Gerolamo Tiraboschi
Tiraboschi e la Storia della letteratura italiana: per buona parte della cultura storica italiana (e per la parte della cultura storica fuori d’Italia che è distrattamente al corrente di Gerolamo Tiraboschi e della sua opera maggiore), l’autore e l’opera si risolvono in questo binomio. Ma, a ben vedere, il fatto che la geografia e la storia della sua opera maggiore siano almeno in parte note (cfr. Cian 1933, Dionisotti 1951 e Gorni 1978-1980) non risolve affatto il problema. Molto meno noti sono questi aspetti in Tiraboschi studioso di storia e il posto che essi occupano nella definizione dell’oggetto letteratura italiana in una dimensione storica.
Gerolamo Tiraboschi nacque a Bergamo il 18 dicembre 1731 e morì a Modena, a capo della Biblioteca Estense, il 3 giugno 1794. Nell’agosto del 1794 uno dei suoi assistenti, Carlo Ciocchi, tracciò il profilo che sarebbe servito da punto di partenza per tutte le successive biografie di quello che, insieme a Ludovico Antonio Muratori, fu il prefetto più noto dell’Estense. Secondo Ciocchi, Tiraboschi entrò a far parte quindicenne della Compagnia di Gesù. Dal 15 ottobre 1746 fino alla soppressione della Compagnia, nel luglio del 1773, egli percorse tutto il cursus studiorum previsto per i novizi, continuando a gravitare intorno a Milano, dove divenne, infine, professore di eloquenza nell’Università gesuitica di Brera. Qui, sotto l’ala protettrice del governo asburgico, mise mano al rifacimento del vocabolario latino-italiano di Carlo Mandosio (1682-1736), pronunciò alcune orazioni latine e italiane che gli diedero fama anche al di fuori della Lombardia e, con la pubblicazione delle «Memorie degli Umiliati» nel 1766, diede prova di essere quell’«Indagatore sollecito» ed «eruditissimo Letterato» del quale il duca Francesco III d’Este aveva bisogno per la sua biblioteca.
Tiraboschi si trasferì dunque a Modena nel giugno del 1770, con il consenso dei suoi superiori, per continuare la tradizione dei bibliotecari gesuiti dell’Estense. Iniziò immediatamente un’attività di spoglio di «molti libri» conservati nella biblioteca, di pari passo con la redazione del «primo Tomo della Storia della letteratura italiana», compilato «su i Monumenti presi dalla Biblioteca Ducale» (qui, come in precedenza e fino al termine del capitolo, tutte le citazioni rinviano a Ciocchi 1794; per un riscontro critico sull’attività di spoglio, ordinamento e studio dei fondi e dei materiali modenesi tra il 1770 e il 1771 si veda Di Pietro Lombardi 1996, pp. 47-65).
La Storia, ultimata in undici anni, fu ristampata, tradotta e compendiata come
opera, che per la vastità dell’erudizione, per le critiche discussioni, per i sensati e modesti giudizj in ogni genere di letteratura, e per lo Spirito filosofico, moderato però dalla più diritta ragione, e dalla Religion la più pura, di cui è ripiena, ha riscosso l’ammirazione, e le lodi di tutta la Repubblica Letteraria (p. 8).
Accanto alla Storia, Tiraboschi compose e pubblicò una Vita di santa Olimpia, una Lettera intorno al saggio storico-apologetico del Lampillas, la Vita di Fulvio Testi e i primi due volumi della Biblioteca modenese: tutto – secondo Ciocchi – accompagnato da un «applauso generale», al punto che, con il consenso entusiasta di Francesco III, fu creato «Nobile Modenese». Gli onori cittadini tributatigli lo spinsero a dare alla luce, tra l’altro, altri cinque tomi della Biblioteca modenese, una Storia della celebre abbazia di Nonantola e tre tomi di Memorie storiche modenesi. Questa identificazione con Modena e la dimensione cittadina conobbe solo un’eccezione:
Finché durò la Compagnia di Gesù, visse egli nella più regolata ritiratezza, e tolto il tempo dovuto alle necessarie visite di convenienza, a un po’ di passeggio, e alle determinate ricreazioni giornaliere, e agli esercizii della Pietà in cui fu sempre esattissimo, impiegò il restante nella sua camera, e al suo tavolino, occupato allo studio, e alla compilazione delle sue opere. Sciolta la Compagnia conservò quasi lo stesso tenor di vita (p. 13).
