GIOVENONE, Gerolamo
Figlio del maestro di legname Amedeo e di Guencina de Rotario, nacque in data che non può essere fissata in modo certo, ma si può congetturare intorno al 1490. Fu l'esponente di maggiore rilievo della famiglia, per almeno tre generazioni al centro delle vicende legate alle arti figurative a Vercelli.
Il pittore non è ricordato nel primo e importante documento vercellese, datato 1508, che riguarda il coinvolgimento come maestri carpentieri del padre e del fratello maggiore Giovanni Pietro nella commissione a Gaudenzio Ferrari di un polittico per la locale Confraternita di S. Anna (Schede Vesme, pp. 1293 s.). Il fatto che di lui non si abbiano precoci notizie a Vercelli, accanto agli altri membri della famiglia, sembra costituire un elemento di conferma delle ipotesi, sviluppate dalla critica, circa una sua formazione artistica avvenuta - forse in altri centri - a contatto con il pittore casalese Giovanni Martino Spanzotti e il suo discepolo Defendente Ferrari (Gallino, pp. 58-61).
Intorno alle supposizioni riguardanti una comune formazione e anche una collaborazione tra il G. e Defendente ruotano alcune opere, le quali costituiscono nella sostanza un problema non del tutto risolto. Porta la data 1500 (ma si tratta di una iscrizione rimaneggiata, forse da leggere 1506) l'Assunta del Museo di Budapest, attribuita al G. già da Berenson (1907), che va posta - accanto al S. Gerolamo del Museo civico di Torino e al S. Nicola da Tolentino nella chiesa torinese di S. Agostino - tra le opere eseguite dal pittore vercellese nel momento della sua massima vicinanza con Defendente. Si è anche ipotizzato che i due possano avere collaborato all'esecuzione della pala con S. Orsola e le compagne nella chiesa di S. Giovanni ad Avigliana (Romano, 1970) e del trittico francescano proveniente da S. Maria degli Angeli a Cuneo e ora al Museo Borgogna di Vercelli (Romano, 1986, p. 18; Galante Garrone, p. 26).
Un altro caso in cui si evidenzia un rapporto del G. con l'ambiente spanzottiano è quello legato alla lettera del 25 ott. 1507 con cui lo stesso Spanzotti inviava al duca Carlo II di Savoia una copia della Madonna d'Orléans di Raffaello (Chantilly, Musée Condé), opera in quel momento nelle collezioni sabaude. Come già in molti hanno sottolineato, a partire da A. Baudi di Vesme (Nuove informazioni…), non è nota alcuna copia dell'opera raffaellesca che sia attribuibile alla mano di Spanzotti, mentre almeno quattro sono da riferire al G. e una, datata 1526, a Defendente Ferrari (Gallino, p. 62). La prima delle repliche del G. si trova alla Walters Art Gallery di Baltimora; la seconda era, ai primi del Novecento, nella collezione torinese di Luigi Cora ed è passata recentemente sul mercato italiano (Cottino, in Dipinti italiani…); la terza, che ricalca fedelmente il modello raffaellesco, è quella comparsa a un'asta londinese (Sotheby's, 9 luglio 1998, lotto 168) mentre l'ultima, di cui è ignota l'attuale ubicazione, era considerata del G. quando si trovava nella collezione Cook (Berenson, p. 238; Borenius). Il G., dunque, dimostra di avere avuto intorno al 1507 un rapporto diretto con la bottega spanzottiana, tanto da poter conoscere da vicino un originale prestigioso, disponibile presso il maestro. La progressiva emancipazione del suo stile si legge a partire da opere quali i due laterali superstiti (S. Defendente e s. Apollonia con un devoto e S. Dorotea e s. Lucia con un devoto) del polittico Meschiati per la chiesa di S. Domenico a Biella, ora nel Museo del Castello Sforzesco di Milano, di cui si fissa la datazione al 1508 (Fiorio), oppure la pala a spazio unitario con la Madonna col Bambino e santi della collezione Johnson di Filadelfia (Gallino, pp. 63-65).
Un dipinto questa volta sicuro - in quanto firmato e datato 1513 - attesta nuovamente la frequentazione di materiali accessibili nell'ambiente spanzottiano-defendentesco: la tavola con la Disputa al tempio oggi conservata al Cummer Museum of art di Jacksonville (FL). Esso replica in modo estremamente fedele un'opera, conservata al Museo civico di Torino, a lungo discussa tra Spanzotti e Defendente Ferrari e riproposta più tardi (1526) da Defendente stesso in un dipinto conservato a Stoccarda (Staatsgalerie). Vicino al dipinto americano va collocata anche l'Adorazione del Bambino con un santo vescovo del Museo civico di Torino, di cui recentemente è stata riconfermata l'attribuzione (Romano, 1996).
