MARCELLO, Gerolamo
Nacque a Venezia nel 1447, nella parrocchia di S. Angelo, sestiere di S. Marco, da Francesco del cavaliere Jacopo Antonio e da Anna Lion del "domino" Bartolomeo, di illustre famiglia padovana; un matrimonio esogamico, quello dei genitori del M., non molto frequente tra gli esponenti del patriziato lagunare, ma del tutto coerente con la politica di penetrazione economica nel basso Padovano, da tempo perseguita da questo ramo dei Marcello.
Poco sappiamo della giovinezza del M.: nel 1465 fu la nonna a presentarlo all'estrazione della balla d'oro, benché dall'atto non appaia che il M. fosse orfano; probabilmente i genitori si trovavano lontani da Venezia, forse per ragioni di natura economica o, più probabilmente, a motivo di qualche incarico politico di Francesco, che peraltro non visse molto oltre quella data, dal momento che nel 1477 era già morto.
Il M. iniziò la carriera politica poco dopo il raggiungimento dell'età prevista dalla legge, nel 1474, come savio agli Ordini, che per i giovani patrizi costituiva un prestigioso apprendistato. Il 29 dic. 1477 fu eletto provveditore in Romagna "ad andar a soldar zente e fantarie"; la Repubblica infatti era in guerra con i Turchi, che avevano devastato il Friuli e assediavano Croia e Scutari, in Albania, sicché era necessario rafforzare l'apparato difensivo.
Espletato l'incarico, nel 1479 sposò una figlia di Fantino Zorzi di Giovanni e di Alba Dandolo di Pietro: si conoscono i nomi dei genitori della sposa, ma non quello della donna che non compare in alcun documento, probabilmente perché il matrimonio rimase sterile. Nello stesso anno il M. si recò a Faenza come oratore, dopo di che, il 12 dicembre, venne eletto provveditore in campo in Toscana con compiti solo tangenzialmente militari, in quanto si trattava di concordare con Lorenzo de' Medici il rimpatrio delle truppe colà dislocate in seguito alla delicata situazione venutasi a creare dopo la congiura dei Pazzi.
Il 24 maggio 1480 il M. era a Venezia, impegnato come auditore novo; il 2 agosto fu eletto, insieme con Domenico Bollani, sindico inquisitore in Levante: una magistratura straordinaria che si eleggeva ogni cinque anni con giurisdizione su tutti i domini della Serenissima nel Mediterraneo orientale, al fine di esaminare lo stato delle fortezze e di collaborare con i rettori affinché i processi, che solitamente versavano in grave ritardo, fossero sollecitamente celebrati. Tuttavia non partì subito. Infatti il 9 agosto gli venne addossato un altro incarico, peraltro assai meno impegnativo e cronologicamente circoscritto: quello di recarsi a Trento, avendo per collega Francesco Tron, per risolvere con gli inviati dell'arciduca Sigismondo d'Austria-Tirolo, certe controversie relative alla cittadina di Riva, sul Garda settentrionale.
Il M. e Bollani partirono per le isole Ionie alla metà di ottobre del 1480, imbarcati sulle galee del viaggio di Romania; nei due anni che seguirono, visitarono molti altri luoghi, passando a Creta e a Cipro (formalmente regno della veneziana Caterina Corner, ma di fatto protettorato della Serenissima). E fu proprio a Cipro che la loro missione si concluse infelicemente: il 9 genn. 1483 il Senato decise di sostituirli con Pietro Contarini e Andrea Pesaro, ordinando a Bollani e al M. l'immediato rimpatrio; il provveditore veneziano a Cipro, infatti, li aveva accusati di peculato, ossia di aver illegalmente intascato 32.000 bisanti d'oro con l'emanazione di sentenze palesemente ingiuste, compresa la revoca dal bando di pericolosi soggetti.
A Venezia il M. e Bollani vennero inquisiti dagli avogadori di Comun, ma se la cavarono senza alcuna pena o ammenda, anche perché i loro sostituti, che avrebbero dovuto fornire le prove della presunta colpevolezza, non riuscirono a espletare il compito loro affidato a causa della morte improvvisa di Contarini.
