi monasteri e ospizî le vette delle colline di Gerusalemme. Tratteggiata così in breve la storia artistica di Gerusalemme cristiana, si esamineranno i singoli edifici che, fra le vicende subite, non conservarono mai l'impronta primitiva e unità di stile.
a) Il Santo Sepolcro. - Sorge presso l'angolo NO. della vecchia città sottratto ad uno sguardo d'insieme dalle molteplici costruzioni monastico-religiose che gli furono addossate nel corso dei secoli. Nelle sue linee fondamentali la chiesa esistente è quella costruita dai crociati, e abbraccia in un solo edificio i tre monumenti sorti per volere di Costantino sopra il sepolcro di Cristo, sul Calvario e sul luogo ove fu trovata la santa Croce, quando nel 326 questi luoghi tornarono alla luce demolendo il Campidoglio di Elia. Il magnifico edificio costantiniano, alla cui costruzione presiedé il vescovo Macario, fu inaugurato nel 335, e anche oggi possiamo precisarne il sito e la disposizione. Precedevano dalla parte orientale propilei che s' innestavano alle colonne calcaree del Cardo maximus, restandone distinti per i materiali e per la decorazione più ricca. Di là alcuni gradini conducevano a tre porte (una delle quali ancora visibile) tagliate nel muro giudaico che sino al 44 d. C. protesse a nord la città, e che nel 135 fu utilizzato come base del Foro di Elia. Queste tre porte immettevano in un atrio che aveva per sfondo la basilica o Martrion, costruita sulla cripta dell'Invenzione della Croce, lunga 45 e larga 26 metri, divisa in 5 navate, con abside unica. Due gallerie ai lati del Martyrion collegavano l'atrio orientale d'ingresso con un chiostro dietro l'abside, dove all'angolo SE. s'innalzava la nuda roccia del Calvario, ornata di pietre preziose e sormontata da una croce protetta dalle intemperie da un ciborio dorato. Attraverso il chiostro si accedeva alla Rotonda, costruita sul sepolcro di Cristo, seguendo la forma dei mausolei principeschi romani (v. anastasi).
L'insieme di questi monumenti occupava un rettangolo di 132 metri su 38. Distrutti nel 614 dai Persiani di Cosroe, ricostruiti su pianta più ristretta dall'igumeno Modesto, di nuovo abbattuti nel 1009 dal califfo fatimita al-Ḥākim, e di nuovo rifatti nel 1042 sotto il patriarca Niceforo con gli aiuti di Costantino IX Monomaco, furono ritrovati ridotti a così modeste condizioni dai crociati, che questi concepirono l'idea di riunire questi luoghi in un solo e nuovo monumento con pianta a forma di croee. Fu riparato il Sepolcro e protetto da un'edicola; conservata in gran parte la Rotonda, ma unita con un'apertura di un grande arco trionfale a quella parte della nuova chiesa costruita sull'antico chiostro, e che servì da coro, delimitata da colonne e pilastri, ornata con tribune e cinta da un deambulatorio. I bracci del transetto non poterono avere eguali proporzioni per conservare in quello settentrionale il portico dell'antico chiostro detto "Archi della Vergine", e in quello meridionale la cappella del Golgota. Verso oriente poi il nuovo edificio dovette arrestarsi ai piccoli santuarî, che ricordavano episodî della Passione, cui si accedeva dal deambulatorio, dal quale, scendendo una scala, si aveva anche adito alla cripta dell'Invenzione della Croce, detta di S. Elena.
Le linee essenziali di questo edificio crociato esistono ancor oggi, ma deturpate da costruzioni parassitarie e specialmente dalle alterazioni del restauro greco del 1808, dopo un incendio che aveva quasi distrutto la Rotonda. Così nella Rotonda troviamo pesanti pilastri a sostituzione delle belle colonne e un'edicola del Sepolcro goffa e mal costruita; il coro è recinto da muri che chiudono anche l'arco trionfale, e fanno del deambulatorio una galleria oscura; le gallerie tramezzate sono divenute abitazioni o magazzini, e scale interne che salgono al Calvario ingombrano la navata meridionale. La cappella del Calvario è coperta da rozze pitture; due pilastri separano l'altare greco, eretto sul luogo ove spirò Cristo, da quello della Crocifissione, che è rimasto latino e che è adornato da finissimi bronzi dorati dono di Ferdinando de' Medici e opera del Giambologna (1585). Degna di nota l'attuale facciata, che più conserva il carattere dell'architettura crociata. Il portale a doppia apertura e finestre nell'ordine superiore, i capitelli a foglie d'acanto o a corbello, gli architravi scolpiti, gli archivolti a toro con intaglio di fogliami ovvero composti dei caratteristici cuscinetti, i fasci di colonne di marmi varî che s'insinuano negli angoli, sono esempio elegante dell'arte romanica con qualche influenza locale. La piccola edicola a oriente della facciata serviva d'accesso al Calvario. Il campanile, che s'innalza nell'angolo NO. della piazza d'ingresso, manca dell'ordine superiore, tolto nel sec. XVI perché minacciava rovina. La basilica del S. Sepolcro è ufficiata in speciali cappelle da cattolici (rappresentati dai francescani), greci, armeni, giacobiti, copti e abissini.
b) Eleona. - Eusebio (Vita Constant., III, 41) narra che S. Elena fece elevare una basilica sul Monte Oliveto, per onorare la grotta ove i cristiani pensavano che Gesù avesse rivelato ai discepoli i segreti sulla fine del mondo. Dal nome del monte (mons Elaeon), il santuario fu detto Eleona. Distrutto da Cosroe e poi di nuovo dai califfi, all'arrivo dei crociati se ne era persa la memoria, tanto che questi elevarono sopra l'area dell'antica basilica un oratorio in ricordo dell'insegnamento del Pater. Nel 1910-11, degli scavi, condotti di fronte al monastero delle carmelitane, le quali nel 1875 avevano fatto risorgere la chiesa del Pater, portarono alla scoperta d'una chiesa orientata, a tre navate, con cripta munita d'absidiola. Poiché i capitelli, i fusti, le basi di colonne e i mosaici rinvenuti sono d' epoca costantiniana, la chiesa fu identificata con quella dell'Eleona. Il santuario (29,50 × 18,60 m.) era preceduto da atrio con portici, e da un peristilio che poggiava sulla cripta, dove dal sec. XVI la tradizione aveva posto la riunione degli apostoli per sancire gli articoli del Credo. Tutto il monumento misurava 70 metri. A cura di un comitato francese una basilica dedicata al Sacro Cuore sarà eretta sulle antiche linee dell'Eleona.
c) Ascensione. - Sulla sommità del Monte Oliveto presso l'Eleona, considerata dai fedeli come il luogo preciso donde Gesù era salito al cielo, fu nel 376, per opera d'una pia matrona di nome Pomenia, eretto un edificio la cui forma fu rispettata nella restaurazione dei crociati. L'edificio, a giudicare dai resti ancora visibili, aveva forma di ottagono, iscritto in una circonferenza teorica di metri 18,40 di raggio; una colonnata concentrica interna sorreggeva un tamburo circolare, sormontato da cupola con occhio aperto nel centro. Qui sorgeva un'edicola che custodiva una pietra, in cui la leggenda vedeva le orme lasciate da Cristo nell'atto di sollevarsi dalla terra. Nel 1187 la chiesa venne trasformata in moschea; e oggi dell'antico edificio non restano che alcune fondamenta del muro esterno con basi di colonne, e l'edicola centrale, ornata di graziosi archetti, che poggiano su capitelli e colonnette, ma appesantita da una cupola, che i musulmani vi posero nel 1200.