Non è solo per la noia generata dall’esistenza municipale e ordinatissima di Tiraboschi che l’accenno alla Compagnia di Gesù è importante. È stato rilevato da Guglielmo Gorni (1978-1980, pp. 468-70) come per Tiraboschi l’appartenenza alla Compagnia fu la via per divenire un emigrato felice e per mettersi al riparo da veri sentimenti municipalistici. Occuparsi di un luogo circoscritto, geograficamente e intellettualmente, non significò mai trasformare la ricerca in una curiosità provinciale, né a Milano, né a Modena; una volta venuto meno l’ordine, rimase la biblioteca del principe. Se la soppressione dei gesuiti e la presenza dell’Estense consentì a Tiraboschi di non modificare troppo quello che Ciocchi chiamò il suo «tenor di vita», possono esistere pochi dubbi sulla profondità con la quale gli eventi del luglio 1773 incisero nella vita privata dell’ormai ex gesuita di origine bergamasca. Lo dimostra la storia dei frontespizi dei vari tomi della Storia della letteratura italiana: prima Gerolamo Tiraboschi «della Compagnia di Gesù, bibliotecario del Serenissimo Duca di Modena», successivamente «bibliotecario del Serenissimo Duca di Modena e professore onorario nella Università della stessa Città», poi ancora «cavaliere abate, consigliere di S. A. S. il signor Duca di Modena, Presidente della Ducal Biblioteca e della Galleria delle medaglie, e professore onorario nella Università della stessa Città». Come a dire che la storia privata di Tiraboschi non si risolveva, anche contro la sua volontà, nell’identità gesuitica perduta, ma risaliva ad anni più remoti di quelli modenesi, quando il futuro autore della Storia della letteratura italiana si addestrava alla ricerca storica.
L’addestramento di Tiraboschi alla ricerca storica avvenne in un contesto straordinariamente confortevole. Cinque anni dopo la nomina a professore di retorica nel collegio di Brera, nel 1760, Tiraboschi diede alle stampe un’orazione latina con la quale celebrò la storia e le figure illustri di Milano e il governo asburgico della città che lo ospitava da un lustro. Alla retorica fu assegnato il compito di ornare la prefazione dell’orazione (dedicata a Carlo Firmian, ministro plenipotenziario nella Lombardia governata da Vienna), alla storia e alla tradizione erudita quello di sostanziare le quarantacinque pagine del testo. Sostanza e ornamento non si contrapponevano affatto, se è vero che per Tiraboschi il punto di partenza e il punto centrale erano rappresentati dall’ispirazione muratoriana dell’orazione (De patriae historia oratio, 1760, p. I). Dai Rerum italicarum scriptores era possibile trarre la luce necessaria per illuminare non solo la storia di Milano, ma anche le Italicae historiae; attraverso lo studio delle cose (rerum studio) si intravedeva quella che era l’utilitas della storia (p. II), tanto più evidente – aggiunse Tiraboschi – quanto più essa era commisurata alla grandezza della patria (diffusamente, p. III).
L’apparato di note che accompagna l’orazione fornisce una prova convincente della continua dialettica tra retorica e storia, piccolo e grande che uniforma tutto il testo. Alla retorica dell’esordio appartiene il riferimento notissimo al De oratore di Cicerone e alla storia come magistra vitae, come ciceroniane sono le genealogie di storici greci (Erodoto, Tucidide, Teopompo, Senofonte, Callistene, Timeo) e la tradizione annalistica nata a Roma con i pontefici massimi. Ancora ciceroniana è la riprovazione dell’ignavia epicurea verso la storia, come, per contrasto, l’accenno a Charles Rollin e alla scarsa attitudine dei moderni, in Francia, alla storia.
