CASTAGNOLE, Gerolamo Falletti marchese di
Figlio di Carlo Ludovico e di Anna Cristina Birago di Vische, nacque a Torino il 9 nov. 1669 da antica famiglia originaria di Asti, insignita nel 1662 del titolo di marchese di Castagnole. Dedicatosi alla vita pubblica, percorse il cursus honorum sino alla nomina a tenente generale nelle regie armate. Il 3 febbr. 1695 sposò Elena Matilde Provana di Leynì, erede feudale della famiglia, figlia di Ottavio e di Anna Costanza Doria di Ciriè. Rimase vedovo dopo pochi anni per il suicidio della moglie, avvenuto a Torino il 25 febbr. 1701. Il 9 luglio 1730 ricevette il titolo di marchese di Barolo, in luogo di quello di signore, di cui la sua famiglia godeva dal sec. XV, e il 18 agosto dello stesso anno venne infeudato di Monformoso e di Cascine di San Marco, con il comitato per maschi (9 febbr. 1734). Governatore in seconda di Pinerolo nel 1711, governatore di Casale nel 1715, il 29 sett. 1731, con regie patenti, fu incaricato del viceregno di Sardegna, in, sostituzione del marchese di Cortanze, accusato di concussione.
Nell'isola, ove già si trovava il fratello Giovanni Costanzo, arcivescovo di Cagliari, il C. giunse il 28nov. 1731. La Sardegna, da appena undici anni assoggettata ai Savoia, era allora divisa in due partiti, uno favorevole all'Austria, l'altro filospagnolo; più potente il secondo, per i profondi legami di lingua, usi e tradizioni comuni, che univano i Sardi alla Spagna dopo quattro secoli di dominazione. Ben pochi, invero, erano i fautori del Piemonte, malvisto sia dai nostalgici dei cessati regimi, sia dalla grande massa della popoIazione, che mal tollerava l'esclusione dalle cariche pubbliche, gli ostacoli frapposti ai matrimoni tra sardi e piemontesi, e l'ostentato disprezzo che questi ultimi manifestavano nei confronti dei loro costumi. L'avvento al trono di Carlo Emanuele III aveva migliorato il prestigio del Piemonte, grazie ad alcuni provvedimenti favorevoli ai Sardi, con i quali il sovrano inaugurò il suo regno (conferimento ad alcuni nobili locali di cariche a corte o nelle armate regie, abolizione degli ostacoli ai matrimoni misti, conferma del più assoluto rispetto per gli usi e le leggi sardi), ma la situazione permaneva delicata.
Il C. ricevette dal sovrano un dettagliato plico di istruzioni sul governo politico, giuridico ed ecclesiastico dell'isola. Tutto il suo comportamento, teso all'unico scopo dì rinsaldare il dominio regio, doveva essere improntato alla massima prudenza e moderazione: le petizioni dei sardi ascoltate benignamente, ma non accolte; i suggerimenti deì consiglieri sardi sollecitati, ma non seguiti; gli esponenti dei partiti avversi apparentemente tollerati, e invece esiliati al più presto. Specificamente doveva essere impedita, con tattiche dilatorie, la riunione del Parlamento, troppo onerosa per lo Stato, ed ogni altra richiesta di carattere finanziario; doveva essere esercitato uno stretto controllo sulla stampa, e si doveva fare in modo che la responsabilità dei provvedimenti impopolari ricadesse esclusivamente sui funzionari sardi. Anche nel campo ecclesiastico il viceré doveva esercitare una sorveglianza vigile e assidua, sotto parvenze amichevoli, accogliendo le richieste di minor significato e dilazionando le più impegnative.
La prima cura di governo del C. fu, però, volta a fronteggiare un pericolo di invasione dell'isola da parte della Spagna, che andava facendo preparativi di guerra, apparentemente diretti contro le Reggenze africane. Il ricordo non lontano della avventura sarda dell'Alberoni, celata dietro l'impresa contro i Turchi, e le mire non sopite della Spagna sulla Sardegna davano molto a dubitare del reale obbiettivo di quei preparativi.