d) Cenacolo. - Il santuario che ricorda l'istituzione del sacerdozio, dell'Eucarestia e della discesa dello Spirito Santo è (fin dal sec. XV) in mano dei musulmani sotto il nome di Moschea di Nabī Dāwūd, dalla pretesa tomba del profeta David che essi credono di possedervi. La sala rettangolare che si vede ancora oggi (15,30 su 9,40 m.) fu dai francescani fatta costruire nel secolo XIV da operai venuti da Cipro. Una fila di 3 colonne, alle quali corrispondono sulle pareti laterali, pilastri a fascio, dividono la sala in due navi simmetriche con tre arcate decrescenti in larghezza da O. ad E. Le vòlte sono a crociera con archi ogivali. Tre grandi finestre a sesto acuto aperte a mezzogiorno illuminano questa bella sala gotica di stile cipriota. Il pian terreno, che ricordava la lavanda dei piedi, aveva la medesima disposizione del piano superiore. Un ambiente quadrato, coperto e comunicante con l'aula gotica, porta un cenotafio che indica nel locale sotterraneo il luogo della pretesa tomba di David. Questa è l'unica modificazione apportata in seguito all'edificio francescano. (Per le vicende del Cenacolo anteriori all'edificio francescano e per la questione del possesso, la cosiddetta "questione del Cenacolo", v. cenacolo, IX, p. 727). Nel 1898, per concessione del sultano di Costantinopoli all'imperatore Guglielmo II, nelle vicinanze del Cenacolo fu eretta una chiesa detta della Dormitio Virginis, le cui linee arieggiano quelle della cattedrale di Aquisgrana.
e) Getsemani. - Questo luogo fu al tempo di Teodosio (379-393) ricordato da una basilica, una delle prime chiese distrutte dai Persiani. I secoli seguenti la videro risorgere e cadere di nuovo. All'arrivo dei crociati vi fu eretta dai cristiani indigeni una modesta chiesa, ampliata più tardi col nome di S. Salvatore. Ma, rovinata anch'essa, e trasportatane l'ufficiatura nella vicina grotta (dal see. IV ritenuta luogo del bacio di Giuda), insensibilmente si spostarono i ricordi sacri, e la grotta fu detta dell'"Agonia", mentre il vicino oliveto, sotto il quale giacevano gli avanzi dell'antica chiesa, fu considerato come il luogo del "tradimento" e dell'"arresto". Scavi iniziati nel 1891 e ripresi nel 1909, misero alla luce i rozzi avanzi della chiesa di S. Salvatore. Ma nel 1920 nel preparare le fondamenta per la riedificazione di quel santuario apparvero ad un livello inferiore le vestigia assai più preziose della chiesa teodosiana, che tuttavia offriva, rispetto alla medievale, uno spostamento di asse di 13 gradi. Le proporzioni delle tre navi, un bell'esempio di capitello, i frammenti del ricco pavimento musivo, le tessere vitree di mosaici parietali, le tracce dell'atrio con la cisterna centrale intatta, dicono quanto fosse appropriato l'epiteto di "elegante" dato a quella chiesa dalla Peregrinatio Aetheriae.
La ricostruzione di questo santuario, affidata all'architetto A. Barluzzi, non si riattacca alle linee dei templi precedenti. Il ricordo della pianta teodosiana è affidato al pavimento che in mosaico riproduce esattamente il disegno dell'antico. Elementi costruttivi dell'epoca romana, adoperati con libertà di concezione, formano del vaso della chiesa quasi un unico ambiente, interrotto solo da sei colonne monolitiche a sostegno di 12 vele uniformi, a dare il senso della prostrazione dinnanzi alla roccia dell'Agonia, che è stata conservata nel centro del presbiterio. Le luci sono attenuate attraverso trasparenti violacei. All'esterno un pronao con gruppi di colonne sorregge il timpano ove il mosaico celebra la gloria del Cristo Salvatore e Redentore. I fianchi sono traforati da alte transenne di marmo fra robusti pilastri, sui quali si appoggiano i timpani terminali. Le vele sono protette all'esterno da cupolette che ripetono motivi d'arte orientale. La decorazione dei mosaici delle vòlte è dovuta a P. D'Achiardi, quella della facciata a G. Bargellini, i bronzi e le statue sono dovuti a G. Tonnini, i ferri battuti ad A. Gerardi, i trasparenti a C. Picchiarini.
f) Tomba della Vergine. - Circa il secolo V un edificio analogo a quello del S. Sepolcro - piano ottagonale con cupola - fu eretto nella Valle di Giosafat sulla Tomba della Vergine. Distrutto dai musulmani, all'arrivo dei crociati restava di questo santuario unicamente la cripta, la quale nel secolo XII fu sormontata da una chiesa superiore, distrutta anch'essa più tardi da Saladino. Oggi della costruzione innalzata dai crociati, seminterrata e buia, rimangono solamente la cripta in forma di croce latina, la scala monumentale e la facciata. La porta del secolo XII, impiccolita da un muro, si fa notare ancora per gli assai graziosi archivolti a sesto acuto, le colonnette e i capitelli di marmo bianco.
g) Chiesa di Sant'Anna. - Costituisce il monumento più caratteristico e meglio conservato dell'arte crociata. Gli archi e le volte ogivali, la cupola su pennacchi dànno l'impressione d'una bellezza austera anche prima di oltrepassare l'arcata complessa e nettamente acuta della grande porta. Del periodo bizantino resta soltanto la cripta, ove una tradizione ricorda la nascita della Vergine. Adibita dal Saladino a scuola, e tale rimasta fino al secolo XV, la chiesa fu dal sultano ‛Abd-ul-mégīd, dopo la guerra di Crimea, ceduta al governo francese che la fece restaurare in stile del secolo XII.
A ponente della chiesa furono a più riprese condotti scavi, che portarono al rinvenimento della Piscina Probatica, ove la tradizione vuole che Gesù Cristo guarisse il paralitico. Oltre ai molti blocchi di colonne e di piedestalli romani, nei quali i Bizantini avevano scolpito una croce, fu ritrovata anche l'abside dell'oratorio bizantino e crociato.
h) Chiesa di S. Giacomo. - Questo monumento, che serve da cattedrale agli Armeni non uniti, fu innalzato nel sec. XII sopra il luogo in cui secondo la tradizione fu decapitato l'apostolo S. Giacomo. Il disegno è sul tipo caratteristico delle chiese dell'Armenia a croce inscritta sormontata da una cupola con nervature intrecciate. Alla costruzione collaborarono i crociati. La felice concezione di questo monumento, la sua struttura elegante e semplice e l'armonia delle linee sono ben visibili anche attraverso le inorganiche aggiunte posteriori.
i) Via Dolorosa. - I ricordi sacri venerati lungo questa via sono rappresentati da cappelle riedificate sopra edifici più antichi. La cappella della Flagellazione è stata restaurata nel 1927, nello stile del sec. XII di cui restavano numerosi avanzi, da A. Barluzzi. Ammirevoli le tre vetrate (disegnate da D. Cambellotti ed eseguite da L. Picchiarini) che chiudono gli archi sui quali imposta la vòlta del presbiterio, e che rappresentano la Flagellazione, Pilato che si lava le mani e il trionfo di Barabba. Il vano settentrionale dell'arco dell'Ecce Homo rinchiuso in una cappella di austera eleganza, ne incornicia l'abside. Fu costruita nel 1868. Presso la III stazione sorge la chiesa di S. Maria dello spasimo, innalzata dagli Armeni cattolici sopra altra antica, che ora serve di cripta, con i resti di mosaico anteriori al secolo VII. Di poca importanza sono le altre cappelle (del Cireneo, della Veronica e della terza caduta).
l) Notiamo ancora nel vasto quadrilatero del Muristān a sud della basilica del S. Sepolcro, la chiesa luterana di S. Salvatore, sorta sulla chiesa medievale di S. Maria Latina, della quale resta soltanto la porta occidentale, parte del chiostro annesso e il refettorio. Vicina a questa è la chiesa triconca di S. Giovanni Battista, di costruzione Bizantina e che nel Medioevo fu culla dell'Ordine dei Cavalieri di S. Giovanni dell'Ospedale. A nord della città, sulle rovine d'una chiesa che si vuol riconoscere per quella costruita da Eudossia, in onore di S. Stefano, è stata pure rialzata dai domenicani una nuova chiesa che si avvicina allo stile basilicale.