A Milano, raccontò Tiraboschi, esisteva «nei tempi antichissimi» un’iscrizione inserita nella porta Romana che definiva Milano Roma secunda. La storiografia di argomento milanese (tra gli altri il somasco Giovanni Paolo Mazzuchelli) non si era fatta sfuggire questa analogia e (con Tristano Calco) non aveva perso l’occasione per ribadire come, alla pari di Roma, Milano fosse aeterna. Dall’età dei Galli Insubri, narrata da Livio e filtrata da Polibio, fino a Landolfo iuniore e seniore e a Galvano Fiamma editi da Muratori, la storia milanese era stata una storia di contrasti cittadini e di sconfitte, ma in ogni caso una storia progressiva, che Tiraboschi ricostruì dando prova di dominare perfettamente tutta la bibliografia che si era venuta accumulando nel vasto spazio aperto tra la tradizione storiografica classica e il lavoro di edizione e compilazione portato avanti da Muratori. Fu l’esempio di Muratori, combinato con l’analisi ciceroniana del rapporto tra retorica e storia (comunque funzionale all’aspetto magisteriale della seconda), a convincere Tiraboschi che era necessario spingersi più in là di quanto fatto con l’orazione sulla storia patria.
Il pretesto per spingersi più in là di quanto fatto fino allora fu fornito da una circostanza particolare. Il collegio e l’Università gesuitica di Brera si trovavano nel luogo che, dal 1178 alla soppressione del 1571, era stato dell’ordine degli umiliati. Nati come manifestazione di religiosità laicale, gli umiliati rappresentavano una chiave adatta per accedere alla storia di Milano, osservata dal punto di vista della storia delle esperienze religiose. Se ne accorsero (Venturi 1987, p. 583) i recensori dell’opera, colpiti dal fatto che Tiraboschi avesse scelto un ordine che era socialmente diverso da tutti gli altri, intento com’era alla cardatura della lana e, forse per questo, in un’annotazione che sembra una proiezione verso il presente settecentesco e il futuro, vicino alle presunte virtù civili ed economiche dei milanesi.
Gli umiliati avevano cessato da molti anni di esistere, i gesuiti sarebbero presto stati soppressi: fu proprio in questo spazio che Tiraboschi maturò l’idea di lavorare sui monumenti dei primi, potendo contare sul materiale raccolto da Giovanni Pietro Puricelli, trasmessogli dal prefetto della Biblioteca Ambrosiana, Baldassarre Oltrocchi (Vetera Humiliatorum monumenta annotationibus ac dissertationibus prodromis illustrata, 1766-1768, 1° vol., Praefatio).
Lavorando sui materiali raccolti in Ambrosiana e nei depositi documentari di Brera, Tiraboschi compilò otto dissertazioni date alle stampe nel 1766 (sugli inizi degli umiliati, sul loro terz’ordine, sulla loro legislazione, sui maestri generali, sui beni, sugli uomini illustri tra gli umiliati, sulle case e sulla fine degli umiliati); l’anno seguente aumentò la dissertazione dedicata alle case degli umiliati e iniziò (2° vol., da p. 117), proseguendola poi nel terzo volume, un’opera sistematica di illustrazione delle dissertazioni. È in quest’opera che diventa possibile ravvisare lo sforzo compiuto da Tiraboschi per passare dalla collazione del materiale (robustamente fondata sul lavoro di Puricelli) all’edizione. I documenti furono editi con una sommaria indicazione del luogo di conservazione, ma non tanto sommaria da impedire di apprezzare il grande lavoro di sistemazione e sistematizzazione compiuto (3° vol., fino a p. 98).
Come ho già ricordato, nei sette anni seguenti alla pubblicazione del terzo volume dei Vetera Humiliatorum monumenta, Tiraboschi fu impegnato in un’altra attività di sistemazione. Arrivato a Modena, presso la Biblioteca Estense, spogliò, iniziò a ordinare e studiò i depositi documentari della città e ne ricavò molto materiale che utilizzò per le sue opere, tra cui la Storia della letteratura italiana.