Se ombra v'era nella condotta del M., la dissiparono le emergenze nelle quali venne a trovarsi la Repubblica nel corso della impegnativa guerra di Ferrara, allorché non si poteva andar più tanto per il sottile nella scelta degli uomini. Pertanto il 24 marzo 1485 il M. fu incaricato, insieme con Andrea Dandolo, di recarsi in Polesine a ispezionare le truppe. Verso la metà di settembre fu eletto provveditore in Friuli, con il compito di trasportarvi alcuni reparti dal Padovano e Veronese, in vista della paventata spedizione degli Ungheresi contro Pordenone, allora possedimento imperiale.
Un anno dopo, il 30 sett. 1486, figurava a Innsbruck come inviato presso l'arciduca Sigismondo d'Austria-Tirolo, al fine di dirimere annose controversie per i possessi in Val Lagarina fra i signori di Lodrone e di Castelbarco, protetti gli uni da Venezia e gli altri dai conti del Tirolo.
Si trattava del preavviso di un più vasto contrasto che l'anno dopo sfociò nella guerra fra la Repubblica e l'arciduca Sigismondo, a motivo di irrisolte vertenze confinarie nelle località di Riva e Torbole, che consentivano l'accesso alla parte superiore del lago di Garda. I Tirolesi, guidati da Gaudenzio di Matsch, attaccarono la veneziana Rovereto, dove il 24 apr. 1487 la Repubblica inviò Pietro Diedo e il M., che allora faceva parte della zonta del Senato, quali provveditori in campo. Le truppe veneziane, mal guidate da Giulio Cesare da Varano, signore di Camerino, non seppero difendere la cittadina, che fu presa dai Tirolesi il 30 maggio. La Signoria provvide allora alla sostituzione del da Varano con l'anziano Roberto Sanseverino, che nel mese di luglio fece avanzare le sue truppe da Serravalle verso Rovereto. La cittadina, abbandonata dall'invasore privo di rifornimenti, fu subito occupata dal M., che propose il rafforzamento delle difese con la demolizione di alcuni nuclei abitativi periferici. A questo punto sembrò che il conflitto evolvesse positivamente per le truppe della Serenissima, che marciarono verso Trento con una manovra a tenaglia, lungo la valle dell'Adige e la Valsugana, ma il 10 agosto, a Calliano, esse subirono una pesante sconfitta e nella battaglia trovò la morte lo stesso Sanseverino. Invano il M. cercò di procurarsi barche e operai con i quali costruire un ponte che permettesse di far affluire rinforzi, così come fu inutile "l'abile sermone, con il quale tentò di risollevare lo spirito dei soldati verso grandi speranze" (Caviceo, p. 16): i Veneziani preferirono ripiegare sulla più sicura Serravalle. In seguito il M. fu con Gaspare Sanseverino alla distruzione del castello di Arco, che impediva i collegamenti a nord del Garda; dopo di che le ostilità cessarono con un sostanziale nulla di fatto.
Tornato a Venezia, il M. entrò a far parte del Senato e l'11 luglio 1490 si recò podestà a Chioggia; il 20 marzo 1491 lasciò il rettorato, peraltro senza subire alcuna conseguenza da parte della Signoria; accettò invece, il 26 giugno, la nomina a bailo a Costantinopoli.
I rapporti fra Venezia e la Sublime Porta apparivano allora tutt'altro che sereni: il predecessore del M., Onfrè Giustinian, non era riuscito a ottenere la liberazione di un patrizio Da Mosto, imprigionato dagli Ottomani, che avevano anzi catturato le navi del convoglio di Alessandria e spedito a Venezia un ambasciatore, nella persona del "chiaus" Heles, per reclamare un indennizzo per le ruberie subite dai sudditi ottomani a opera di quelli veneti, in Dalmazia; a intorbidire ulteriormente la situazione v'erano poi le continue scorrerie dei pirati barbareschi, nominalmente sudditi della Porta, ma di fatto riottosi a ogni controllo.
