Germania
Geografia umana ed economica
di Giandomenico Patrizi
Stato dell'Europa centrale. A sessant'anni dal disastroso esito della Seconda guerra mondiale, che di fatto la ridusse (e la relegò per un lungo periodo di tempo) in una condizione di Stato non compiutamente sovrano, la G. è tornata a essere un attore di primissima grandezza nello scacchiere politico e, soprattutto, economico europeo e mondiale. Nonostante la pesante situazione, protrattasi per parecchi decenni, di Paese non soltanto sconfitto, ma anche occupato, diviso in due tronconi separati, privato della sua capitale storica (e sua maggiore metropoli) e del diritto di disporre di un proprio esercito, è riuscita a riacquistare in pieno il suo ruolo di 'gigante economico', a riorganizzare totalmente il proprio territorio, a procedere, favorita in ciò dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica, alla riunificazione delle sue due parti. La riunificazione, che ha rappresentato l'episodio più importante della storia del Paese tra la fine del 20° sec. e l'inizio del 21° sec., per il suo elevato valore simbolico e per la necessità della ricostituzione di uno spazio economico nazionale, è stata peraltro anche l'episodio vissuto con maggiore difficoltà dal popolo tedesco; soprattutto da quello dei Länder occidentali, che si è trovato a dover gestire un territorio sensibilmente più vasto di quello del quarantennio precedente, comprendente un settore caratterizzato da un'economia del tutto diversa e assai arretrata: un corpo per molti aspetti estraneo, la cui integrazione è venuta a porsi, per la nuova G., come una sorta di 'questione orientale'. Inoltre, se la G. fino ai primi anni Novanta del Novecento affiancava alle caratteristiche di gigante economico quelle espresse dalla pittoresca definizione di 'nano politico', ormai ha riacquistato un'autorevolezza politica indiscussa a livello mondiale e all'interno dei maggiori organismi internazionali: lo prova, fra l'altro, il fatto che nelle diverse proposte di revisione dell'ONU che si sono succedute a partire dagli ultimi anni del 20° sec., il Paese risulta quasi sempre tra i membri permanenti del Consiglio di sicurezza.
Con i suoi 82.689.000 ab., secondo le stime ufficiali del governo per l'anno 2005, la G. resta di gran lunga il più popoloso Stato europeo (Federazione Russa esclusa). Per superficie, invece, sempre escludendo la Russia, essa si colloca soltanto al quinto posto, dopo l'Ucraina, la Francia, la Spagna e la Svezia. Ne deriva una densità territoriale molto elevata (oltre 230 ab./km2, più del doppio di quella media dell'Europa), superata da pochissimi altri Paesi europei, e tra quelli maggiori solo dal Regno Unito. Tale cospicua massa demografica, peraltro, risulta nel complesso insufficiente ai bisogni di risorse umane di un Paese economicamente dinamico come la G., nel quale, come in tutte le società mature, si è compiuta già dalla metà degli anni Novanta la transizione demografica. Infatti, proprio negli ultimi anni del Novecento si era arrivati alla crescita zero e subito dopo (inizi del 21° sec.) al decremento di popolazione in termini assoluti, nonché a un quadro demografico assai maturo, con una percentuale di giovani decisamente modesta. In realtà, il saldo naturale era negativo dall'inizio degli anni Novanta, con un tasso di natalità di poco superiore al 9,7‰ e un tasso di mortalità di quasi il 10,5‰; e il lieve aumento mantenutosi per qualche anno e il successivo contenimento sono dovuti al saldo sociale: vale a dire all'afflusso immigratorio, tradizionalmente consistente, che ha prodotto una massa di immigrati di quasi 7,4 milioni (2003). La composizione etnica di tale cospicua comunità straniera è sensibilmente variata nel tempo: negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale - specialmente gli anni del 'miracolo tedesco', il decennio Sessanta, allorché si trattò di ricostruire ex novo l'intero apparato industriale - prevalevano nettamente gli italiani, seguiti da spagnoli, portoghesi e greci; in seguito, l'ondata migratoria dall'Italia e dai Paesi iberici diminuì sensibilmente, se ne formò, e rapidamente crebbe, un'altra, alimentata da migranti della Iugoslavia e poi delle repubbliche nate dalla dissoluzione di questa; più tardi da maghrebini e, soprattutto, turchi, questi ultimi ben presto divenuti la componente nettamente dominante; per ultimi, dopo l'apertura delle frontiere degli Stati dell'Est, cominciarono ad affluire cittadini di quei Paesi, particolarmente numerosi i polacchi.