Nel 1515 l'artista sposò Apollonia, figlia "magistri Zanini Bagnaterre mercerii" (Schede Vesme, p. 1333): il contratto di dote è del 16 giugno di quell'anno (ibid. e Colombo). Ben presto ebbe una casa e una bottega proprie - a Vercelli, nella vicinia di S. Lorenzo - e anche un'attività distinta rispetto a quella paterna. Di ciò dà conferma esplicita un documento successivo, del 2 ag. 1524, voluto da Amedeo Giovenone a integrazione delle proprie disposizioni testamentarie, nel quale si precisa che il G. lavorava da molti anni per conto proprio, con abitazione e bottega indipendente dal padre (Morandi, p. 290).
Nella collegiata di Masserano si trova una pala con la Madonna col Bambino e santi che sembra rappresentare quasi un termine medio tra la citata pala Johnson e la pala Buronzo, firmata e datata 1514, caratterizzata da una raffinata impostazione architettonica ancora in rapporto con Defendente. Quest'ultimo dipinto (Torino, Galleria Sabauda) era destinato in origine alla cappella di S. Abbondio nella chiesa di S. Paolo a Vercelli, di patronato della famiglia del referendario ducale Domenico Buronzo i cui familiari - la vedova Ludovica e i figli Pietro e Gerolamo - appaiono ritratti nell'opera. La stessa data è stata ricollegata, in base a notizie tramandate da fonti settecentesche, all'Adorazione del Bambino con i ss. Eusebio e Nicola da Tolentino, ora nel Museo Borgogna di Vercelli, ma originariamente nella Confraternita vercellese di S. Nicola da Tolentino (Bussi). A un momento di poco successivo è stato possibile fissare anche un dipinto, attualmente conservato presso la chiesa di S. Bartolomeo a Trino Vercellese, con al centro l'Immacolata e sui laterali S. Domenico con il donatore e S. Lorenzo con la donatrice.
Si tratta dell'opera commissionata da Ludovico Raspa per il proprio altare nella chiesa domenicana di S. Paolo a Vercelli, per la quale si è conservata memoria di una datazione al 1516 (Romano, 1986, p. 20). L'elaborazione dell'impianto costruttivo deve essere ricondotta all'abilità perseguita presso la bottega familiare nel campo della carpenteria; per quanto riguarda lo stile, accanto alla ripresa di un tema caro anche a Defendente nella tavola centrale, è da segnalare un'evoluzione più personale, con un segno accentuatamente grafico e una gamma cromatica rischiarata. Vicina a queste date è anche una seconda Adorazione del Bambino conservata nel Museo Borgogna, firmata, il cui impianto è ancora fedelmente defendentesco, soprattutto nella successione prospettica degli edifici alle spalle dei protagonisti.
Nel 1521 Giuseppe (il Vecchio), fratello minore dell'artista, venne messo a bottega presso Gaudenzio Ferrari. A partire dagli anni Venti, in coincidenza con questo episodio che permise di stringere ulteriormente i legami della famiglia con il maestro valsesiano, appare crescente l'influenza di questo sulla pittura del Giovenone. Un chiaro sintomo in tal senso è dato da una nuova partecipazione emotiva alle storie sacre, dalla ricerca di raffinate lumeggiature e di morbidezze che già si riconoscono per esempio nel Compianto del Museo civico di Biella (Gallino, p. 72) oppure in una Crocifissione recentemente passata all'asta (Christie's Roma, asta 2335, 26 maggio - 2 giugno 1998, lotto 295, p. 45, con la giusta attribuzione suggerita da Mauro Natale), che ha lo stesso tipo di sfondo architettonico del dipinto appena citato nonché la stessa carpenteria dell'Adorazione firmata del Museo Borgogna. Un chiaro ricalco da Gaudenzio è poi riconoscibile in corrispondenza del trittico (Madonna col Bambino, quattro santi e due devoti) dell'Accademia Carrara di Bergamo firmato e datato 1527, accanto al quale stanno sia la pala di S. Lorenzo a Mortara sia la tavola con la Madonna col Bambino e due sante presso la Vanderbilt University di Nashville. Le tre opere sono infatti accomunate dall'utilizzo di un identico disegno per il gruppo centrale della Vergine col Bambino, disegno che si deve far risalire a Gaudenzio e che lo stesso pittore valsesiano reinterpretò più tardi nella pala per S. Maria di Piazza a Casale (ora alla Galleria Sabauda di Torino: Romano, 1986, p. 34).
Con un contratto del 29 dic. 1527, il G. promise alla Congregazione di S. Ambrogio (punto di riferimento per i milanesi a Vercelli) di eseguire un trittico destinato alla loro cappella nella chiesa di S. Francesco (Schede Vesme, p. 1339); l'opera venne consegnata qualche anno dopo, circa nel 1530. La tavola centrale, con un S. Ambrogio che ricalca ormai nettamente modelli gaudenziani, è rimasta nella chiesa di destinazione (ora sede della parrocchia di S. Agnese); mentre i laterali con i Ss. Gervasio e Protasio, di cui si conservano i cartoni relativi (Ghisotti, pp. 104-107), sono finiti all'Art Museum di Auckland.