Il M. giunse nel Bosforo il 25 febbr. 1492, e sin dalle prime lettere spedite a Venezia informò il Senato sul clima di diffidenze e sospetti venutosi a creare, massime dopo la "sinistra relatione fata per quel tristo et scandaloso homo de Heles zaus" (Arch. di Stato di Venezia, Senato, Secreta, reg. 34, c. 115r), da poco tornato dalla sua missione. Donde una serie di manovre militari: nel corso dell'estate i Turchi fecero uscire la flotta dagli Stretti, i Veneziani inviarono una squadra contro i pirati.
Qualche mese dopo la situazione precipitò. Nel tentativo di cercare una soluzione diplomatica alle reciproche rivendicazioni, il 15 nov. 1492 il Senato decise l'invio a Costantinopoli di un ambasciatore straordinario, scelto nella persona del cavaliere Domenico Trevisan; senonché il giorno prima il sultano Bāyazīd II aveva firmato una lettera in cui informava la Signoria di aver ingiunto il rimpatrio al M., accusato di spionaggio e di interferenze negli affari ottomani, e affermava di non voler più rappresentanti della Serenissima a Costantinopoli, un'eventualità che il governo veneziano doveva scongiurare con ogni mezzo.
La notizia giunse a Venezia all'inizio del 1493; il 4 gennaio il Senato scrisse al M. di portarsi in patria, diversamente dal proposito da lui espresso di fermarsi a Corfù, nella speranza di poter tornare a Costantinopoli qualora la vertenza si fosse risolta.
Durante il viaggio di rientro a Venezia, però, il M. si ammalò e morì a Zara non molto dopo il 20 marzo 1493.
Secondo M. Sanuto, "il corpo fo poi portato a Venexia, e in chiesia di Frari Menori, in terra, a l'altar di nostra Donna, fu sepulto. Si acorò quando a Corphù hessendo, et inteso il zonzer di sier Domenego Trivixan el cavalier, andava orator al Turcho, et erra suo compare di l'anello, e lo mandò a chiamar, il qual non volse andarlo a veder ni parlarli" (Le vite dei dogi, II, p. 681). Nonostante tanta prudenza, però, la missione di Trevisan si risolse in un fallimento.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti…, IV, cc. 221, 223; Avogaria di Comun, Balla d'oro, reg. 163, c. 261r; Segretario alle Voci, Misti, regg. 5, c. 3r; 6, c. 88v; 16, sub 20 mar. 1491; Senato, Mar, reg. 11, cc. 81r, 85r, 89r, 194r, 199v-202r; Senato, Dispacci, Costantinopoli, f. 1A/b-c; Senato, Secreta, reg. 34, cc. 114r-115r, 144r, 145v-146r, 150; D. Malipiero, Annali veneti dall'anno 1457 al 1500, a cura di F. Longo - A. Sagredo, in Arch. stor. italiano, s. 1, 1843-44, t. 7, parti 1ª e 2ª, pp. 303 s.; J. Caviceo, La guerra di Rovereto, in La guerra veneto-tirolese del 1487 in Vallagarina, a cura di P. Chiusole, Calliano 1987, pp. 9, 15 s.; M. Sanuto, Le vite dei dogi. 1474-1494, a cura di A. Caracciolo Aricò, I, Padova 1989, pp. LVIII, 97, 158, 171, 179; II, ibid. 2001, pp. 414, 501, 504, 550, 558, 570, 576-578, 649, 662, 665, 681, 684, 686, 715; M.A. Sabellico, Historiae rerum Venetarum…, in Degl'istorici delle cose veneziane…, I, 2, Venezia 1718, p. 807; P. Bembo, Historiae Venetae…, ibid., II, ibid. 1718, pp. 4, 9-11, 27; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, IV, Venezia 1855, p. 427; I libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, V, Venezia 1901, pp. 287, 302 s., 307; T. Bertelè, Il palazzo degli ambasciatori di Venezia a Costantinopoli e le sue antiche memorie, Bologna 1932, pp. 36, 67 s.