SONCINO, Gerolamo
– Gershom ben Mosheh Soncino (nelle edizioni a stampa si firmava Hieronymus ‘Gerolamo’ Soncinus) nacque a Soncino da Mosheh ben Israel Natan intorno al 1460. Sia la data di nascita sia il nome della madre sono ignoti.
L’attività tipografica fu intrapresa nella stessa Soncino dal nonno Israel Natan ma effettivamente concretizzata solo dal figlio, e zio di Gerolamo, Yehoshua Shelomoh che cominciò a stampare libri in carattere ebraico nel 1483. Anche Gerolamo iniziò la propria attività stampando esclusivamente libri in carattere ebraico, prima a Soncino dal 1488 al 1490, poi, quando un decreto di Ludovico il Moro impose a tutti gli ebrei della Lombardia di lasciare il Ducato, nella vicina Brescia, allora sotto il dominio della Repubblica di Venezia. A Brescia stampò il Mahbārōt, ossia una raccolta di versi di Immanuel Giudeo, il Pentateuco, e i Salmi o Tehillim.
Nel 1496 si spostò nel castello di Barco, non lontano da Brescia, ospite dei conti Martinengo, dove si fermò per un paio d’anni. A questa fase risale probabilmente la sola pubblicazione di un almanacco per l’anno 1496-97 e del Selioth, un libro di preghiere.
A partire dal 1498 e per i tre anni successivi non si hanno notizie di libri stampati da Soncino e risulta molto difficile seguirne le tracce. Pare sicuro che risiedesse per qualche tempo a Venezia e venisse in contatto con la tipografia di Aldo Manuzio. Nel 1501 infatti, in appendice alla grammatica greca di Costantino Lascaris, Manuzio aveva dato alle stampe una Introductio allo studio della lingua ebraica. Pubblicando nel 1510 a Pesaro la propria Introductio ad litteras Hebraicas, Soncino dichiarava di avere tempo addietro affidato la propria operetta a qualcuno «Hebraice linguae ignarus» che l’aveva data alla luce scorrettamente, ragione per cui provvedeva ora a ripubblicarla in forma emendata. È del tutto evidente che l’allusione va ricondotta a Manuzio. Risale molto probabilmente a questa fase anche il primo contatto con l’incisore Francesco Griffo che disegnò il carattere corsivo per Manuzio e che sarà, più tardi, in contatto con lo stesso Soncino.
Non è dato sapere quando abbia lasciato Venezia, probabilmente si fermò sino alla metà del 1501. Si sa che negli anni successivi la sua attività tipografica si svolse tra le Marche e la Romagna. Nel 1502 lo troviamo attivo a Fano, territorio allora in mano a Cesare Borgia, dove avviò una proficua collaborazione con l’umanista Lorenzo Astemio, che vi teneva scuola di grammatica. Per Astemio stampò alcune antologie di testi latini in prosa e poesia utili per l’apprendimento scolastico (Cipriano, De cruce Domini; papa Damaso I, De laudibus Pauli Apostoli; Sulpicio Severo, Epistola ad Paulinum etc. 1502). Allo stesso Astemio e all’umanista Giacomo Costanzi si lega certamente la stampa del corpus poetico latino di Antonio Costanzi (1502), umanista locale molto celebre e già discepolo di Ciriaco d’Ancona. Molto nota è anche l’edizione delle Opere volgari (1503) di Francesco Petrarca, dedicata a Cesare Borgia e nata in evidente competizione con l’edizione aldina, per la quale Soncino si valse di un nuovo carattere corsivo disegnato appositamente per lui da Griffo.
Nel 1507 Soncino si trasferì nella vicina Pesaro, dove poté stampare un cospicuo manipolo di edizioni in volgare, latino ed ebraico. Oltre alle consuete opere di scuola, come il De modo epistolandi (1508) di Francesco Pescennio Negri, pubblicò opuscoli per gli Ordini religiosi, soprattutto i francescani (la Regola dei terziari, 1507, le Meditationes vitae Christi, attribuite allora a s. Bonaventura, 1510), testi di occasione, come l’orazione funebre per Guidubaldo da Montefeltro dell’umanista Ludovico Odasi (1508), ma anche poesie in latino (Michele Marullo e Battista Spagnoli, 1509 e 1515) e in volgare (le Stanze di Lorenzo de’ Medici, 1513). Da Pesaro si mosse saltuariamente e per brevi periodi. Lo vediamo attivo a Ortona, dove pubblicò il De re militari (1518) di Antonio Cornazano, e a Rimini, dove lavorò tra il 1520 e il 1526 pubblicando, fra l’altro, gli Statuti cittadini (1525). Altre opere fece stampare ad Ancona (1516-17), avvalendosi della collaborazione di Bernardino Guerralda, e a Cesena (1526-27), appoggiandosi forse al tipografo Costantino Raverio. Durante questo periodo non cessò le attività già avviate a Fano, dove uscirono gli Statuti di Jesi e le Rime (1516) di Serafino Aquilano, e a Pesaro, dove pubblicò la Batracomiomachia nella traduzione latina di Carlo Marsuppini (1518). È probabile che l’ultima opera pubblicata in Italia sia l’Orlandino di Teofilo Folengo, uscito a Rimini nel 1527, ma già prima di quell’anno Soncino doveva avere preso in considerazione l’eventualità di lasciare il Paese. La rarissima edizione della Parabola di Efer e Dina del rabbino Vidal Benveniste, stampata dal Soncino a Rimini nel 1525 ospita, nella decima e ultima carta, un documento molto interessante dello stesso Soncino da cui si apprende che nel 1525 egli si trovava a Venezia nella bottega del tipografo Daniel Bomberg: qui ebbe una discussione con un ebreo apostata che successivamente lo avrebbe denunciato a Roma con l’accusa di stampare trattati talmudici senza licenza e di disprezzare la religione cristiana. Non pare che potesse essere questo episodio a indurre Soncino a lasciare l’Italia giacché la sua attività continuò senza intoppi sia nel 1526 sia nel 1527. Molto più probabilmente a non giovargli fu proprio la concorrenza del Bomberg, che a Venezia stampava e smerciava testi ebraici con molto maggiore successo.
Nel 1527 Soncino decise dunque di recarsi a Salonicco, dove i suoi figli avevano già aperto una loro tipografia. Dopo aver iniziato la stampa di un libro di preghiere, il Machzor, proseguì fino a Costantinopoli, dove lavorò ancora fino al 1534. Come dichiara il colophon del Sefer Miklol, un trattato lessicografico grammaticale del Duecento opera dell’ebreo francese David Kimhi e pubblicato a Costantinopoli in quello stesso anno, Soncino non riuscì a vederne ultimata la stampa.
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