Nel 2003 gli immigrati dalla Turchia ammontavano a circa 2 milioni; si calcola che poco meno della metà di essi fossero di etnia curda, il che conferma l'effetto moltiplicatore esercitato dalla conflittualità etnica sulla tendenza a emigrare. Ai flussi immigratori si sono affiancati massicci trasferimenti di popolazione all'interno del Paese, dai più arretrati Länder orientali in quelli occidentali (specialmente in Renania Settentrionale-Vestfalia, Baden-Württemberg, Assia, Baviera): di fatto, una 'legale' prosecuzione di quelli clandestini che avvenivano attraverso l'artificiosa frontiera tra le due Germanie. Tale migrazione interna non ha risolto i problemi esistenti (la mancata copertura dei posti di lavoro da un lato, e la disoccupazione dall'altro) e ha finito con il crearne di ulteriori, anche per il rapido adeguarsi dei nuovi arrivati al modello sociale tedesco-occidentale, consumistico e largamente protettivo, con conseguenti problemi economici e reazioni negli orientamenti elettorali che hanno penalizzato la dirigenza politica.
I caratteri distributivi e insediativi della popolazione restano più o meno invariati, con una densità che, a parte quella, ovviamente del tutto anomala, dei tre Länder totalmente urbani di Berlino, Amburgo e Brema, varia dai 530 ab./km2 della Renania Settentrionale-Vestfalia ai 75 ab./km2 del Meclemburgo-Pomerania Anteriore. Superano la densità media anche il Saarland, il Baden-Württemberg, l'Assia e la Sassonia (unico tra i Länder orientali; gli altri denunciano i valori più bassi in assoluto). La G., com'è noto, è uno dei Paesi più urbanizzati del mondo: la popolazione urbana nel 2003 ammontava all'88%, valore, in Europa, superato soltanto dal Belgio e, di poco, dai Paesi Bassi e dal Regno Unito. La parte di territorio di gran lunga più urbanizzata è quella che, semplificando, è possibile definire 'renana' e che comprende pressoché per intero i Länder di Renania Settentrionale-Vestfalia, Renania-Palatinato, Baden-Württemberg, Assia e Saarland, debordando in Bassa Sassonia e Baviera. Incentrata sull'asse renano, sostanzialmente coincide con l'area Reno-Ruhr, continuum urbano che accoglie una quindicina di milioni di abitanti e che fa parte della megalopoli formatasi nell'Europa occidentale ed estesa dall'Inghilterra alla Svizzera attraverso i Paesi del Benelux, la Francia nordorientale e gran parte della Germania. LReno-Ruhr risulta dalla fusione delle conurbazioni della Ruhr, sviluppatasi in senso ovest-est lungo la valle dell'omonimo affluente del Reno e resa celebre dalle sue miniere di carbone e dai suoi centri di industria pesante (ma nell'ultima parte del Novecento del tutto trasformata; v. oltre: Condizioni economiche), con la lunga appendice urbana, sviluppatasi in senso nord-sud lungo il Reno, da Düsseldorf a Bonn e dominata dalla città di Colonia. Con l'area Reno-Ruhr si connette anche quella delle città del basso Meno.
Il modello spiccatamente policentrico che caratterizza questa G. renana, dove pure l'urbanizzazione ha assunto forme e dimensioni così vistose e totalizzanti, spiega il fatto che le metropoli tedesche in assoluto più popolose risultino, se singolarmente considerate, per lo più ubicate in altre zone del Paese. Delle quattro maggiori solo Stoccarda (587.000 ab. nella città e 2.650.000 nell'intera agglomerazione urbana) è ai margini dell'area renana; Berlino (3.392.000 ab. nella città e 4.200.000 nell'agglomerazione), Amburgo (1.700.000 e 2.600.000) e Monaco di Baviera (1.228.000 e 1.950.000) si trovano rispettivamente decentrate verso le estremità nordorientale, settentrionale e meridionale del territorio nazionale (le cifre relative alle agglomerazioni si riferiscono al 2005, quelle relative alle città al 2003).