Era stato oratore e retore, storico delle glorie cittadine e delle istituzioni religiose, operaio nel cantiere di una letteratura italiana geograficamente unitaria e fu anche agiografo. La Vita di santa Olimpia vedova e diaconessa fu pubblicata dalla stamperia reale nel 1775. Sul modo con il quale essa venne composta Tiraboschi fu molto chiaro:
Mi compiaccio perciò, che avendo intrapreso a scrivere la Vita di questa Santa alle istanze d’una piissima Dama, che ne porta il nome, e che ha bramato, che le eroiche virtù di essa fosser più note al mondo, che comunemente non sono, io abbia potuto farlo seguendo quasi sempre l’autorità e la scorta di quel santissimo Patriarca di Costantinopoli [Giovanni Crisostomo]. Nelle altre cose, per cui l’Opere del Santo non mi hanno somministrato bastevol lume, mi son giovato di altri Scrittori contemporanei, come de’ due Palladii, di Sozomeno, di san Gregorio Nazianzeno, e di altri (Vita di santa Olimpia vedova e diaconessa della Chiesa di Costantinopoli, 1775, pp. V-VI).
Altrettanto chiaro era il punto di partenza, al di là dell’occasione generata da una nobildonna modenese di nome Olimpia:
Chiunque nelle Vite de’ Santi altro non cerca che estasi, profezie, e visioni, se a caso si avviene in questa, ch’io offro al Pubblico, può chiuderla senz’altro, e gittarla, ch’essa non fa per lui (p. III).
Dalla periferia della sfera d’influenza austriaca in Italia, da una richiesta apparentemente banale, Tiraboschi arrivò a formulare un’idea peculiare di agiografia. Da una parte, essa non trascurava l’autorità delle fonti, distinguendo il certo dal probabile, dall’altra escludeva il probabile come cosa favolosa: erano favolose e dunque da rigettare le congetture fondate sulla probabilità, ma erano da rifiutare anche le agiografie nelle quali estasi, profezie e visioni la facevano da padrone. Non si trattava di un’annotazione priva di significato. La vita di Olimpia valeva soprattutto come testimonianza di fedeltà a una istituzione (la Chiesa costantinopolitana) e come ulteriore banco di prova del metodo dell’accertamento appreso a partire dalla dimensione retorica e municipale dell’orazione sulla storia patria e passato attraverso la storia religiosa e documentaria degli umiliati. Dieci anni dopo vi fu un ulteriore collaudo, che tenne insieme tutte le dimensioni attraversate dalla formazione del metodo di Tiraboschi.
La Storia dell’augusta badia di San Silvestro di Nonantola appartiene senza dubbio al genere della «difesa di istituzioni» (Rosa 1963, poi 1969, p. 31) che, nella linea Bacchini-Muratori, era ancora possibile concepire negli anni Ottanta del 18° secolo. Allestita su impulso dell’abate commendatario (dal 1779) Francesco Maria d’Este, figlio di Francesco III d’Este, essa era frutto – come già i Vetera Humiliatorum monumenta – di scavi archivistici precedenti (condotti da Andrea Ansaloni: una messa a punto sulla genesi dell’opera e gli antecedenti in Golinelli 1997, pp. 87-92) e fu probabilmente la vetta più alta raggiunta dal punto di vista tecnico – della tecnica sistematizzata un secolo prima da Jean Mabillon nel De re diplomatica – dall’abate Tiraboschi.
La Storia non fu solo tecnica, ma anche polemica. Non si tratta certo di una scoperta (lo hanno ribadito, tra gli altri, Biondi 1984, p. 1095 e nota 20, e Casari 1992, poi 2006, p. 97 e nota 20). Ecco come Tiraboschi esordì:
La storia di un Monastero in due tomi in foglio! Così forse al primo comparir di quest’Opera esclamerà alcuno de’ gravi e severi Filosofi de’ nostri giorni, che tutti occupati nel calcolar le forze de’ Regni, l’utilità del commercio, le sorgenti della pubblica felicità, l’influenza del clima, le vicende delle leggi e de’ co-
stumi, sdegnano le minute ricerche, e si ridono di uno Storico, che in vece di adombrare gli avvenimenti con tratti di ardito pennello freddamente trattiensi a fissarne le epoche, e ad esaminare le circostanze. […] Io mi rimarrei fermo nella mia idea, che l’esattezza delle ricerche è uno de’ principali pregj a uno storico necessarij; che se la verità e le circostanze de’ fatti non si stabiliscon dapprima, cade a terra qualunque sistema si voglia sopra essi innalzare; che molti moderni, i quali han voluto invece di una, come essi la dicono, pedantesca Storia darci un filosofico quadro, non ci hanno dato né quadro né Storia, ma un gruppo di errori ne’ fatti, e un ammasso di sogni nelle conseguenze, che ne han dedotte (Storia dell’augusta badia di San Silvestro di Nonantola, aggiuntovi il Codice diplomatico della medesima illustrato con note, 1° vol., 1784, pp. IX-X).
