SIRTORI, Geronimo (Hieronymus Sirturus)
– Scarse e assai incerte le notizie sulla sua vita. Nato a Milano da famiglia nobile, è ricordato per aver scritto un volumetto dal titolo Telescopium: sive ars perficiendi..., pubblicato a Francoforte sul Meno nel 1618, che rappresenta il primo trattato specificatamente dedicato al telescopio.
Oltre un secolo dopo la sua morte, Filippo Argelati dava notizia di due individui di nome Geronimo, appartenenti a rami distinti della famiglia Sirtori ed entrambi in vita al volgere del XVII secolo: uno, figlio di Giovanni Battista di Agostino di Antonio; l’altro, figlio di Giuseppe e di Ippolita Giussani (Glussiana), cavaliere, conte palatino e medico, morto nel 1606, cui Argelati attribuisce la paternità del Telescopium (F. Argelati, Bibliotheca scriptorum mediolanensium, II, t. 1, Mediolani 1745, col. 1412). Tale attribuzione è tuttavia categoricamente da escludere sulla base di numerose e inequivocabili indicazioni contenute nel Telescopium, tra le quali il riferimento, che compare nel frontespizio dell’opera (ma l’intero testo ne è permeato), al «Galilæi visorium instrumentum»: come è noto, infatti, Galileo Galilei venne a conoscenza dell’esistenza del cannocchiale – la cui invenzione, peraltro, risale con quasi assoluta certezza al 1608 – solo nella primavera del 1609 (in seguito, altri autori cadranno nello stesso errore: cfr., ad esempio, P. Riccardi, Biblioteca matematica italiana dalla origine della stampa ai primi anni del secolo XIX, I, Modena 1870, p. 2, col. 461, e, in anni più recenti, G. Dragoni - S. Bergia - G. Gottardi, Dizionario biografico degli scienziati e dei tecnici, Bologna 1999, p. 1347).
Da Argelati apprendiamo anche che il Geronimo figlio di Giovanni Battista – il solo che, per esclusione, sembra dunque poter essere l’autore del Telescopium – assieme al fratello maggiore Agostino, fece edificare per il padre, morto nel 1609, una cappellina nella basilica di S. Stefano Maggiore a Milano, della quale lo stesso Giovanni Battista risulta essere stato fabricæ præfectus. Nel sepolcro, oggi non più esistente (forse smantellato all’inizio del XIX secolo, quando nella basilica furono eseguiti dei lavori di ammodernamento di alcune cappelle), sarebbe poi stato seppellito anche lo stesso Geronimo.
Un atto stilato a Milano, in data 13 ottobre 1762, dal notaio Jacopo Antonio Francia, cita anche un secondo fratello di Geronimo, Giovanni Pietro, morto «in pueritia», e attesta che, alla morte del padre, avvenuta, come si è detto, nel 1609, Geronimo era sotto la tutela dello zio paterno Leonardo (Archivio di Stato di Milano, Araldica, Parte antica, b. 120 bis). Ciò porrebbe come terminus post quem della sua nascita gli anni 1589-90, nascita che, in ogni caso, se davvero questi è l’autore del Telescopium, non può essere di molto posteriore, avendo egli avuto modo, nel 1609, di esaminare l’esemplare di cannocchiale portato a Milano nel maggio di quell’anno da un francese e di averne poi egli stesso realizzati di simili (Telescopium..., cit., pp. 24 s.).
La questione dell’identità del ‘vero’ Geronimo resta tuttavia irrisolta, poiché, nel suo compendio araldico, il giureconsulto e genealogista Giovanni Sitoni di Scozia (che, curiosamente, Argelati indica come propria fonte) delinea un abbozzo di albero genealogico della famiglia Sirtori nel quale non viene indicato il Geronimo figlio di Giovanni Battista (il che non significa che non sia esistito), ma vengono invece riportati tre fratelli di quest’ultimo: Giovanni Antonio, il primogenito, il già citato Leonardo e Geronimo (Archivio di Stato di Milano, fondo C. Riva Finolo: G. Sitoni di Scozia, Theatrum genealogicum familiarum illustrium, nobilium et civium inclytae urbis Mediolani, Mediolani 1705, c. 416). Questo Geronimo, che sarebbe quindi lo zio del precedente, era sposato con Caterina Riva (Ripa), dalla quale ebbe quattro figli (Violanta, Agostino, Giovanni Battista e Francesco Bernardino), tutti o alcuni dei quali ancora in età minore al momento della morte, avvenuta nel 1631. Possiamo ragionevolmente collocare la sua nascita attorno al 1580.
Che si tratti dello zio o del nipote, poco o nulla sappiamo della vita e del cursus studiorum dell’autore del Telescopium. Certamente non era medico, poiché, trattando delle cause dei difetti di vista, affermava trattarsi di questioni di pertinenza medica che preferiva non approfondire (Telescopium..., cit., p. 13). Citato in due celebri lavori enciclopedici in lingua tedesca del XVIII secolo, che gli dedicano una ancorché brevissima voce, Sirtori vi viene definito ‘matematico’, etichetta da intendere nell’accezione ampia con cui il termine veniva allora utilizzato. È tuttavia curioso notare che, mentre il monumentale Lexikon di Johann Heinrich Zedler lo definisce «Italienischer Mathematicus» (Grosses vollständiges Universal-Lexicon Aller Wissenschafften und Künste, XXXVII, Leipzig und Halle 1743, p. 1812), quello di Christian Gottlieb Jöcher lo designa come «deutscher Mathematicus» (Allgemeines Gelehrten-Lexicon..., IV, Leipzig 1751, p. 625), forse non perché l’autore ne ignorasse i natali italiani, ma per significarne intenzionalmente la vicinanza al mondo germanico. Possiamo ipotizzare che egli incarnasse quella figura di nobiluomo secentesco di buona cultura e di interessi eclettici, non dissimile, insomma, da quella del conte bolognese Carlo Antonio Manzini che, una quarantina di anni dopo di lui, pubblicherà un’opera di contenuto analogo (L’occhiale all’occhio: Dioptrica pratica, Bologna 1660).
