Cardano, Gerolamo
Filosofo, medico e matematico (Pavia 1501 - Roma 1576).
Figlio illegittimo del giurista Fazio, ebbe un’infanzia travagliata; iniziati gli studi a Pavia e a Milano, li compì a Padova. Nel 1534 fu incaricato di insegnare geometria, aritmetica e astronomia nelle scuole palatine; da allora cominciò la sua celebrità, anche per la disputa sostenuta con Niccolò Tartaglia a proposito della formula di risoluzione delle equazioni cubiche (nota come formula di C.), scoperta da Scipione dal Ferro e ritrovata da Tartaglia, che l’aveva confidata a C. sotto il suggello del segreto (1539). C. ricostruì la dimostrazione, si addentrò nello studio del caso più difficile (casus irreducibilis) e credette perciò di poter pubblicare tali risultati, citando Tartaglia, nella sua Ars magna (1545), che segna una data fondamentale nella storia delle matematiche, e che contiene anche la formula risolutiva dell’equazione di 4° grado, dovuta a un allievo di C., L. Ferrari.
Dal 1543 al 1562 C. insegnò medicina nell’univ. di Pavia, quindi, fino al 1570, in quella di Bologna. La sua vastissima produzione (tra le opere si ricordano il De subtilitate, 1550, e il De rerum varietate, 1557) è sempre tesa a una concezione unitaria del tutto come fondamento di un sapere enciclopedico. Tema centrale e ricorrente nelle sue opere è infatti la ricerca di un sistema di conoscenze attraverso la riduzione a unità del molteplice: la nostra conoscenza sarebbe perfetta «se potesse discendere dall’uno ai molti» e ripercorrere così il processo costitutivo della realtà. Poiché questo non è possibile all’uomo, la sfera privilegiata delle sue conoscenze sarà quella in cui la sua mente riesce a «fare le cose», come nella matematica, quasi eguagliando il creatore. Di qui, e la matrice neoplatonica è evidente, l’importanza delle matematiche: il problema del rapporto tra il reticolato matematico e l’esperienza, sulla cui importanza primaria C. insiste, è sentito vivamente pur restando nei termini di un irrisolto rapporto fra astratto e concreto. Il motivo della radicale unità del tutto sta in C. alla base di una concezione del mondo le cui parti sono legate da simpatie e connessioni così da permettere tanto le operazioni magiche quanto le previsioni astrologiche: il legame fra gli astri e la storia degli uomini è fortemente accentuato da C., che riprende anche il tema delle grandi congiunzioni e dell’oroscopo delle religioni, scrivendo un celebre oroscopo di Cristo (così come di numerosi altri grandi personaggi della storia). Questo naturalismo, nel quale si fondono suggestioni neoplatoniche e peripatetiche, permetteva anche a C. una forte riduzione a cause naturali (influssi celesti, virtù occulte, ecc.) di fenomeni «miracolosi»: in ciò C. svolge suggestioni di Pomponazzi, ma forte è anche l’influenza di Machiavelli, del quale C. riprende e sviluppa il tema dell’origine e della natura politica delle religioni e l’ideale di una sapienza «umana». Proprio per la vastissima mole dei suoi scritti e per i più disparati interessi che lo mossero, è stato possibile vedere in C., anche sul piano delle ricerche fisiche, felici intuizioni e pratiche realizzazioni innovatrici. Sono da ricordare l’invenzione della sospensione che da lui prende il nome, un celebre teorema sui moti ipocicloidali, una dimostrazione dell’impossibilità del moto perpetuo, osservazioni sulle resistenze di mezzo, ricerche sulla determinazione dei rapporti di densità di alcuni corpi in base alla loro diversa rifrangenza, ecc. Triste fu l’ultima parte della sua vita, specie per la condotta delittuosa dei due figli (il primo dei quali fu, nel 1560, condannato a morte) e per accuse e calunnie. Dal 1571 fu a Roma, dove gli era stata assegnata una pensione dal papa Gregorio XIII. Interessante l’opera autobiografica De propria vita (post., 1643; trad. it. Della mia vita).