OLIVOTTO, Germano
OLIVOTTO, Germano. – Nacque a Venezia il 17 agosto 1935, da Pompeo e da Elena Zambenedetti.
Compì gli studi di medicina a Padova, alla metà degli anni Sessanta, e si appassionò di arte cinetica, arte programmata, cinema underground, fotografia e sociologia, continuando a svolgere contemporaneamente anche la professione di medico (Intervista, 1977, p. 8). Il 14 marzo 1964 sposò Luigia Terrin.
Nelle opere del 1967 spesso emerge l’influenza delle ricerche del Bauhaus, del dadaismo e della pratica dell’objet trouvé: si vedano, tutte di ubicazione ignota, Struttura 4/4, Struttura 6/2 e Struttura 5/1 (ripr. in G. O. ..., 1989, pp. 16 s.). Nel 1968 girò in 16 mm, insieme a Gaetano Pesce, Irreversione: una macchia di sangue che si allarga in progressione, alludendo al movimento ‘rosso’ che si diffonde rapidamente, ma anche alla liquefazione dell’arte come evento autonomo dalle contraddizioni del mondo e della storia (Francalanci, 1989, p. 46). Nello stesso anno tenne anche tre personali nelle gallerie Il Canale di Venezia, Vigo di Roma e La Chiocciola di Padova, dalle quali emergono chiaramente i suoi interessi per la Minimal Art, espressi nel tipico linguaggio modulare, usando forme primarie in legno laccato, plastica o metallo, spesso collocate secondo le modalità dell’arte ambientale, soprattutto di matrice americana. Da subito mostrò la volontà d’interagire sia con l’ambiente naturale sia con la metropoli, sfruttando la proprietà di riflessione dell’acciaio lucidato a specchio.
In Struttura n. 8/3 (1868; coll. priv., ripr. in G. O., 1970, fig. 3) le varie lastre triangolari, lontane da quel senso di staticità che proviene dagli specchi analoghi di Michelangelo Pistoletto, sono disposte come spicchi di un ventaglio, in modo che il movimento dei veicoli e dei passanti produca un effetto di scomposizione ritmica delle forme, che ricorda le ricerche pittoriche di Giacomo Balla sul dinamismo delle automobili.
Nel 1968 Olivotto aveva lo studio sia a Padova sia a Parigi (G. O., 1968, pp. nn.). L’anno seguente, quando tenne una mostra alla galleria Cardaro di Milano e partecipò alle esposizioni collettive Prospettiva 4 a Roma e Plastic research a Johannesburg, mise a punto l’elaborazione di un ‘segno artificiale-ideale‘ che chiamò ‘sostituzione’ (Tomagé, 1993, p. 805; Sabbion, 2009, p. 323).
Per un intervento d’installazione ambientale in un bosco del Veneto posizionò, fra le file di centinaia di pioppi paralleli, un sottile tubo di plexiglas illuminato al neon, alto 9 metri, in ‘sostituzione’ di un albero: una sorta di ‘albero artificiale’, senza rami, che prendeva il posto dell’elemento naturale con un effetto perturbante, senza però stravolgere il contesto naturalistico in cui si collocava.
Olivotto, secondo Francalanci ([1970], 1989, p. 18), con questa operazione si pone lontano dall’arte povera (con la quale pure sono molte le affinità) e vuole dare un giudizio sui prodotti artificiali che stanno invadendo il mondo: dopo che la natura sarà stata riempita di abitazioni e di oggetti, una nuova ‘natura’ potrà essere ricreata dall’uomo.
Nel 1970, alla galleria Christian Stein di Torino, presentò Sostituzione 10/12 (ubicazione ignota, ripr. in G. O., 1989, p. 37), documentazione fotografica di un’installazione costituita da alcuni tubi di neon posizionati sui rami degli alberi al parco del Valentino, nella quale era ripreso il diverso impatto lineare e luminoso dei tubi di luce, a seconda della differente luce ambientale nelle varie ore della giornata (Barilli [1971] 1989, p. 36), introducendo il fattore temporale nell’opera d’arte visiva non-filmica.
Negli anni seguenti effettuò molti interventi di questo genere, sia in spazi espositivi (nel 1971 al salone dell’Annunciata a Milano), sia in contesti urbani (nel 1972 in corso del Popolo a Mestre), dei quali, come è consuetudine per le opere di land-art, restano solamente documenti fotografici e video (Tomagé, 1993, p. 805), che per l’artista costituivano l’aspetto principale: la trasmissione dell’opera era un momento vitale ed era importantissima quindi l’efficienza tecnica dei suoi collaboratori (Terrin Olivotto, 1989, p. 9).