Notevole è stato, a partire dalla riunificazione, il fervore di rinnovamento delle città tedesche, e in modo del tutto particolare di Berlino. L'antica metropoli prussiana, dopo decenni di divisione, e per molti aspetti di depressione, è tornata a essere la capitale (pienamente solo nel 1999, quando ha ripreso a ospitare il Parlamento federale), ponendo, fra l'altro, il problema della riconversione delle funzioni di Bonn, città media che l'aveva a lungo surrogata, molto dignitosamente e nel complesso efficientemente. Nonostante la sua posizione lontana dalle aree economicamente più vitali del Paese e qualche problema politico-amministrativo posto dai rapporti con il Brandeburgo, dal cui territorio il Land urbano è totalmente circondato, Berlino, oltre che rinnovare il suo aspetto con il contributo di alcuni tra i maggiori architetti in campo mondiale, sta riconquistando una pluralità di funzioni urbane, soprattutto culturali, che ne fanno prevedere in un prossimo futuro la sua promozione a un ruolo di 'città globale' europea, non inferiore, anche se con differenti caratteristiche, a quello di Londra e di Parigi.
Condizioni economiche
La riunificazione, tenacemente perseguita e forse realizzata un po' frettolosamente, ha comportato dei costi notevoli che hanno posto problemi rilevanti alla G. e hanno rischiato di appannarne quell'immagine di 'gigante economico' che da tempo le viene attribuita. Tuttavia, il Paese continua a detenere saldamente il terzo posto nella graduatoria mondiale per quanto attiene al PIL globale (quasi 2800 miliardi di dollari nel 2005), vale a dire alle dimensioni assolute della sua economia, superato in ciò solo dagli Stati Uniti e dal Giappone. Inoltre, esaminando le statistiche del commercio con l'estero degli Stati delle varie macroaree economiche, è raro trovare Paesi che non intrattengano relazioni, e per lo più assai importanti, con la G., la quale dunque continua a rivelare una capacità di affermazione veramente notevole in tutti i mercati. Ovviamente, le relazioni più strette sono quelle con gli altri membri dell'Unione Europea, nell'ambito della quale l'economia tedesca ha assunto talora aspetti egemoni che non hanno mancato di suscitare preoccupazioni. Il crollo dell'Unione Sovietica e dei regimi socialisti dell'Europa orientale ha restituito alla G. un'influenza su aree che già in passato rientravano in un suo spazio economico e dove il suo peso diveniva decisivo. La parte determinante, e non priva di conseguenze nelle vicende balcaniche, svolta dalla G. nel riconoscimento dell'indipendenza della Slovenia e della Croazia, rientra in questo quadro ed è una manifestazione della crescita dell'importanza anche politica del Paese (v. sopra).
La ripartizione della forza lavoro tedesca nei tradizionali settori di attività economica denunciava nel 2004 un 2,3% appena per l'agricoltura, un 30,8% per le attività secondarie e un 66,9% per quelle terziarie. La percentuale relativa all'agricoltura è in linea con quanto si riscontra negli altri Paesi più avanzati d'Europa; altrettanto non può dirsi delle altre due cifre, un po' più alta quella relativa all'industria, alquanto più bassa quella del terziario, che dovrebbe sfiorare il 70%. Ciò non è dovuto tanto a un ritardo nel normale processo che porta dall'industrializzazione alla terziarizzazione, quanto piuttosto al fatto che in G., nazione europea dalla storia industriale brillante e complessa, le attività secondarie hanno subito riconversioni, conservando però la loro importanza. Se l'attività carbosiderurgica è pressoché scomparsa (valga per tutti l'esempio della Ruhr, una volta regione simbolo dell'industria tedesca, ormai spazio intelligentemente riqualificato utilizzando il ricco patrimonio storico-industriale a fini turistico-ricreativi e culturali), altre industrie prosperano, e sono proprio esse a conservare importanza alle esportazioni tedesche. Del resto, è significativo che il contributo percentuale dei tre settori al PIL, confrontato con la composizione della forza lavoro, denunci quote ancora più basse per l'agricoltura (1,1%) e l'industria (29,1%) e più alte per il terziario (69,8%).