Gerusalemme musulmana. - L'arte musulmana non si manifesta in Gerusalemme con le sue più caratteristiche peculiarità, sebbene si affermi idegnamente con cospicui monumenti, fra i quali il più interessante è la moschea impropriamente detta di "Omar". La collina del Moria, dove sorgeva il tempio d' Israele, artificialmente prolungata a settentrione e a mezzogiorno con possenti costruzioni (le cosiddette "stalle di Salomone") forma la grande area sacra, lunga 500 metri e larga 300. detta dai musulmani al-Ḥaram ash-Sharīf ("il nobile recinto sacro"). Dopo la distruzione di Tito, fu eretta la statua dell'imperatore Adriano, a simbolo di vittoria, in questa spianata fatta deserta, che nel periodo bizantino, abbandonata ancora più, divenne deposito d'immondizie. ‛Omar, in omaggio alle antichissime tradizioni religiose, volle renderla al culto.
La moschea attuale, detta di ‛Omar dagli Europei e Qubbat aṣ-ṣakhrah o "cupola della roccia" dai musulmani, fu iniziata sotto il califfo omayyade Abd al-Malik da architetti Bizantini. Da allora, tranne il breve periodo crociato, durante il quale venne trasformata nel Templum Domini, restò in possesso dei musulmani come la gemma più preziosa dell'Islām, che califfi e sultani gareggiarono nell'arricchire e ornare, sicché sulla linea generale bizantina furono innestati elementi decorativi di varie generazioni e di varie razze: greci, armeni, persiani, franchi e turchi. L'edificio ha forma di ottagono, cui nel centro s'innesta, a mezzo d'un tamburo cilindrico, la cupola. Le pareti esterne sono decorate in basso da marmi colorati, in alto da maioliche a fondo azzurro istoriate da arabeschi, sì da presentare una massa verdeazzurra di gradevole effetto. L'interno, pur nella penombra, offre una varietà inimitabile di colori. Le pareti e i pilastri rivestiti da marmi sapientemente accoppiati, le colonne monolitiche dai robusti colori (provenienti certamente dalle chiese cristiane. in rovina), che in doppio giro formano un ambulacro e sostengono il tamburo della cupola, i mosaici di questa a ricchi fogliami con iscrizioni cufiche, e i preziosi stucchi dorati su fondo azzurro della cupola, ricorrentisi fino alla sommità; le vetrate a colori dell'ambulacro, tutto concorre a fare di questa moschea uno dei monumenti più suggestivi del mondo.
Nella parte meridionale del al-Ḥaram ash-Sharīf si trova la moschea al-Aqṣà che significa "remotissima", a segnalare il luogo più lontano della Mecca, dove secondo la leggenda musulmana Maometto sarebbe stato una notte miracolosamente trasportato. Nel suo aspetto attuale si presenta come una basilica a tre navi, lunga 80 metri e larga 55, e tale che fino a pochi anni addietro era dai più considerata come un adattamento della chiesa di S. Maria di Giustiniano, mentre ora viene esclusa l'origine cristiana, pur ritenendola costruita da artisti bizantini con materiali preesistenti.
Al tempo di ‛Omar era un modesto edificio in legno, sostituito nel sec. VIII, sotto il califfo al-Mahdī, da una costruzione muraria che fu poi ampliata e decorata dai califfi successivi. I crociati trasformarono al-Aqṣà in dimora reale col nome di Palatium Salomonis e nel 1118 il re Baldovino vi concesse ospitalità ai 9 cavalieri che fondarono l'ordine dei Templari. Con Saladino l'edificio tornò al culto islamico, e a lui si devono l'elegante miḥrāb fiancheggiato da colonnette e ornato di mosaici, e il pulpito di legno incrostato d'avorio e di madreperla. Oltre questi due edifici principali, lo al-Ḥaram ash-Sharīf presenta altri minori monumenti degni di rilievo: tempietti, pulpiti e fontane, e soprattutto un grazioso ottagono, decorato di maioliche e sormontato da cupola, che forse era fonte battesimale all'epoca dei crociati.
Niente è restato in Gerusalemme dell'attività costruttiva degli ‛Abbāsidi, Ṭūlūnidi, Ikhshīditi e Fāṭimiti; dagli Omayyadi bisogna scendere fino a Saladino, il quale usò nelle sue costruzioni operai indigeni, che mantennero linee e ornamenti dell'arte franca, con varianti originali piene di brio, bizzarre e ardite. Migliore sviluppo artistico si ebbe sotto i Mammelucchi nelle costruzioni di scuole, collegi, khān, tombe, palazzi, ormai in rovina, ma riconoscibili negl'intarsî policromi di pietre bianche, rosse e nere, nelle decorazioni di porte a stalattiti. Del periodo turco-ottomano restano le belle fontane di Solimano negli accessi all'al- Ḥaram, l'intiero giro delle mura merlate, la cittadella e le porte di città, fra le quali è da segnalare la porta di Damasco (1536).
Monumenti civili. - Notevole è l'attività edilizia svolta negli ultimi anni a formare la nuova città. Fra la pleiade di costruzioni senza valore alcuno, possono segnalarsi i grandiosi edifici a carattere nazionale costruiti da Francesi, Inglesi e Tedeschi nell'anteguerra. L'Italia si affermò col suo ospedale di stile trecentesco toscano. Recentemente notiamo lo sforzo degli Ebrei per creare un'architettura propria, come nella biblioteca sul monte degli Ulivi, e quello di artisti inglesi per sviluppare uno stile nuovo, che predilige le masse nude e geometriche moderne, pur ammettendo qualche nota di sapore orientale nell'uso parsimonioso della cupola o di qualche caratteristico particolare dell'arte musulmana.
V. tavv. CXXXICXL.
Storia. - Dalle origini sino alla conquista di David (1000 a. C.). - Le grotte naturali, aperte nella valle rocciosa del Cedron, vicino alla fonte Umm ed-Daraǵ, sono considerate le origini della città. Nell'età neolitica, gli aborigeni, pastori e nomadi, attratti dall'importanza della fonte, unica in Gerusalemme, fecero, delle grotte prossime alla fonte, la base delle loro escursioni nelle circostanti vallate. L'importanza di questa sorgente, che i moderni chiamano volgarmente "fontana della Vergine, fu compresa dai Cananei, che nel III millennio a. C. s'impossessarono della Palestina. Il clan cananeo dei Gebusei si fissò sulla collina sovrastante la fonte; un passaggio coperto permetteva l'approvvigionamento d'acqua della città in tempo d'assedio.
La borgata gebusea trovò una prima naturale difesa nella conformazione del colle dai ripidi declivî, limitato dalle profonde valli del Cedron ad oriente, del Tyropeon ad occidente, e da un'impervia scarpata a sud, alla confluenza delle due valli. La depressione trasversale a sud della odierna muraglia dell'al-Ḥaram ash-Sharīf, artificialmente rinforzata, offriva al nord sufficiente garanzia. Alla protezione naturale si aggiunge una potente cinta di mura. Santuario, reggia, ipogeo reale si addossavano nel cuore della collina, nell'acropoli, chiamata con nome indigeno Sion.
Lungo il secondo millennio i testi egiziani e le tavolette cuneiformi parlano di Urušalim. Fu qui che Melchisedec, sacerdote dell'Altissimo, avrebbe esercitata la sua sovranità al tempo in cui Abramo percorreva la Palestina come nomade (Gen., XIX, 18-20). Caduta sotto l'influenza egiziana, in seguito alle vittorie di Tuthmosi III, Urušalim fu governata come le altre città cananee da un principe dipendente del faraone: le lettere di Tell el-‛Amārnah ci mostrano un certo Abdihepa che dalle rocce dell'Ofel scrive al faraone chiedendo rinforzi militari per poter difendere la città dall'invasione dei Khabiru. Uno dei suoi successori, Adonisedec, si mise alla testa di una confederazione per opporsi alla penetrazione ebraica. Benché vinto e messo a morte da Giosuè, pure lasciò la capitale assai forte per tenere a rispettosa distanza i suoi conquistatori sino all'anno 1000.
