CASATI, Gerolamo
Secondogenito di Alfonso e di Bianca Secco Borella, figlia di Princivalle, conte e feudatario di Vimercate, nacque intorno al 1594, probabilmente a Milano. Nulla sappiamo della sua infanzia e della sua adolescenza: non vi è motivo di dubitare, però, che sia cresciuto a Lucerna, dove dal settembre 1594 il padre ricopriva la carica di residente spagnolo nella Confederazione elvetica. Quasi certamente, come i suoi fratelli minori, compì gli studi nel locale collegio dei gesuiti.
L'avvio alla carriera diplomatica avvenne sotto la guida del padre: già alla fine del luglio 1620, all'indomani della sollevazione dei cattolici valtellinesi, il C. veniva inviato a Milano per dare conto al governatore duca di Feria degli sviluppi della situazione. Sin dal maggio 1621, a causa delle precarie condizioni di salute di Alfonso, che sarebbe poi morto nel l'estate, il C. assunse praticamente la direzione della rappresentanza diplomatica. A partire da quell'epoca, infatti, vengono effettuate a suo favore le rimesse della tesoreria di Milano per le spese ordinarie della residenza e per le pensioni agli svizzeri.
L'ingresso del C. sulla scena politica elvetica avveniva in un momento particolarmente delicato: dopo l'occupazione della Valtellina da parte delle truppe spagnole e dopo gli sfortunati tentativi dei Grigioni per riacquistarla con le. armi (agosto-settembre 1620), il duca di Feria era riuscito ad imporre a questi ultimi il capitolato di Milano del 6 febbr. 1621, mediante il quale, con lo sgombero della valle, la Spagna si assicurava l'esclusiva dei diritti di transito ed otteneva una serie di garanzie a. favore dei cattolici valtellinesi. Sebbene il capitolato rispondesse pienamente agli interessi spagnoli nella zona alpina, l'iniziativa del governatore non fu approvata: a Madrid, infatti, non si volevano suscitare le reazioni ostili della Francia nel momento in cui stava per spirare la tregua con le Province Unite. In conformità a questo orientamento, il 25 apr. 1621 Filippo IV Sottoscriveva il trattato di Madrid con la Francia: in esso veniva sancito il ritorno della Valtellina sotto la dominazione grigiona, mentre si demandava ad una futura conferenza il compito di determinare le modalità dell'operazione.
Alla conferenza, apertasi a Lucerna nel giugno successivo, presenziò anche il C. su incarico del Feria; quest'ultimo, pur mostrando di arrendersi alle superiori ragioni della politica spagnola, era fermamente deciso a mantenere i vantaggi conseguiti con il capitolato di Milano: e nel C. il governatore troverà un fedele esecutore di questa strategia tutt'altro che lineare. Infatti, fu proprio l'azione del diplomatico milanese ad avere peso determinante nel sostanziale fallimento della conferenza, i cui lavori si protrarranno senza giungere a risultati concreti, mentre le posizioni asburgiche nelle Alpi Retiche venivano rafforzate dalla contemporanea occupazione dell'Engadina da parte dell'arciduca Leopoldo V del Tirolo e di Poschiavo e Chiavenna da parte del Feria (ottobre 1621). Sebbene l'operato del C. a Lucerna fosse risultato apertamente in contrasto con le intenzioni di Filippo IV, la sua condotta non venne sconfessata perché alla corte di Madrid prevaleva ormai l'opinione di coloro che sostenevano la necessità di non abbandonare la Valtellina.
Alla morte di Alfonso Casati, la carica di residente sembrava destinata ad essere occupata dal figlio. Già prima della morte del residente, quando ormai era apparso evidente che egli non era più in grado di adempiere alle proprie incombenze, i Cantoni cattolici avevano di propria iniziativa tentato di assicurare la successione a favore del figlio. Ora la candidatura del C. godeva dell'appoggio del Feria e dell'arciduca Leopoldo, il quale già si serviva di lui per mantenere i contatti con il governo di Milano. La nomina regia doveva perciò ritenersi imminente.
In attesa, il 7 ott. 1621, il governatore conferiva al C. la carica di residente ad interim con il soldo di duemila scudi annui. Il 14 nov. il C. succedeva al padre come questore di cappa corta del Magistrato delle Entrate straordinarie; come si era verificato per Alfonso, la carica gli era stata conferita, non perché la esercitasse, ma perché gli fosse garantita una entrata supplementare allo scopo di integrare il magro stipendio di capo-missione. La decisione sovrana circa la nomina a titolare della rappresentanza diplomatica tardava invece a venire: in Spagna si riteneva che il C. fosse troppo giovane per assumere definitivamente un incarico che comportava pesanti responsabilità; a ritardare ulteriormente la designazione contribuiva anche il fatto che nel frattempo altri candidati, ben più anziani ed autorevoli, si erano fatti avanti e fra essi il vescovo di Losanna, Johann von Wattenwil. Soltanto due anni più tardi, nell'agosto 1623, Filippo IV avrebbe autorizzato il duca di Feria a rilasciare al C. la patente di nomina.