Certo è che, per motivi che non sono noti, Sirtori viaggiò molto. In Italia, ma anche in gran parte d’Europa, come attesta una Prattica di far viaggi per mare e per terra per tutte le parti de Europa principalmente Spagna Francia Italia & Alemagna, preannunciata nel catalogo della fiera primaverile di Francoforte per l’anno 1612 e, sebbene non risulti essere mai stata pubblicata, espressamente attribuita allo stesso autore del Telescopium (Catalogus universalis pro nundini francofurtensibus vernalibus de anno 1612, Francofurti 1612, c. C4v, Leipzig 1612, c. D3v).
Nello stesso catalogo, infatti, veniva annunciata anche la pubblicazione del trattato sul telescopio: «Hieronymi Syrturi Nobilis Mediolanensis Thelescopium sive Ars perficiendi [...] quatuor libris distincta, [...] Italico & Latino idiomate. Francofurti apud Zachariam Palthenium, in fol.». L’opera, dunque, concepita almeno sin dal 1612 (la circostanza è ricordata anche dallo stesso Sirtori nella prefazione Ad lectorem: «Promiseram a sexennio hunc librum, ut in Catalogo librorum anni 1612, curiosi depræhenderunt», Telescopium..., cit., p. 5), originariamente prevedeva una suddivisione in quattro parti con il testo sia in latino sia in italiano, anziché in tre e solo in latino come, di fatto, uscirà sei anni più tardi.
Il Telescopium, dedicato al granduca Cosimo II de’ Medici, fu apprezzato soprattutto nei paesi di lingua tedesca, dove la tradizione dell’artigianato ottico non era così sviluppata come in Italia. Nell’autunno del 1618 il trattato aveva già raggiunto Vienna, dove suscitò subito un certo interesse (Johann Ruderauf a Johannes Kepler, in Linz, Vienna, 20 ottobre 1618, in J. Kepler, Gesammelte Werke, XVII, a cura di M. Caspar, München 1955, p. 276). In Italia, invece, ebbe probabilmente una penetrazione più tarda, come sembra indicare il fatto che Cassiano Dal Pozzo fece omaggio di una copia del libro a Galilei solo nel 1633 (Cassiano Dal Pozzo a Galilei [in Roma], Roma, 18 giugno 1633, in Le opere di Galileo Galilei, a cura di A. Favaro, XV, Firenze 1904, p. 158).
Si tratta, forse, dell’esemplare, con annotazioni a margine di pugno dello stesso Galilei, appartenuto poi all’astronomo francese François Arago (Catalogue des livres composant la bibliothéque de M. François Arago [...] Dont la vente se fera le lundi 19 juin 1854 et jours suivant, Paris s.d., p. 117) e che, dopo la morte di questi, fu venduto per la cifra di 310 franchi (J.-C. Brunet, Manuel du libraire et de l’amateur de livres..., V, Paris 18645, col. 403).
Galilei, che, com’è noto, realizzava personalmente le ottiche dei suoi cannocchiali, lesse dunque con attenzione il trattato di Sirtori, evidentemente interessato a perfezionare la propria tecnica di lavorazione delle lenti.
Quanto agli altri scritti di Sirtori, tutti di modesta importanza, sono noti un Compendium politicum: ex universa civili doctrina Justi Lipsii pro principatu, tum ex notis integra fide concinnatum, edito a Francoforte nel 1614, e una Oratione al serenissimo Massimiliano, arciduca d’Austria [...] nella morte del conte Giorgio Basta (in Historia della Transilvania raccolta dal cavalier Ciro Spontoni e registrata dal cavalier Ferdinando Donno, Venezia 1638, pp. 339-351). Egli curò inoltre un’edizione di Il governo della cavalleria leggiera del conte Giorgio Basta, pubblicata, anch’essa a Francoforte, nel 1612 (in quello steso anno, il trattato venne pubblicato anche Venezia, a cura di Vincenzo Fiorina).
Si tratta di un fortunatissimo trattato militare, pubblicato postumo (l’autore era morto nel 1607), che nei decenni successivi ebbe numerose edizioni e traduzioni in francese, in tedesco, in spagnolo e in inglese. Dell’edizione curata da Sirtori uscirono, nel 1614, per la traduzione di Johann Theodor de Bry, l’edizione francese e quella tedesca, e, nel 1616, una nuova edizione in lingua italiana, edita a Oppenheim, contenente dodici grandi figure disegnate dallo stesso Sirtori per illustrare il contenuto del testo.
Fonti e Bibl.: F. Rößler, Hieronymus Sirturus, in Zeitschrift für ophthalmologische Optik mit Einschluss der Instrumentenkunde..., XXIV (1936), 1, pp. 1-17.