Dalla conquista di David alla distruzione del tempio (70 d. C.). - Bloccata a nord dai Beniaminiti, divenuti potenti dopo l'elevazione di Saul a re, minacciata continuamente a sud dalla tribù di Giuda, fiera di servire David, la città di Urušalim venne a trovarsi completamente isolata dal resto di Canaan. Quando David, dopo la morte di Saul, risolvé di riunire le diverse frazioni del popolo israelita, l'indipendenza della piccola città fu compromessa per il fatto ch'essa occupava il sito favorevole a divenire apoluogo. Quando David si presentò ai piedi delle mura della città, esse avrebbero certo resistito all'attacco se il passaggio segreto (óinnōr) che metteva in comunicazione la fonte con la città, non avesse offerto una via per la quale Gioab penetrò, per sorpresa, nella città. Così finiva Urušalim, e la città, nella fonetica ebraica di Yerušalaim, prendeva un aspetto completamente giudaico.
La prima cura del vincitore fu di riparare le mura intorno alla collina, e di crearsi una reggia nel centro dell'acropoli di Sion cui diede il nome di Città diDavid. Ciò che contribuì a dare grande splendore a Gerusalemme e a farne la capitale del regno fu il trasferimento dell'arca dell'alleanza da Kiryat-Iearim a Sion su una roccia che servira da zoccolo all'altare degli olocausti. Di 60 m. superiore all'Ofel, 600 metri distante da Sion, questa roccia, sulla quale era apparso l'angelo di Jahvè, in occasione della peste, non tarderà ad esercitare un'attrazione irresistibile sulla città divenuta ebraica.
Poco soddisfatto delle costruzioni del padre, nelle quali permaneva l'influsso cananeo, Salomone dà il segno dello spostamento verso il nord. Sulla cima della collina del Moria viene creata la vasta piattaforma dell'al-Ḥaram ash-Sharīf, in mezzo alla quale gli operai del re tirio Hiram edificarono il tempio la cui magnificenza è descritta in I Re, V-VIII. A sud del tempio, ove si eleva oggi la moschea al-Aqsà fu costruita la reggia; con un terrapieno (Millo) fu unita la città inferiore alla superiore e con un nuovo muro, il primo muro, furono incluse nella città le abitazioni sorte sulle pendici della collina occidentale. Questo muro volgeva a nord dell'odierna porta di Giaffa sino all'entrata del al-Ḥaram ash Sharīf chiamata Bāb es-Silsileh, e contornava tutta la città sulla cresta delle colline che dominano le valli del Cedron e del Hinnom.
Questo slancio verso l'accentramento subì un arresto inevitabile quando, alla morte di Salomone (931), le dieci tribù del nord si elessero in Sichem re Geroboamo, e Gerusalemme rimase capitale del piccolo reame di Giuda e di Beniamino. Intanto le ricchezze della città tentano la cupidigia degli stati vicini. Sesac (927), re d'Egitto, saccheggia il tempio e la reggia, l'empia Atalia (842) usurpa il trono e stermina la razza davidica, Gioas (840), che le sfugge, si abbandona all'idolatria; Hazaele, re di Siria, poi un altro Gioas, re di Samaria, vengono a turno a saccheggiare ancora il palazzo reale e il tempio e a manomettere le mura. Un terremoto compie la desolazione. La decadenza della città sarebbe stata completa se i re Ozia (770) e Ioatan (732) non ne avessero curato le riparazioni rifortificando le mura. Caduta nel 721 la città di Samaria, la capitale della Giudea dovette accogliere un gran numero di profughi scampati all'eccidio.
Fu appunto allora che Ezechia, nell'imminenza dell'invasione di Sennacherib, fece costruire al nord una nuova cinta, il cosiddetto secondo muro, che comprendeva la parte della città venuta su fra la torre di David, il Mekme, e la Torre Antonia, nella direzione nord-ovest del Gareb lasciando fuori il Golgota. Ma l'opera principale di questo re fu l'apertura d'un acquedotto di circa 550 m. in piena roccia per trasportare le acque del Gihon nella piscina di Siloe al fine di sottrarre agl'invasori d'Assiria l'approvvigionamento dell'acqua. La galleria, opera veramente considerevole per il secolo VII a. C. data la povertà dei mezzi usati, è ancora in efficienza. Un'iscrizione trovata nel 1880 (oggi al museo di Costantinopoli: v. epigrafia, XIV, p. 68) descrive quest'opera idraulica.
Il regno di Ezechia fu testimone dell'umiliante rovina dell'esercito assiro (701) sotto le mura di Gerusalemme, ma poco più di un secolo appresso le schiere vittoriose di Nabuccodonosor si accamparono alle porte della capitale. I difensori, dopo due anni di eroica resistenza, si arresero (586): il re e la maggior parte degli abitanti furono deportati a Babilonia; Gerusalemme fu distrutta.
Quando, dopo l'editto di Ciro (538), i Giudei poterono rientrare in patria restaurarono l'altare degli olocausti sulla roccia santificata da David e la "casa di Jahvè" sulle basi del santuario salomonico (secondo tempio). Alla prima carovana condotta da Zorobabele ne successero altre e alla distanza di quasi un secolo dall'editto, Neemia poté rilevare le mura di Gerusalemme. Questa restaurazione presentava però l'aspetto d'opera frettolosa e povera e la nuova città, posta sotto l'autorità dei sommi sacerdoti e dei satrapi persiani, pur riproducendo l'ampiezza dell'antica, risultò scarsamente popolata. Nel 331 Gerusalemme è occupata da Alessandro Magno e alla sua morte passa sotto il protettorato dei Tolomei d'Egitto per soggiacere poi alla tirannia dei Seleucidi di Siria. La diffusione dell'ellenismo porta la più profonda divisione fra le comunità giudaiche e, senza la resistenza maccabaica, Gerusalemme sarebbe divenuta nel sec. II una città puramente greca.
Di fronte all'Acra, la fortezza ove si era trincerata a sud del tempio la guarnigione del monarca d'Antiochia e dei Giudei filelleni, Giuda Maccabeo e i suoi fratelli si ritirano nel tempio, che lo stile dell'epoca onora del titolo di Monte Sion, raggruppando tutte le buone volontà intorno all'altare purificato nel 165 dalla devastazione d'Antioco IV Epifane. Con sforzi perseveranti uscì dal tempio un nuovo rinnovamento; Gionata riparò i quartieri della città saccheggiati da Antioco, e Simone completò nel 143 il rialzamento delle mura e nell'anno seguente ridusse al silenzio la cittadella siriana che per 26 anni aveva frustrate le ambizioni del partito nazionale. Sotto il suo governo saggio e forte s'inaugura un periodo di floridezza e d'indipendenza con il diritto di coniare monete proprie dove "Gerusalemme la santa" comparisce nel siclo d' Israele. Ma appena ottant'anni erano trascorsi dal trionfo finale di Simone quando le discordie tra Ircano II e Aristobulo II provocarono l'intervento romano. Nel 63 a. C. Pompeo conquistava Gerusalemme rendendola tributaria di Roma. Nel 37 a. C. le armi romane compaiono di nuovo sotto le mura di Gerusalemme per prestare aiuto a Erode, che col favore di Antonio e di Augusto era riuscito a farsi riconoscere re della Giudea. La città fu occupata dopo due mesi d'assedio ed Erode vi poté cingere la corona. Delle tante trasformazioni che aveva subito la città, nessuna fu più profonda di quella che vi compì Erode il Grande.