Il ‘severo Filosofo’ al quale Tiraboschi fece cenno era Pietro Verri (per la ricostruzione della polemica seguo Mari 1999, pp. 33-35). Nel 1783, nella prefazione al primo tomo della sua Storia di Milano, Verri aveva sferrato un duro attacco agli «eruditi per mestiere» e, pur non colpendolo direttamente, aveva definito Giorgio Giulini (autore delle amplissime Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della città e della campagna di Milano ne’ secoli bassi, 1760-1765) non uno storico, ma un antiquario. Gli estimatori di Giulini, primo fra tutti il canonico Mario Lupo, editore di un voluminoso Codex diplomaticus civitatis et Ecclesiae Bergomatis, fecero pressione su Tiraboschi perché entrasse direttamente in lizza. Tiraboschi intervenne in due momenti: prima, nel 1783, con una citazione esplicita (la Storia di Verri non era altro che un «compendio» messo insieme «scegliendo dalla Memorie del conte Giulini il risultato delle sue diligenti ricerche»), poi nella prefazione al primo tomo della Storia dell’augusta badia di San Silvestro di Nonantola, con l’allusione contenuta nel passo che ho riportato poco sopra.
Il fatto che l’allusione fosse decodificata immediatamente da alcuni dei corrispondenti di Tiraboschi (ancora Lupo e Ireneo Affò) è sufficiente per ritenere che l’esordio della prefazione sia stato qualcosa di molto simile a una «dichiarazione di divorzio tra ricerca storica e filosofia» (Venturi 1987, p. 592)? La distinzione fu così netta e riguardò davvero filosofia e ricerca storica? Forse è necessario porre il problema in maniera diversa e provare a distinguere il pensiero politico e il pensiero storico di Tiraboschi.
Dal punto di vista politico, Tiraboschi temperò la prudenza che gli veniva dal suo «tenor di vita» con un’avversione verso un certo tipo di ‘filosofia’. Quest’avversione fu anch’essa temperata, sottotraccia, ma più evidente nella fase finale della sua esistenza. Dando alle stampe nel 1794 una Memoria sulle cognizioni che si avevano sulle sorgenti del Nilo prima del viaggio del signor Jacopo Bruce (preceduta nel 1793 da un’altrettanto recisa Memoria sul processo a Galileo Galilei: Motta 1997, pp. 158-62), egli provò a dimostrare due cose: 1) che la scoperta delle sorgenti del Nilo non era da ascrivere alla spedizione guidata tra il 1768 e il 1770 dallo scozzese James Bruce, bensì alle missioni gesuitiche in Etiopia della prima metà del 17° sec.; 2) che uno dei portati della moderna ‘filosofia’ erano il «libertinaggio» e l’«irreligione» (Memoria sulle cognizioni che si avevano sulle sorgenti del Nilo prima del viaggio del signor Jacopo Bruce, 1794, pp. 139-40, cit. da Mari 1999, p. 39 nota 60).
Ciò non significa, mi pare, che Tiraboschi rifiutasse ogni forma di ‘filosofia’ (fatta coincidere con una forma di pensiero storico). Non è un caso che Ciocchi, nel necrologio scritto subito dopo la morte del prefetto dell’Estense, lo definisse dotato di «Spirito filosofico, moderato però dalla più diritta ragione, e dalla Religion la più pura». La ragione minuscola, racchiusa tra le maiuscole dello Spirito e della Religione, era quel tanto di genio che uno studioso moderno ha collocato nelle «zone basse», dove le azioni vivono «nell’attenzione, nell’economia e nell’esercizio dei pensieri» (Raimondi 1984, poi 1989, p. 141), e che Ugo Foscolo (1826, p. 303, riecheggiato da Raimondi, ripreso fin dal titolo e in epigrafe da Mari e a sua volta debitore forse dell’esordio della prefazione della Storia dell’augusta badia di San Silvestro di Nonantola; per quanto segue nel capoverso successivo si veda ancora Mari 1999, pp. 21-22) definì geni «tardissimi e freddi», «appunto perciò» capaci di «eseguire ciò che gli altri non potrebbero mai fare».
