gerrymandering
<ǧerimä'ndëriṅ> s. ingl., usato in it. al masch. – Ogni consultazione elettorale deve svolgersi entro precisi confini territoriali, organizzati in uno o più collegi. Per garantire pari opportunità ai candidati, i confini dei collegi dovrebbero essere stabiliti nella maniera più neutrale possibile. Quando invece i confini sono tracciati appositamente per favorire uno dei partiti in lizza, si usa il termine di g., coniato per antonomasia con riferimento a E. Gerry (governatore del Massachusetts all’inizio dell’Ottocento). Come ha osservato il costituzionalista D. Fisichella, questo genere di manipolazione è fondamentale nei sistemi maggioritari uninominali ma non nei sistemi elettorali proporzionali, soprattutto in presenza di una circoscrizione unica. Dato che nel sistema maggioritario per vincere in un collegio è sufficiente superare la metà dei consensi, il g. suggerisce di ridistribuire i voti eccedenti nei collegi vicini (per es., se un partito vince in un collegio con il 60% dei voti, ma perde in tre limitrofi con il 49%, ridistribuendo porzioni di territorio, potrebbe vincere ciascuna competizione con il 51%). Una tecnica di g. consiste nell’unire artificiosamente porzioni di territorio lontane geograficamente ma coese ideologicamente. Un'altra tecnica consiste nell’abbinare quartieri urbani e periferie rurali (distribuendo il voto cittadino su più collegi) o al contrario isolare il capoluogo dalle periferie. Quando invece si attribuiscono seggi ai collegi senza proporzione con la consistenza demografica si parla più precisamente di malapportioning. L’interesse verso il g. è in aumento anche per numerosi confronti elettorali decisi letteralmente per una manciata di voti (come le vittorie di G.W. Bush su A. Gore nel 2000 e su J. Kerry nel 2004), soprattutto dopo il sorprendente risultato delle consultazioni politiche maggioritarie nel Regno Unito del 2010, o per la situazione di lungo stallo determinatasi tra i partiti del Belgio, distinti per appartenenza territoriale nel sistema bilingue.