Il piano generale rifletteva ancora la fisionomia di quello di Neemia, ma gli edifici furono concepiti seguendo l'ispirazione dell'arte grecoromana, e provvisti di tutte le comodità e le agevolezze di una civiltà raffinata. Sulla collina occidentale della città fu costruito il palazzo regio difeso a nord dalle tre grandi torri d'Ippico, di Fasaele e di Mariamne; nella città bassa, all'angolo nord-ovest del tempio, fu, sulle basi della Baris asmonea, restaurata la fortezza, detta Antonia in onore del conquistatore romano della Palestina. Cinta da un formidabile fossato, era insieme un vasto palazzo con portici e giardini. La grande meraviglia della Gerusalemme di questo periodo fu la ricostruzione del tempio - "terzo tempio" - preceduto da vasti cortili, tra cui si elevava superba, al sud, la basilica sul luogo dell'attuale al-Aqṣà. Nelle vicinanze della città sorse l'agorà per le assemblee del popolo, un teatro, l'anfiteatro e un ippodromo.
Alla morte del re Erode, Archelao suo figlio governò per pochi anni col titolo d'etnarca ma, esiliato in Gallia, la città perse perfino la qualifica di capitale, passata a Cesarea di Palestina. Nel 25 d. C. il procuratore Ponzio Pilato provvide d'acqua Gerusalemme con una canalizzazione delle sorgenti d'Etam. Fu sotto questo procuratore che, sul Golgota (un cocuzzolo roccioso fuori le mura vicino ad una porta della città) fu crocifisso Gesù Cristo sepolto lì presso nella tomba fatta costruire da Giuseppe d'Arimatea.
Oggi la regione del Calvario e del Sepolcro si trova nell'interno della città, perché nel 44, sotto il regno di Erode Agrippa, la città dilatatasi nella regione del Gareb e del Bezeta, fu, nella parte settentrionale racchiusa nel terzo muro. Cominciato nel 44 e terminato nel 63, il terzo muro seguiva a settentrione presso a poco la direzione del muro attuale.
Alla morte di Erode Agrippa, Gerusalemme ricadde sotto il potere dei procuratori romani. L'ultimo di questi rappresentanti, Gessio Floro (64-66) fece divampare per la sua rapacità il terribile incendio da cui doveva essere distrutta Gerusalemme. A domare la rivolta fu da Nerone inviato Vespasiano, il quale divenuto imperatore affidò la continuazione dell'opera al figlio Tito. I primi attacchi furono diretti contro il terzo muro sulla collina occidentale difesa da Simone di Gerasa. Fu investito quindi il secondo muro difeso da Giovanni di Giscala, dove dopo cinque giorni d'assedio fu aperta la breccia. La popolazione chiusa in Gerusalemme, col nemico alle porte e all'interno la guerra civile e gli orrori della fame, soffriva mali indescrivibili. Presa d'assalto la fortezza Antonia dopo poche settimane i Romani si rendono padroni della collina del tempio, e successivamente della città bassa e alta. Il tempio, contro l'espresso volere di Tito, venne arso dalle fiamme e tutto il resto di Gerusalemme, all'infuori delle torri erodiane Ippico, Fasaele e Mariamne, fu condannato alla distruzione (agosto del 70).
A memoria di quel trionfo, eternato a Roma dall'arco di Tito, fu coniata una moneta con l'iscrizione Iudaea capta.
Dalla distruzione del tempio alla conquista araba (70-637 d. C.). - In quale stato sia rimasta Gerusalemme dalla distruzione del tempio alla rivolta di Simone bar Kōkebā, che fu l'ultimo disperato guizzo del sentimento nazionale ebraico (v. giudea), non è esattamente determinabile, giacché qualche indizio sembra mostrare che l'ordine di totale smantellamento e distruzione, seguito alla conquista, non sia stato del tutto eseguito. Il nuovo volto, col nuovo nome della città, appare solo sotto Adriano, allorché, schiacciata nel 132 l'ultima rivolta, si pose mano all'edificazione sul luogo della città santa di un nuovo centro urbano di tipo ellenistico-romano, col nome di Aelia Capitolina; realizzando quel disegno, profanatore per la coscienza religiosa giudaica, che aveva dato esca alla rivolta.
Èlia (chè tale fu il nome abituale della città, conservatosi nell'arabo Iliyyah) fu colonia romana, senza ius italicum; divisa in sette distretti, occupò il territorio dell'antica Gerusalemme, solo lasciandone fuori delle mura la parte meridionale; i Giudei ne furono esclusi sotto pena di morte. Nonostante i molti e cospicui edifici di cui fu adornata (tempio di Giove Capitolino, forse sul luogo dell'antico tempio, tempio di Afrodite, teatro, terme, ecc.), l'importanza politica e culturale della città fu assai scarsa, e assai inferiore a Cesarea. I progressi e la vittoria finale del cristianesimo dovevano ridarle coscienza del suo antico nome e del glorioso passato: pellegrinaggi di cristiani vi sono attestati sino dal sec. III, e forse anche prima. Costantino vi edificò la grande chiesa della Risurrezione, e nel sec. V vi s'introdusse il monachesimo. Anche i Giudei, mitigatasi l'originaria severità dell'editto di Adriano che lï escludeva, furono riammessi, anzi sotto il regno di Giuliano favoriti, e autorizzati perfino a riedificare il tempio (362), ma con la morte dell'Apostata ricaddero in condizione tollerata e spregiata. Quando poi, con la separazione dell'Impero, Gerusalemme venne a far parte dell'Impero romano d'Oriente, fu oggetto delle pie cure restauratrici ed edificatrici degl'imperatori di Costantinopoli (v. sopra, parag. Monumenti). Nel 451, nel Concilio di Calcedonia, il suo vescovo fu elevato al grado di patriarca, con giurisdizione religiosa su tutta la Palestina. Adornata di nuovi splendidi edifizî sacri e profani da Giustiniano (chiesa della Θεοτόκος), ebbe molto a soffrire per l'invasione persiana del sec. VII, quando, conquistata da Cosroe II, ebbe saccheggiate le chiese, e rapita la reliquia della croce. Solo nel 629 Eraclio, nella sua controffensiva vittoriosa, riconquistò la città e trionfalmente vi riportò il sacro legno. Ma otto anni dopo la città andava perduta alla cristianità, arrendendosi agli Arabi invasori durante il califfato di ‛Omar (637).
Dalla conquista araba a oggi. - Le condizioni imposte dal califfo Omar al patriarca Sofronio erano assai miti: i cristiani conservarono la loro libertà di vita, di culto, conservarono tutte le loro chiese, meno la basilica del monte Moriah, e i loro monasteri; anche i beni ecclesiastici furono rispettati. Fu vietata però ogni manifestazione religiosa fuori dei templi.
I musulmani, seguendo Maometto, considerarono Gerusalemme come città santa e la chiamarono "Il Santuario", al-Quds. Il governo della Palestina non fu però messo in Gerusalemme, ma nella vecchia Lydda, detta dagli arabi Ludd. Verso il 691 (anno 72 dell'ègira) il califfo di Damasco, ‛Abd al-Malik fece costruire, sulla rupe dove David aveva eretto l'altare degli olocausti, la Qubbat as Ṣakhrah o Cupola della rupe (volgarmente, ma a torto, ora detta Moschea di ‛Omar). La vita a Gerusalemme sotto il governo dei califfi di Damasco e poi di Baghdād si svolse con una certa tranquillità, come attestano i numerosi pellegrinaggi che regolarmente affluivano dall'Europa, pur non mancando in certi momenti delle manifestazioni musulmane anticristiane. Alla fine del sec. VIII fra Carlo Magno e il califfo si svolsero delle trattative che dovettero fruttare, pare, qualche favore all'elemento cristiano di Gerusalemme. Anche i successori di Carlo continuarono ad aver cura della Palestina.