Nel 1970 partecipò alle collettive Art concepts from Europe della galleria Bonino di Buenos Aires e al Salon de la Jeune Sculture di Parigi. Nello stesso anno presentò una serie di opere in acciaio e in legno laccato alla galleria La Polena di Genova (O., 1970, figg. 1-9). Nel 1971 espose al Museum of Contemporary crafts photo media di New York, alla galleria La Città di Verona e a Il Cavallino di Milano (dove replicò l’anno seguente). Nel 1972 partecipò all’Internationalen Malerwochen 72 a Graz presentando un’operazione concettuale consistente in una serie di fotografie, in cui aveva fissato gli attimi più salienti del suo viaggio da Padova a Graz.
Nello stesso anno espose alla Biennale di Venezia, dove ottenne un grande riconoscimento di critica e pubblico, proiettando la registrazione di una Sostituzione realizzata a Mestre pochi mesi prima, che mostrava l’effetto della variazione della luce naturale su un tubo di neon posto come ‘sostituzione’ del ramo di un albero (ripr. in G. O. ..., 1989, pp. 50 s.), oltre ad alcune immagini fotografiche in bianco e nero di interventi di Olivotto nella natura, illuminate con la freddezza e l’artificialità dei tubi al neon applicati ai pannelli (Tomagé, 1993, p. 805).
In quest’occasione fu richiesta a Olivotto una produzione seriale a fini commerciali dei lavori, dove la natura era offerta «in scatola»: l’artista rispose con riluttanza, ritenendo che le sue opere avessero soprattutto il destino di essere degli eventi unici, «accesi» e «spenti» dalla luce dell’ambiente naturale nelle varie ore del giorno (Barilli, 1989, p. 44).
Nel 1973 tenne una personale alla G. Reckermann di Colonia e gli venne conferito il premio Bolaffi (Tomagé, 1993, p. 805).
L’anno seguente, all’apice della creatività e del successo, mentre curava il progetto Finestre-Luce, volto a fissare i differenti momenti d’intensità luminosa del giorno, morì in un incidente stradale a Dolo (Venezia), il 26 febbraio 1974.
Tra le numerose le mostre postume, tese a valorizzare progetti e attività inaspettatamente interrotte, si segnala la retrospettva alla galleria Il Naviglio di Milano (1975). Frequente è la presenza delle sue opere nelle collettive, soprattutto in Italia ed Europa, dedicate all’arte del decennio in cui fu attivo.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio della Galleria nazionale d’arte moderna, O. G., Bio-iconografico 21.2 e iconografico 206; Ibid., Archivio Fondazione La Quadriennale, busta O. G.; G. O. (catal., galleria Il Canale), Venezia 1968, pp. n.n.; O. (catal., galleria La Polena), Genova 1970, pp. n.n.; G. O. (catal., Galleria del Cavallino), Venezia 1970, pp. n.n.; E.L. Francalanci, in G. O. (manifesto-catal., salone dell’Annunciata), Milano 1971, pp. n.n.; G. O. (catal., galleria del Naviglio), Milano 1975, pp. n.n.; Intervista a G. O., in Spazio alternativo, I, febbr. 1977, pp. 8-10; G. O. Strutture e sostituzioni 1967-1974 (catal.), Padova 1989 (si vedano in partic. i contributi di L. Terrin Olivotto, G. O., p. 9; E.L. Francalanci, G. O. [1970], p. 18; R. Barilli, Le «sostituzioni» di G. O. [1971], p. 36; P. Restany, Les travaux e les jours de G. O. [1972], pp. 31 s.; W. Skreiner, Viaggio a Graz, ibid., p. 38; J. De Sanna, Intervista a G. O. [1973], pp. 24 s.; R. Barilli, O. dalle strutture alle sostituzioni, pp. 43 s.; E.L. Francalanci, Una luce nel bosco, pp. 43-49; G. Segato, Neon-illuminismo poetico, pp. 52-54); L. Tomagé, O. G., in La pittura in Italia, II, Milano 1993, p. 805; V. Baradel, Padova, in La pittura nel Veneto. Il Novecento, I, a cura di G. Pavanello - N. Stringa, Milano 2006, pp. 153, 156 s.; M. Sabbion, G. O., in La pittura nel Veneto. Il Novecento. Dizionario degli artisti, a cura di N. Stringa, Milano 2009, pp. 323 s. (con bibl.).