Dal punto di vista del pensiero storico, quanto Tiraboschi fece fu orientato dalla sua forma mentis diplomatica. Attraverso i documenti, tentò di far coincidere la storia con la storiografia e per effettuare ciò puntò, come già Pierre Bayle, al minimo rappresentato dalle ‘cose’. Come Bayle, egli non fu un minutissimarum rerum minutissimus scrutator? Certo, non si trattò né di una ripresa consapevole di Bayle, né di pirronismo (la cui conseguenza più inattesa potrebbe essere stato il culto del documento), né di un anacronistico ‘positivismo’, ma di una qualche formulazione intermedia e di compromesso, che ha molto a che fare con quanto Marc Bloch scrisse a proposito della data di pubblicazione del De re diplomatica (1681) di Mabillon: la nascita della critica delle ‘cose’, attraverso il documento d’archivio, fu «una grande data nella storia dello spirito umano» (Bloch 1949, trad. it. 19692, p. 83).
La filosofia minima di Gerolamo Tiraboschi divenne grande quando fu applicata a un oggetto preciso; per arrivare a definirlo, Tiraboschi lavorò costantemente alla sua opera più nota, la Storia della letteratura italiana. Essa prese forma nei suoi anni modenesi, fu pubblicata a Modena in quattordici volumi tra il 1772 e il 1782 e rifatta in sedici volumi ancora a Modena tra il 1787 e 1794.
I sedici volumi coprivano un arco cronologico vastissimo (dagli Etruschi fino agli eruditi settecenteschi, secondo una suddivisione per periodi e solo in parte per secoli) e rappresentarono una grande novità proprio perché non erano immediatamente riconducibili a modelli fino allora noti. La Storia di Tiraboschi era italiana poiché si occupava di tutto quanto era avvenuto nella penisola italiana prima dell’età augustea e prima della Rivoluzione francese e si occupava di letteratura nel modo che il suo autore aveva provato a chiarire fin dalla Prefazione alla prima edizione:
Ella è la Storia della Letteratura italiana, non la Storia de’ Letterati italiani, ch’io prendo a scrivere. Quindi mal si apporrebbe chi giudicasse, che di tutti gli Italiani Scrittori e di tutte l’Opere loro io dovessi qui ragionare, e darne estratti, e rammentarne le diverse edizioni. Io verrei allora a formare una Biblioteca, non una Storia; e se volessi unire insieme l’una e l’altra cosa, m’ingolferei in un’Opera di cui certo non potrei vedere, né altri forse vedrebbe mai, il fine […]. Ella è dunque, il ripeto, la storia della letteratura italiana, ch’io mi son prefisso di scriverne; cioè la storia dell’origine e de’ progressi delle Scienze tutte in Italia (Storia della letteratura italiana, 1787-1794, 1° vol., Prefazione, p. V).
Un «impianto collettivista, non certo individualista, della trattazione», uno «sviluppo diacronico di tutte le discipline», basato «sulla fiducia di poterne tracciare una storia», una «Storia senza eroi» (Gorni 1978-1980, p. 472): queste le principali caratteristiche della Storia della letteratura italiana, ottenute applicando una filosofia minima e un’erudizione massima. Filosofia ed erudizione consentirono a Tiraboschi (come ha mostrato Mari 1999, pp. 103-104) di pensare al rapporto tra storia e letteratura come al risultato di una fusione tra accertamento positivo ed enciclopedismo. Le belle lettere entravano a pieno titolo nella strana storia della cultura di Tiraboschi; non svettavano sopra ogni altra cosa (come molti critici successivi avrebbero desiderato), ma contribuirono di certo a creare una formulazione intermedia e di compromesso che è anche la cifra del pensiero storico dello stesso Tiraboschi.