Una nuova trasformazione nella storia di Gerusalemme avvenne nel 972 quando la città fu occupata dai califfi Fatimiti. Il califfo al-Ḥākim fece nel 1010 distruggere il Santo Sepolcro e altre chiese della città santa. Solo nel 1048-49 avvenne la ricostruzione a spese del governo di Costantinopoli, a tal uopo accordatosi con il governo del Cairo. Verso il 1064-1070 furono ricostruite le mura attorno al quartiere sacro, a spese pure dell'imperatore bizantino; il patriarca ebbe una certa giurisdizione sul quartiere cristiano, completamente distinto dal quartiere musulmano e dall'ebraico. Nel 1076 la città fu occupata dai Turchi Selgiuchidi i quali determinarono grave malcontento nella popolazione cristiana. Se soltanto i Turchi o già prima gli Arabi costringessero i pellegrini europei a pagare un contributo, non è chiaro. Nel luglio del 1098 il califfo d'Egitto ricuperò la città, cacciandone i Turchi e facendo eseguire nuove opere di difesa. Nel giugno del 1099 i crociati europei erano sotto le mura di Gerusalemme che, dopo un mese d'assedio, il 15 luglio 1099, diventò di nuovo cristiana.
I crociati epurarono la città con massacri dell'elemento musulmano, ed anche, pare, dell'elemento ebraico. Le chiese furono restaurate, le moschee trasformate in chiese; la popolazione cristiana aumentò rapidamente per l'immigrazione dall'Europa. Ma già nel 1187 Gerusalemme fu rioccupata dal Saladino in seguito alla vittoria sui Latini a Ḥattīn (o Ḥittīn). Il Saladino assediò la città il 1 settembre; il 2 ottobre acconsentì alla capitolazione: la popolazione cristiana poté partirsene pagando un riscatto. La citta fu allora ripopolata da musulmani e da Ebrei; rimasero però i Greci. Il Saladino fortificò Gerusalemme e inutile fu la marcia che un esercito crociato fece da San Giovanni d'Acri per ricuperare la città santa nel 1192. Il timore d'una nuova spedizione europea indusse però nel 1219 il sultano d'Egitto ad abbattere le mura. Dieci anni dopo Federico II occupava Gerusalemme, in seguito al trattato conchiuso col sultano al-Malik al-Kāmil (v. crociate, XII, p. 15). Ma i tempi non erano favorevoli a una regolare osservanza da parte dei cristiani e dei musulmani dei patti di reciproco rispetto dei pellegrini. Nel 1239 si ebbe una occupazione armata della città santa da parte del sultano d'Egitto; nel 1243 la città fu restituita ai cristiani, ma nel 1244 già arrivava su essa l'uragano di un' orda di Khuwārizmi al servizio del califfo d'Egitto, che compirono gravissime distruzioni.
Gerusalemme rimase possesso egiziano sino al 1517 quando venne occupata dal sultano turco di Costantinopoli, Selīm I. Allora diventò un possesso ottomano, costituendo un governatorato speciale o sangiaccato, dipendente direttamente dal governo di Costantinopofi. Non mancarono d'interessarsene gli stati europei durante i secoli XVI-XVIII, specie i re di Francia per i diritti loro concessi dai sultani turchi negli accordi delle capitolazioni; qualche ambasciatore francese capitò pure a Gerusalemme, come il Deshayes sotto Enrico IV e il Nointel sotto Luigi XIV.
L'elemento cristiano dalla metà del sec. XIII era prevalentemente greco. I re di Francia curarono la difesa dei Latini; nel 1342 Roberto re di Napoli aveva avuto dal sultano in dono i Luoghi Santi; li cedette al papa Clemente VI che il 24 novembre 1342 li concesse in custodia ai francescani. Così sorse la custodia francescana dei Luoghi Santi. Nel sec. XIX i contrasti fra l'elemento latino e quello greco diventarono sempre più aspri per motivi politici troppo spesso nascosti sotto i pretesti religiosi; nel 1878 il trattato di Berlino riconobbe alla Francia il privilegio di protezione dei Luoghi Santi. Ma alla fine del sec. XIX da parte di varie potenze si affermò il diritto di proteggere i proprî sudditi e il privilegio francese lentamente cadde. Specialmente vivace si fece sentire la penetrazione politica tedesca; d'altra parte il movimento sionista faceva propaganda per il ritorno degli Ebrei alla vecchia patria.
La dominazione ottomana, che aveva avuto già un'interruzione dal 1831 al 1840 in seguito all'occupazione fatta da Ibrāhīm pascià con le forze egiziane, cadde nel 1917 in seguito alla spedizione internazionale condotta dal generale Allenby; il 9 dicembre le truppe alleate entrarono in Gerusalemme che dovevano poi difendere con la grande vittoria di Nabulus-Nazareth. Dalla pace di Versailles, Gerusalemme è capitale della Palestina, mandato inglese.
Il regno di Gerusalemme.
Storia. - Il regno fu fondato da un gruppo di principi occidentali alla prima crociata il 22 luglio 1099, sette giorni dopo l'occupazione di Gerusalemme, con l'elezlone di Goffredo di Buglione a capo. Mentre questi si disse defensor Ierosolimitanae ecclesiae, il fratello suo e successore Baldovino si proclamò rex Hierusalem latinorum.
La costituzione del regno ierosolimitano era, come quella dei principati di Edessa e di Antiochia, evidente violazione degl'impegni assunti nel 1097 dai capi crociati verso l'imperatore bizantino; essa perciò fu considerata come avvenuta "Dei gratia" e si respinse ogni legame così con l'Impero d'Oriente, come con l'Impero d'Occidente. All'origine esso era formato unicamente dalla città di Gerusalemme e da uno scarsissimo territorio circostante poiché completamente indipendenti erano la contea di Edessa e il principato di Antiochia. Ma già Goffredo di Buglione cercò di dare allo stato una linea di difesa orientale, spingendosi al Giordano fra il Mar Morto e il lago di Gennesaret, e di aprire sicuri sbocchi al mare occupando Giaffa e Caiffa. Il successore Baldovino I continuò l'opera conquistando Arsüf, Cesarea, Acri, Berito, Sidone; Baldovino II conquistò Tiro, e Folco s'impadronì di Banīā (v. carta storica, XII, p. 10). Appunto sotto il re Folco d'Angîò (1131-1143) il regno giunse alla massima estensione. Infatti Baldovino II e Folco riuscirono ad affermare una superiorità feudale sopra i principati di Antiochia, di Edessa, e di Tripoli, sì da dare un'unità apparente a tutti i possessi latini di Siria. Ma era un'unità sempre mal definita, priva di confini precisi e sicuri verso le maggiori potenze limitrofe, cioè l'impero bizantino a N., gli emirati di Aleppo e di Damasco a E., il califfato fatimita del Cairo a S. La lotta principale era con i principati musulmani, con i quali fu possibile stabilire accordi momentanei, tregue di qualche anno, mai vera pace. La difesa degli stati latini era resa difficile dai contrasti fra il re e l'aristocrazia così laica come religiosa, fra il re e i grandi principi del nord desiderogi di riaffermare la loro indipendenza; era aggravata dal dissidio con l'impero bizantino. A Costantinopoli non si era infatti mai abbandonato il progetto di restaurare la dominazione imperiale su tutta la Siria, secondo gli accordi del 1097. Giovanni II e Manuele I riuscirono a riaffermare la sovranità împeriale su Antiochia; ma i re di Gerusalemme acconsentirono a subire l'alleanza e la protezione bizantina solo di fronte all'aggravarsi della pressione musulmana verso il 1159.