Tutta la corrispondenza degli anni 1731-32, tra il viceré e la corte, è pervasa dal timore della guerra e dedicata all'allestimento dei preparativi contro di essa. Il C. fece presente che, pur non essendoci motivi per dubitare della loro fedeltà, non si poteva fare alcun assegnamento sui Sardi, per il loro carattere fondamentalmente assenteista. La difesa venne quindi preparata dai soli Piemontesi, col rafforzamento delle truppe di stanza, con l'invio di quantitativi straordinari di viveri e munizioni, e con la revisione delle fortificazioni, ad opera degli ingegneri Brassicarda e Bessa, inviati appositamente da Torino.
Il pericolo dell'invasione si rivelò ben presto inconsistente, e il C. si poté occupare dei problemi interni dell'isola. Particolare attenzione dedicò alla situazione economica, individuando esattamente le cause della sua depressione nella poca propensione dei Sardi alla navigazione e al commercio. Per stimolare i traffici e inserire l'isola nelle linee di scambio dei grandi Stati europei - approfittando della favorevole congiuntura dell'interruzione del commercio con l'Oriente, funestato dalla peste - progettò di liberalizzare il commercio del grano, assoggettato sin dall'epoca spagnola a uno speciale diritto d'esportazione, detto "saca", proponendo la riduzione della tassa a due reali lo starello, con dilazione per il pagamento. Inoltre, in un più vasto piano di rinascita economica della Sardegna, suggerì di sfruttame le intatte risorse forestali, introducendo l'industria della lavorazione del legno e aprendo cantieri navali nei principali porti. Precursore del Bogino, caldeggiò anche la ripresa della coltivazione dei giacimenti minerari, caduti in abbandono sotto gli Spagnoli, e invece fiorenti e fruttiferi durante il periodo pisano.
Con meno felice ispirazione, diede parere negativo all'istituzione del servizio postale nell'interno dell'isola, giustificandolo con la considerazione che ben poco utile ne avrebbe tratto l'erario regio a compenso delle ingenti spese d'impianto. E così si dichiarò contrario alla colonizzazione della deserta isola dell'Asinara, da parte di alcune famiglie greche, perseguitate dai Corsi, che avevano chiesto asilo politico, per non contrariare la potente Genova, ottenendone in cambio la consegna di alcuni banditi sardi rifugiatisi in Corsica.
Prevalentemente interessato alla soluzione dei problemi economici, di lui non si ricorda alcun provvedimento degno di nota per la repressione del banditismo (alla quale si dedicherà il suo successore, marchese di Rivarolo), che nel periodo del suo governo aveva ripreso particolare vigore, talvolta con l'appoggio dì alcuni nobili locali, filospagnoli o filoaustriaci, che lo favorivano per speculazione politica. Così pure non si interessò specificamente del problema della diffusione della lingua italiana, alla cui introduzione i Sardi opponevano vivissime resistenze, e delle riforme culturali.
Morì a Cagliari il 5 luglio 1735.
Fonti e Bibl.: Descriz. delle funzioni funebri per le esequie del marchese G. F. viceré del Regno di Sardegna defunto in Cagliari, Torino 1736; A. de la Vallée, Descrizione del funerale del marchese viceré G. F…, Torino 1736; L. La Rocca, Istruzioni al marchese F. di C. viceré di Sardegna dal 1731 al 1735, Catania 1909; G. Guasco, Dizionario feudale degli antichi Stati Sardi e della Lombardia, Pinerolo 1911, ad voces Barolo e Castagnole Monferrato; B. Anselmo, Tributi e bilanci in Sardegna nel primo ventennio della sua anness. al Piemonte, Torino 1921; R. Valle, Iprecursori del ministro Bogino e le riforme in Sardegna, Cagliari 1923, passim;G. Manno, Storia di Sardegna, Cagliari 1925, pp. 818-821; A. Pino Branca, La vita economica della Sardegna sabauda (1720-1773), Messina 1926; F. Loddo Canepa, Invent. della R. Segr. di Stato e di Guerra del Regno di Sardegna, Ronia 1934, p. 27; R. Ciasca, L'opera di italianità di Casa Savoia in Sardegna avanti il Bogino, in Rass. stor. del Ris., XXII (1935), 1, pp. 30-52; F. Loddo Canepa, Giudizi di alcuni viceré sabaudi sulla Sardegna e sui suoi problemi attraverso i carteggi ufficiali del Settecento, in Annali della facoltà di lettere-filos. e magistero dell'università di Cagliari, XIX (1952), pp. s s. dell'estratto; Torino, Biblioteca naz., A. Manno, Il patriz. subalpino (datt.), VI, sub voce Falletti.