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Tiraboschi, Gerolamo

di Aurelia Accame Bobbio - Enciclopedia Dantesca (1970)
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Tiraboschi, Gerolamo

Aurelia Accame Bobbio

Erudito (Bergamo 1731 - Modena 1794). Nella Storia della letteratura italiana, giovandosi principalmente, per sua dichiarazione, delle notizie raccolte da G. Pelli nella prima edizione delle Memorie per servire alla vita di D. e alla storia della sua famiglia (uscite nel t. IV delle Opere di D., Venezia, Zatta, 1757-58), ma in più luoghi dissentendo dalle posizioni di quello, traccia (cfr. vol. V, Modena 1775) un'attenta biografia di D. con riferimenti precisi ai fatti storici e un sommario giudizio finale sulla poesia, seguito da notizie sui commenti e sulle cattedre dantesche, secondo i principi informatori della sua opera.

Per la storia della famiglia accetta l'albero genealogico proposto dal Pelli, ed espunge con lui dalla figliolanza di D. il presunto Francesco, ritenuto autore di un commento al poema. Circa la realtà storica di Beatrice non vuole entrare in questione, dicendo difficile districare il letterale dall'allegorico. A differenza del Pelli, ritiene che D. sia andato a Bologna e a Padova prima dell'esilio, sulla fede di Benvenuto, più esperto di cose bolognesi che il Villani; diffida delle quattordici ambascerie precedenti l'esilio asserite da G.M. Filelfo né crede che i grecismi e il conoscere Omero siano argomento sufficiente per dedurre che D. sapesse il greco. Consente tuttavia col Pelli per " incontestabili pruove " di documenti circa il soggiorno a Padova del 1306 e in Lunigiana del 1307, nonché nel ritenere la Commedia composta prima della morte di Enrico VII, ma prima del Pelli pubblica il testo della condanna del 10 marzo, comunicatogli da L. Savioli che nel 1772 l'aveva trascritto dall'archivio del comune fiorentino. Si accosta invece al Dionisi per quanto riguarda i soggiorni veronesi del poeta e nel non ritenere autentico il commento di Pietro.

Circa le opere minori, scusa il ghibellinismo della Monarchia con le sofferenze patite dall'opposta parte, e ritiene con lo Zeno autentico il De vulg. Eloq., che cita anche a proposito della scuola siciliana, per la denominazione di ‛ siciliano ' ch'egli intende riferito a tutto l'italiano letterario del primo secolo, e manifesta chiara coscienza del carattere letterario del volgare illustre. Allo Zeno si accosta pure nel considerare apocrife le rime sacre attribuite al poeta e pubblicate insieme con la versione dei sette Salmi penitenziali.

Riguardo alla questione allora tuttavia discussa del genere cui ascrivere la Commedia, ritiene col Maffei che il nome di " commedia " alludesse allo stile medio, e ammonisce a non meravigliarsi che il poema non sia ciò che D. non ha voluto che fosse, che cioè non rientri in alcuno dei generi moderni che D. non aveva presenti come tali. A questa saggia cautela storica seguono osservazioni che paiono indulgere a molte critiche bettinelliane sulla rozzezza e oscurità del linguaggio, perfino sulle rime che a volte destano le " risa ", sebbene concluda che i pregi della vivacissima fantasia sono abbondante compenso dei difetti e delle macchie che s'incontrano nei suoi versi. Pregi che risaltano nel contrasto con la precedente poesia italiana, dal T. condannata in blocco come accozzamento di parole rimate su temi di amore languidi e freddi o precetti morali senza una scintilla di fuoco poetico (dello stesso Iacopone giudica " sublimi " i sentimenti ma rozzi i canti).

Nella recensione alla Vie du D. (Amsterdam 1773) dello Chabanon, biografo francese di D. (in " Nuovo Giorn. de' letterati d'Italia " X [1776]), come nel confutare il De Sade che accusava gl'Italiani di negligenza negli studi delle loro glorie letterarie, il T. rileva con una punta di orgoglio nazionale misogallico le molte lacune dello Chabanon, gli errori ereditati dai precedenti biografi, l'ingenuità con la quale accoglie come storiche certe notizie della Vita Nuova, quale l'innamoramento a nove anni, l'incomprensione della forza poetica di certe metafore che lo Chabanon dice " pensieri falsi ", come l'aere ne tremesse o 'l sol tace, e in genere un concetto di perfezione limitato a un gusto di eleganza e di misura formale. Da ultimo non condivide la lode tributata dallo Chabanon alla versione dell'episodio di Guido da Montefeltro fatta dal Voltaire, dicendo che può piacere in Francia, non in Italia dove " non sarebbe che il pascolo de' begli spiriti alla moda ".

Il T. appare in complesso per più riguardi circoscritto entro il gusto del secolo, sebbene aperto ad apprezzare l'invenzione fantastica. Non esime infatti D. dal marchio di rozzezza col quale lo accomuna a tutti i poeti volgari precedenti il Petrarca, di cui nega, contro il De Sade, che sia autentica la lettera al Boccaccio (Fam. XXI 15) coi noti giudizi su D., rilevando le inesattezze cronologiche circa l'esilio e l'età.

Bibl. - Sul giudizio del T. intorno a D., v. l'appunto del Foscolo, che lo biasima di confondere D. e Petrarca con le rispettive epoche storiche, in Saggi di letteratura italiana, a c. di C. Foligno, Firenze 1958, 304. Oltre alla Bibl. generale sul T. (per cui v. E. Bigi, G.T., in Critici e storici della poesia e delle arti nel secondo Settecento, Milano-Napoli 1960): D. Mondrone, D. e i gesuiti, in " Civiltà Cattolica " 2760 (1965) 543-544; E. Esposito, D. nella ‛ Storia ' del T., in " L'Alighieri " X (1969) 62-67.

Vedi anche
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