Intanto la lotta con i musulmani diveniva sempre più difficile. Durante il sec. XII l'anarchia del mondo islamico, che aveva favorito e reso possibile la conquista latina, andò diminuendo per gli sforzi degli atābek di Mossul che fecero scomparire gli stati piccoli; e così gli stati latini ebbero a fare non più con le forze esigue dei varî emiri, ma con blocchi compatti. Diede il segnale dell'offensiva Imād ad-dīn Zinkī, atābek di Mossul, impadronendosi dell'avamposto cristiano sull'Eufrate, Edessa. Il regno gerosolimitano non aveva forze proprie sufficienti per resistere alla reazione islamica. Fondato da un'aristocrazia feudale, era rimasto prigioniero della formula iniziale: la difesa del predominio latino contro tutti gli elementi orientali. Differenze di lingua, di razza, di costumi e specialmente di religione impedirono che la minoranza dominante si fondesse con gli stessi elementi cristiani indigeni; un tentativo d'accordo si fece solo con la popolazione armena, ma senza risultati considerevoli. Il nucleo fondatore del regno, rimasto assai esiguo, cercò di riparare alle perdite causate dai disagi e dalle guerre sfruttando tutti quegli elementi che i pellegrinaggi, le velleità religioso-militari, lo spirito d'avventura facevano affluire. Ma pellegrini e avventurieri, assai numerosi nei primi decennî del sec. XII, diminuirono poi, e del resto presto si rivelarono contrasti fra quelli che arrivavano dall'Europa animati dall'entusiasmo di combattere e di debellare definitivamente gl'infedeli, e quelli da lungo tempo residenti che, scettici circa la guerra santa, fiaccati dalla vita molle, guardavano al più a un assestamento dei territorî occupati. La seconda crociata fallì per contrasti di questo ordine.
Dopo la seconda crociata i re di Gerusalemme cercarono di salvare lo stato sfruttando l'antagonismo fra la Siria turca e l'Egitto arabo. Al conflitto con l'impero bizantino si sperò di porre fine con legami matrimoniali; anzi si discusse d'una conquista dell'Egitto da farsi in comune. Ma Amalrico I aspirava per conto suo a impadronirsi dell'Egitto, eludendo gl'impegni con l'imperatore. Alla conquista dell'Egitto i Latini di Siria dedicarono varî anni di guerre continue e gravissime che stremarono il debole organismo. Ma l'impresa portò a conseguenze ben diverse da quelle desiderate: il Saladino riuscì a unificare Egitto e Siria e il duello allora si fece impari. La distruzione dell'esercito latino avvenuta il 5 luglio 1187 alla battaglia di Ḥāṭṭin (o Ḥiṭṭīn) volle dire l'occupazione di Gerusalemme e di tutta la Palestina da parte del vincitore: il 2 ottobre Gerusalemme cadeva nelle mani del Saladino. Indipendenti rimasero a nord i due soli principati di Antiochia e di Tripoli.
Il re di Gerusalemme Guido di Lusignano, caduto prigioniero del Saladino a Ḥiṭṭīn, ricuperò la libertà nel 1188 e cercò di riconquistare il regno. Con l'aiuto dei crociati provenienti dall'Europa nel 1189 mise l'assedio a S. Giovanni d'Acri, sotto le cui mura comparvero Riccardo Cuor di Leone d'Inghilterra e Filippo Augusto di Francia. Acri fu riconquistata il 12 luglio 1191 e diventò il centro latino di Palestina in attesa di riconquistare l'interno e Gerusalemme. Ma tutti gli sforzi fatti nel 1192 dai crociati fallirono. Il regno gerosolimitano esistette, allora, solo in quanto si riuscì a conservare la costa con i porti. Nell'isola di Cipro, tolta ai Bizantini da Riccardo Cuor di Leone e donata a Guido di Lusignano, si trasportò, per opera del successore di Guido, Amalrico II, la nobiltà di Siria rimasta senza feudi; e il titolo di re di Gerusalemme diventò un titolo portato dai re di Cipro.
Durante il sec. XIII altri tentativi furono compiuti per rinnovare il regno di Gerusalemme, ma senza frutto; nella seconda mea del secolo i sultani d'Egitto occuparono i porti di Siria che ancora rappresentavano il regno di Gerusalemme, distruggendo le città per impedire ogni velleità di riconquista; ultima cadde il 29 maggio 1291 San Giovanni d'Acri e così del regno di Gerusalemme scompare ogni traccia.
Organizzazione interna. - Le istituzioni politiche del regno furono prevalentemente feudali. A capo vi era un monarca, che ripeteva la sua autorità dalla decisione presa nel 1099 dai capi della prima crociata; la consacrazione rappresentava il riconoscimento dei diritti del re. Ma sebbene prevalesse nel sec. XII il principio di eredità, la monarchia non riuscì mai a distruggere la situazione che faceva dei feudatarî dei principi quasi indipendenti. Questa era una conseguenza dell'origine dello stato: una fratellanza spirituale di pellegrini combattenti ed eguali nella penitenza volontariamente accettata. Anche i feudi sorti in seguito alle concessioni di terre fatte da Baldovino I a Baldovino II non furono mai veramente legati alla monarchia. I re organizzarono una corte secondo l'usa di Francia diventato prevalente; i grandi ufficiali del re avevano funzioni militari; tutte le cariche dipendenti dalla volontà del re erano revocabili. L'esercito era l'unico istituto vitale del regno: era formato da tutti i vassalli che avevano feudo e obbligo di servizio; dispensati erano i vassalli che avessero il feudo occupato dal nemico. I re disponevano però di mercenarî siriani, armeni, occidentali, ma in mediocre misura. Gli eserciti gerosolimitani furono sempre assai piccoli.
Economicamente il regno di Gerusalemme disponeva di scarsi mezzi; onde i re erano carichi di debiti ed erano impotenti a far fronte ai bisogni. Esonerata dai tributi era la Chiesa; esonerati i mercanti delle colonie occidentali; perciò scarsamente redditizî erano i diritti di dogana e i tributi sulla terra. Lo stato di guerra frequentissimo impediva che fossero redditizî i pedaggi della via carovaniera che univa Damasco e Cairo attraversando la Palestina. Il re cercava di sfruttare i monopolî e certi diritti speciali, come quelli di successione, di bottino, di confische; più di una volta si usò imporre tributi a città musulmane minacciate d'assedio. Nel campo della giustizia al re spettava solamente il diritto di convocare l'alta corte, guardiana dei diritti feudali, alla quale spettava l'esercizio del potere giudiziario: ad essa era sottoposto anche il re che non poteva farsi giustizia da sé, non poteva mettere le mani sopra un vassallo, non poteva ordinare la confisca dei beni. Altrimenti sarebbe diventato spergiuro e il vassallo si sarebbe ritenuto libero dai legami di fedeltà.
Formavano poi barriere insormontabili per il re i privilegi della Chiesa, degli ordini militari, delle colonie dei mercanti occidentali, tutti enti che per diversi motivi erano riusciti a diventare veri stati nello stato.