Il polittico a due registri della chiesa di S. Agata a Santhià raffigurante la Madonna col Bambino e santi - per il quale si ha memoria di una datazione al 1531, iscritta sul retro - e il trittico nella chiesa della Madonna del Rosario di Gattinara aprono una nuova fase nel percorso del Giovenone. In tali opere, infatti, si fa evidente come il confronto non sia più semplicemente con Gaudenzio: appare già importante l'apporto del giovane Bernardino Lanino, che in quegli anni entrava in rapporto con il maestro valsesiano e iniziava a ritagliarsi un suo spazio nel contesto della pittura vercellese.
Due spunti per comprendere la fase tarda del G. sono suggeriti da altrettante opere di cui conosciamo la provenienza originaria. La prima raffigurante la Madonna col Bambino, santi e un committente si trova nel duomo di Biella; destinata all'altare della famiglia Frichignono nella chiesa di S. Domenico di quella città era un tempo firmata e datata 1538 (Astrua - D'Agostino, p. 80 n. 29); si tratta di un'opera molto importante per chiarire il rapporto tra il G. e il giovane Lanino, che sembra già indicare quella linea di placida compunzione devota su cui si orienterà il figlio Giuseppe. La seconda, anch'essa raffigurante la Madonna col Bambino e santi, è la pala proveniente da S. Maria delle Grazie di Novara, oggi alla Pinacoteca di Brera a Milano. Questa mostra un rapporto che è ormai di concreta dipendenza da una pala di Lanino, quella datata 1543 per la cappella di patronato Strata in S. Paolo a Vercelli (ora alla National Gallery di Londra: Romano, 1986, p. 61). Essa è ben difficilmente riconducibile alla diretta autografia del G., ma mostra quanto la bottega - con ogni probabilità vi erano già attivi i suoi figli - fosse in grado di mantenere un elevato livello qualitativo.
Da questo momento in avanti si fa più difficile seguire le tappe dell'anziano maestro, il quale morì a Vercelli poco dopo il testamento, redatto il 27 ag. 1555, e sicuramente prima del 9 settembre di quell'anno, quando un altro documento già lo indica come defunto (Ghisotti, p. 99).
Fonti e Bibl.: G. Colombo, Documenti e notizie intorno agli artisti vercellesi, Vercelli 1883, p. 309; B. Berenson, North Italian painters of the Renaissance, New York-London 1907, pp. 236, 238; T. Borenius, A Catalogue of the paintings at Doughty House Richmond and elsewhere in the collection of sir Frederick Cook, a cura di H. Cook, I, Italian schools, London 1913, p. 76. n. 95; A. Baudi di Vesme, Nuove informazioni intorno al pittore Martino Spanzotti, in Atti della Società piemontese di archeologia e belle arti, IX (1920), pp. 1-25 passim; Id., I principali discepoli del pittore Marti-no Spanzotti, ibid., pp. 48 s.; G.B. Morandi, I Giovenone (Notizie e documenti), in Arch. della Società vercellese di storia e d'arte, II (1910), 4, pp. 278-291; A. Gallino, G. G.: precisazioni critiche e nuove attribuzioni, in Boll. della Società piemontese di archeologia e belle arti, n.s., XVIII (1964), pp. 57-75; V. Viale, Civico Museo Francesco Borgogna. I dipinti, Vercelli 1969, p. 36 n. 34; G. Romano, Casalesi del Cinquecento, Torino 1970, pp. 19 s.; F. Zeri, Italian paintings in the Walters Art Gallery, Baltimore 1976, p. 418; Gaudenzio Ferrari e la sua scuola. I cartoni cinquecenteschi dell'Accademia Albertina (catal.), a cura di G. Romano, Torino 1982, pp. 91-122; S. Ghisotti, ibid., pp. 99, 104-107; Schede Vesme. L'arte in Piemonte, IV, Torino 1982, pp. 1294, 1333-1346, 1359-1363; V. Bussi, Vercelli sacra minore. Le confraternite, Vercelli 1985, pp. 38 s.; P. Astrua - L. D'Agostino, Bernardino Lanino maestro a Vercelli: opere e committenti, in Bernardino Lanino e il Cinquecento a Vercelli, a cura di G. Romano, Torino 1986, pp. 60-120; G. Romano, G. G., Gaudenzio Ferrari e gli inizi di Bernardino Lanino. Testimonianze d'archivio e documenti figurativi, ibid., pp. 14-62; M. Perosino, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, II, Milano 1988, p. 732; Pinacoteca di Brera. Scuole lombarda, ligure e piemontese 1535-1796, Milano 1989, pp. 66-68; Dipinti italiani 1470-1680 (catal.), a cura di A. Cottino - M. Voena, Torino s.d. (ma 1991), pp. n.n.; Il Tesoro della città. Opere d'arte e oggetti preziosi da Palazzo Madama (catal.), a cura di S. Pettenati - G. Romano, Torino 1996, p. 27; M.T. Fiorio, in Museo d'arte antica del Castello Sforzesco. Pinacoteca, I, Milano 1997, p. 315, nn. 215 s.; G. Galante Garrone, Defendente Ferrari a Cuneo, in La Madonna degli Angeli (catal.), Cuneo 1998, pp. 25-27.