In quell'occasione, il governatore non mancava di esprimere al sovrano la stima che nutriva per il C., da lui ritenuto "persona inteligente y de las partes que à menester la condición de aquella nación, de que el tiene la escuela de su padre y muy larga noticia de todo" (Arch. General de Simancas, Estado, leg. 1926 n. 212: Feria a Filippo IV, Milano 11 sett. 1623).
Ci erano voluti due anni prima che il giovane diplomatico riuscisse a coronare definitivamente le sue aspirazioni: nella situazione di incertezza nella quale si era trovato durante quel periodo, egli aveva riposto tutte le speranze nell'appoggio fornito alla sua candidatura dal Feria e dall'arciduca del Tirolo. Si spiega così il particolare rapporto di dipendenza che lo legò, anche dopo la nomina,ai suoi due autorevoli protettori. E siccome il governatore di Milano era già di per sé propenso a trascurare le prudenti direttive di Madrid per assecondare la politica bellicosa ed annessionista di Leopoldo V, non stupisce che qualche storico abbia giudicato l'azione diplomatica del C. più conforme agli interessi del Tirolo che a quelli della Spagna. Se l'osservazione non può essere accolta senza riserve, anche perché i due rami della casa d'Asburgo perseguivano, con metodi diversi, obbiettivi sostanzialmente identici, non, vi è dubbio che il C. fornì all'arciduca una collaborazione preziosa.
Così, quando Leopoldo, ormai padrone dei Grigioni, riunì la conferenza di Lindau (settembre 1622) con l'intento di imporre ai vinti le proprie condizioni, il C. svolse un ruolo di primo piano nell'elaborazione delle clausole assai sfavorevoli che le Leghe Grigie erano costrette ad accettare. Infatti, con il trattato di Lindau, ratificato il 24 ott. 1622, queste ultime riconoscevano la sovranità tirolese su otto delle dieci "diritture" e sulla Engadina, confermavano l'unione ereditaria con la casa d'Austria e s'impegnavano a non intavolare trattative con principi stranieri senza l'assenso dell'arciduca, che diventava così arbitro assoluto dei destini del paese.
Il costante sostegno dato alla politica di Leopoldo V non impedi al C. di svolgere una proficua azione a vantaggio del proprio legittimo sovrano. Dopo il fallimento della conferenza di Lucerna, il Feria aveva firmato con i rappresentanti delle Leghe Grigie un nuovo trattato di Milano (15 genn. 1622), a nonna del quale gli antichi dominatori della Valtellina riconoscevano l'indipendenza della valle dietro il versamento di un tributo annuo di 25.000 scudi. L'accordo era però destinato a rimanere lettera morta perché il 3 maggio 1622 Filippo IV sottoscriveva, insieme alla Francia, la convenzione di Aranjuez: in base a tale atto, la Valtellina, veniva presidiata da un esercito pontificio che fungeva da depositario a nome della Santa Sede. Durante e dopo questo periodo, l'operato del C. fu costantemente indirizzato a guadagnare l'appoggio dei Cantoni cattolici alla politica spagnola; grazie alla sua azione abile e tenace, egli riuscì a sottrarre questi ultimi all'influenza, già di per sé scarsa, che la Francia esercitava su di loro: se ne ebbe la prova, allorquando, su istigazione del C., essi rigettarono definitivamente il trattato di Madrid del 1621, la cui esecuzione era stata uno degli obbiettivi principali della diplomazia di Luigi XIII (Dieta di Lucerna del 7 dic. 1622).
Un ulteriore successo a danno della potenza rivale il C. lo registrava dopo la firma della lega di Avignone (7 febbr. 1623), mediante la quale Francia, Savoia e Repubblica veneta stipulavano un'alleanza in vista della riconquista militare della Valtellina e dei territori grigioni occupati dall'arciduca Leopoldo. Alla lega, concepita in funzione antiasburgica, le potenze firmatarie intendevano fare aderire anche la Confederazione elvetica: ancora una volta, l'opera di dissuasione svolta dal C. presso i Cantoni dell'alleanza spagnola valse ad impedire la loro partecipazione alla lega. La mancata adesione dei cattolici costringeva quindi i Cantoni protestanti, tradizionali alleati della Francia, alla rinuncia (Dieta di Baden del giugno-luglio 1623): per la seconda volta, nel giro di pochi mesi, il prestigio francese nella Confederazione riceveva un duro colpo ad opera del giovane diplomatico milanese.
Nel febbraio 1624 il C. veniva richiamato a Milano per conferire con il governatore; egli si trovava ancora nel capoluogo lombardo quando, circa due mesi più tardi, veniva colpito da un accesso di febbre che doveva rivelarsi fatale: morì dopo pochi giorni di malattia, nella notte tra il 7 e l'8 apr. 1624.
Benché la sua missione nella Confederazione elvetica fosse durata complessivamente poco meno di tre anni, essa aveva notevolmente contribuito a rafforzare l'influenza spagnola in Svizzera: ma se questo successo era dovuto, in maniera determinante, alle doti diplomatiche del C., non vi è dubbio che la sua opera era stata facilitata dalle incertezze della politica estera francese, affidata alla guida non sempre lungimirante dei due Brulart. Con l'ascesa al potere di Richelieu, il compito dei successori dei C. si sarebbe rivelato ben più arduo e complesso.
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