I re di Gerusalemme. - Durante il sec. XII regnarono a Gerusalemme principi di diverse dinastie. Dal 1099 al 1131 regnarono i principi lorenesi Goffredo di Buglione (1099-11oo), il fratello suo Baldovino I (1100-1118), il nipote baldovino II (1118-1131); la figlia di quest'ultimo Melisenda, sposò Folco d'Angiò che diventò re e la dinastia angioina regnò dal 1131 al 1185 con Folco (1131-1143), Baldovino III (1143-1162), Amalrico I (1162-1174), Baldovino IV (1174-1185); poi, avendo Sibilla sorella di Baldovino IV sposato in prime nozze Guglielmo di Monferrato, il trono passò al loro figlio Baldovino V (1185-86), e quindi avendo sposato Guido di Lusignano, si ebbe la dinastia dei Lusignano. A Guido I (1186-1194) e ad Amalrico II (1198-1205), si contrapposero altri pretendenti nelle persone di Corrado di Monferrato (1189-1192), che aveva sposato Isabella d'Angiò altra sorella di Baldovino IV; di Enrico di Champagne diventato, dopo Corrado, marito d'Isabella (1192-1197); poi Isabella sposò Amalrico II di Lusignano e gli portò i suoi diritti al trono di Gerusalemme. Quando nel 1205 Amalrico II morì, i due regni di Cipro e di Gerusalemme si divisero; in Cipro regnò Amalrico III, a Gerusalemme (S. Giovanni d'Acri) regnò Maria, figlia di Corrado di Monferrato e di Isabella d'Angiò, che portò suoi diritti a Giovanni di Brienne da lei sposato nel 1210; così Federico II di Svevia quando sposò nel 1225 Isabèlla di Brienne figlia di Maria e di Giovanni, diventò re titolare di Gerusalemme. Ma l'imperatore non si curò di rivendicare con le sue armi il regno e nella crociata intrapresa nel 1228 si accontentò di rioccupare Gerusalemme, mercé un accordo con il sultano d'Egitto; nelle poche città costiere l'autorità regia era riconosciuta più di nome che di fatto. Da Federico II il titolo di re di Gerusalemme passò a Corrado IV e poi a Corradino. Dopo il 1268, morto Corradino senza eredi, il titolo di re di Gerusalemme fu preteso da Ugo III re di Cipio, chc si fece incoronare in Tiro il 24 settembre 1269. Ugo III era, per il padre Enrico d'Antiochia, nipote di Boemondo VI principe di Antiochia e di Melisenda, figlia di Isabella di Gerusalemme e di Amalrico II di Lusignano. Dal 1269 il titolo di re di Gerusalemme fu recato da tutti i re di Cipro della famiglia Lusignano, la cui ultima rappresentante fu Carlotta di Cipro che sposò nel 1459 Ludovico di Savoia figlio del duca di Savoia Ludovico; Carlotta, con atto del 28 luglio 1482, cedette i suoi diritti su Cipro e su Gerusalemme al duca di Savoia Carlo I, suo nipote, e da quell'anno i principi della casa di Savoia affermarono nei documenti e nelle monete i due titoli di re di Cipro e di Gemsalemme.
Il titolo di re di Gerusalemme fu però con minori diritti nel sec. XIII preteso da un'altra serie di principi: Maria d'Antiochia figlia del principe d'A. Boemondo IV, contestò al nipote Ugo III i diritti a quel titolo e nel 1277 cedette i proprî diritti a Carlo I d'Angiò re di Napoli; questi assunse ufficialmente il titolo di re di Gerusalemme e di Sicilia, che fu poi vantato da tutti i re di Napoli delle due case angioine sino a Renato d'Angiò, dal quale passò al nipote Carlo, conte di Maine, e alla morte di questo, nel 1481, all'erede Luigi XI re di Francia. I re di Francia successivi da Carlo VIII a Francesco I a più riprese proclamarono i loro supposti diritti alla corona di Gerusalemme; poi abbandonarono le pretese e finirono col dimenticarle. Attualmente quindi i soli principi a cui spetti il diritto di chiamarsi re di Gerusalemme sono i re d'Italia.
Legislazione. - Le istituzioni politiche gerosolimitane ci sono note per mezzo di un codice di leggi dette le Assisi del regno. Queste però sono state redatte nel sec. XIII da alcuni giuristi latini di Siria, Filippo di Novara, Jean d'Ibelin e Geoffroy le Fort, nell'intenzione di ricostruire le leggi del sec. XII. Jean d'Ibelin afferma che dopo la guerra di Gerusalemme nel 1099, Goffredo di Buglione volendo organizzare lo stato, compilò, con l'aiuto di alcuni principi e baroni un codice di leggi, che fu consultato ogni qualvolta vi fosse una questione dubbia. Jean d'Ibelin dice che il codice si chiamò le Lettere del S. Sepolcro. Queste lettere di Goffredo sarebbero state corrette e completate dai varî re del sec. XII e sarebbero poi andate perdute quando il Saladino conquistò Gerusalemme. Ma la critica moderna respinge assolutamente l'attribuzione a Goffredo di Buglione di un codice di leggi; distrugge come incoerenti le affermazioni di Jean d'Ibelin; pensa che le lettere del S. Sepolcro fossero un Liber eudorum, un cartulario su cui erano registrati i nomi dei vassalli, l'indicazione delle terre feudali e la loro descrizione. Lo stato gerosolimitano ebbe dapprima solo il diritto consuetudinario dei paesi d'origine dei varî principi; le circostanze pratiche portarono poi i re durante il sec. XII sia a discutere delle divergenze fra consuetudine e consuetudine, sia ad emettere decreti particolari, come le disposizioni di Baldovino I sulle violenze, di Baldovino II sui casi in cui il re poteva spogliare un feudatario del feudo; ma un codice di leggi non pare sia mai esistito. Alla fine del sec. XII il re Amalrico II di Lusignano sapeva a memoria "les us et les assises" del regno come nessuno.
Il patriarcato di Gerusalemme.
Nell'assetto della gerarchia ecclesiastica Gerusalemme non ebbe dapprincipio un posto preminente quale poteva competerle per essere stata cellula-madre del cristianesimo. Neppure il ricordo dei suoi primi vescovi, Giacomo minore e Simone il giusto, le valsero l'onore di cui altre chiese apostoliche furono insignite, e per tre secoli figurò in sottordine, alle dipendenze del patriarca di Antiochia, anzi suffraganea di Cesarea Marittima.
Il Concilio di Nicea (325) col can. 7 le riconobbe l'onore speciale dovutole a cagione delle sue origini, e alcuni dei suoi prelati, sfmttando il momento propizio, seppero sottrarre Gerusalemme alla dipendenza di Cesarea, assicurarle predominio ed egemonia su tutta la Palestina, e rivendicarle il titolo e le attribuzioni di chiesa patriarcale. Tale dignità, che fu riconosciuta dal Concilio di Calcedonia (451), doveva poi essere definitivamente ammessa e regolata dal V Concilio ecumenico (553), dal quale a Gerusalemme fu assegnato il quinto posto, dopo quelli di Roma, Costantinopoli, Alessandria e Antiochia nell'ordine dei patriarchi.
Il nuovo patriarcato non conobbe mai periodi di vero splendore: la sua esistenza fu sconvolta dalle vicende politiche e forse più ancora dalle lotte refigiose. La stessa sua indipendenza spesso si ridusse ad essere puramente nominale. Gerusalemme doveva fatalmente gravitare verso Bisanzio, per cui finì, accettandone anche lo scisma, con lo staccarsi da Roma. Un'interruzione (durata poco più d'un secolo) nella vita del patriarcato greco si ebbe all'epoca delle crociate; quando, alla morte del patriarca Simone II (1099), fu istituito il patriarcato latino, che estese la sua giurisdizione alle provincie ecclesiastiche dipendenti da Tiro, Cesarea, Nazaret e Petra, a loro volta latinizzate. Con la caduta del regno latino però anche la nuova istituzione decadde e finì col diventare un semplice titolo. Soltanto nel 1847 Pio IX la richiamò in vita, e fece di quel patriarcato latino una sede residenziale con giurisdizione sui cattolici occidentali della Palestina e di Cipro. Anche il patriarcato greco riprese nel 1142, ma con un numero esiguo di fedeli e ridotto quasi a istituzione monastica. A incepparne la vitalità religiosa contribuirono del pari le vessazioni dei musulmani, e l'abusiva ingerenza dei patriarchi greci di Costantinopoli.
Oltre che sede di un patriarca latino e di uno ortodosso, Gerusalemme è, dal 1311, sede anche di un patriarca armeno-gregoriano. Vi hanno pure autorità un vescovo copto-monofisita, un metropolita nestoriano, e dal 1841 un vescovo anglicano.
Bibl.: Della vastissima letteratura soprattutto archeologica e topografica su G. s'indicano qui solo alcune opere fondamentali o più recenti.
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Per Gerusalemme medievale: G. Le Strange, Palestine under the Moslems, Londra 1890; C. Enlart, Les monuments des Croisés, Parigi 1928.
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