De patriae historia oratio, Mediolani 1760.
Vetera Humiliatorum monumenta annotationibus ac dissertationibus prodromis illustrata, 3 voll., Mediolani 1766-1768.
Vita di santa Olimpia vedova e diaconessa della Chiesa di Costantinopoli, Parma 1775.
Storia dell’augusta badia di San Silvestro di Nonantola, aggiuntovi il Codice diplomatico della medesima illustrato con note, 2 voll., Modena 1784-1785 [ma 1784-1787].
Storia della letteratura italiana, 16 voll., Modena 1787-1794.
Memoria sulle cognizioni che si avevano sulle sorgenti del Nilo prima del viaggio del signor Jacopo Bruce, «Memorie della Regia Accademia di scienze, belle lettere ed arti di Mantova», 1794, 2, pp. 139-76.
C. Ciocchi, Lettera al dottissimo signor abate Francescantonio Zaccaria. Risguardante alcune più importanti notizie della vita, e delle opere del chiarissimo signor cavaliere abate Girolamo Tiraboschi, Modena 1794.
U. Foscolo, Intorno ad antiquari e critici (1826), in Id., Saggi di letteratura italiana, a cura di C. Foligno, 2° vol., Firenze 1958, pp. 301-24.
V. Cian, Girolamo Tiraboschi, Modena 1933.
M. Bloch, Apologie pour l’histoire ou Metier d’historien, Paris 1949 (trad. it. Torino 19692).
C. Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, «Italian studies», 1951, 6, pp. 70-93, poi in Id., Geografia e storia della letteratura italiana, Torino 1967, pp. 25-54.
M. Rosa, Echi dell’erudizione muratoriana nel ’700. Appunti in margine a un libro recente, «Studi medievali», s. III, 1963, 4, pp. 821-52, poi, con alcune modifiche e con il titolo L’“età muratoriana” nell’Europa del Settecento, in Id., Riformatori e ribelli nel ’700 religioso italiano, Bari 1969, pp. 9-47.
G. Gorni, I duecento anni della “Storia della letteratura italiana” del Tiraboschi, «Atti dell’Ateneo di scienze lettere ed arti di Bergamo», 1978-1980, 41, pp. 465-77.
A. Biondi, Tempi e forme della storiografia, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, 3° vol., Le forme del testo, t. 2, La prosa, Torino 1984, pp. 1075-1116.
E. Raimondi, Letteratura e scienza nella “Storia” del Tiraboschi, in Scienza e letteratura nella cultura italiana del Settecento, a cura di R. Cremante, W. Tega, Bologna 1984, pp. 295-309, poi in Id., I lumi dell’erudizione. Saggi sul Settecento italiano, Milano 1989, pp. 125-41.
F. Venturi, Settecento riformatore, 5° vol., L’Italia dei lumi (1764-1790), t. 1, La rivoluzione di Corsica. Le grandi carestie negli anni sessanta. La Lombardia delle riforme, Torino 1987.
U. Casari, Tiraboschi e la storiografia locale estense, in Per formare un’istoria intiera. Testimoni oculari, cronisti locali, custodi di memorie private nel progetto muratoriano, Atti della I Giornata di studi muratoriani (Vignola, 23 marzo 1991), Firenze 1992, pp. 173-90, poi in Id., Studi su Girolamo Tiraboschi e altre ricerche, Modena 2006, pp. 91-111.
P. Di Pietro Lombardi, Girolamo Tiraboschi, Rimini 1996.
P. Golinelli, Tiraboschi storico dell’abbazia di Nonantola, in Girolamo Tiraboschi. Miscellanea di studi, a cura di A.R. Venturi Barbolini, Modena 1997, pp. 87-108.
F. Motta, Copernico, i Gesuiti, le sorgenti del Nilo. Il processo Galilei nella lettura di Girolamo Tiraboschi, in Girolamo Tiraboschi. Miscellanea di studi, a cura di A.R. Venturi Barbolini, Modena 1997, pp. 109-70.
M. Mari, Il genio freddo. La storiografia letteraria di Girolamo Tiraboschi, Milano 1999.