Quanto al PIL per abitante (33.574 dollari nel 2005), la posizione della G., in genere oscillante intorno al decimo posto nel mondo, è di tutto rispetto, superata solo dagli Stati Uniti e da Paesi europei tradizionalmente 'ricchi' nei quali il reddito pro capite è sempre alto in ragione della modesta massa demografica, come quelli nordici e alpini.
Le attività agricole e zootecniche, all'inizio del 21° sec., nonostante la modestissima quota di popolazione assorbita e l'irrilevante contributo al PIL, continuano a spiccare per la modernità delle tecniche e le elevate rese unitarie: per alcune voci di particolare importanza (grano, patate, barbabietola da zucchero, suini), esse conservano, o addirittura migliorano, la loro posizione nella graduatoria mondiale. Le attività secondarie hanno subito un ridimensionamento minore di quello che si è potuto verificare nella maggior parte dei Paesi di più consolidata industrializzazione, ma il quadro generale è radicalmente mutato: sia dal punto di vista settoriale, per la netta diminuzione dell'incidenza delle industrie pesanti (metallurgiche, meccaniche, chimiche), in particolare di quelle fondate sul carbone, e dunque delle imprese estrattive di questo combustibile, ormai ridotte a poche unità, e della loro sostituzione con industrie leggere, in particolar modo di quelle farmaceutiche e degli strumenti di precisione; sia dal punto di vista territoriale, in relazione al processo, non tanto di delocalizzazione come abitualmente si sostiene, ma piuttosto di rilocalizzazione, vale a dire del trasferimento in altre aree (Länder orientali o addirittura Paesi esteri) nelle quali sia possibile realizzare notevoli risparmi nei costi, soprattutto relativi alla manodopera. Il settore terziario, infine, si articola in una vasta gamma di attività tra cui emergono quelle tanto più avanzate rispetto al terziario tradizionale da essere indicate piuttosto come quaternarie: attività genericamente direzionali (alta dirigenza politica, alta finanza, alta ricerca scientifica) che si distinguono per la loro rarità e per la loro concentrazione nell'ambiente urbano. In particolare, la ricerca scientifico-tecnica ha raggiunto livelli elevatissimi, favorita anche dalla ricettività nei riguardi delle innovazioni.
Una caratteristica peculiare e interessante dell'organizzazione economico-territoriale della G. è data dalla tendenza all'integrazione con altri Paesi. Indipendentemente dall'appartenenza all'Unione Europea e dal ruolo che essa vi svolge, la G. ha sperimentato una serie di accordi tra proprie regioni e regioni degli Stati limitrofi dando luogo a spazi economici transfrontalieri.
bibliografia
M. Loda, Nuovi assetti territoriali e politiche di sviluppo nelle regioni tedesco-orientali, in Rivista geografica italiana, 1997, 1, pp. 75-98.
M. Fuschi, Regione-città-innovazione: i 'nodi' del sistema territoriale germanico, in Rivista geografica italiana, 1999, 1, pp. 77-97.
A. Battaglia, Il bacino della Ruhr: recenti processi di rivalorizzazione territoriale, in Bollettino della Società geografica italiana, 2002, 7, pp. 677-79.
E. Kulke, Berlin. German capital and global city?, in Die Erde, 2003, 3, pp. 219-33.
C.M. Johnson, A.B. Murphy, German geopolitics in transition, in Eurasian geography and economics, 2004, 1, pp. 1-17.
A. Arangio, Tre settimane a Berlino. Appunti di geografia immediata, in Ambiente società territorio, 2006, 2, pp. 28-29.
Politica economica e finanziaria
di Giulia Nunziante
Durante i primi anni del 21° sec. la G. si trovò costretta a dare una risposta incisiva alle crescenti difficoltà del mercato interno, rese manifeste dalla flessione della produzione, dalla riduzione della domanda e dalla preoccupante crescita della disoccupazione. La politica economica realizzata dal governo in carica si scontrò in un primo momento con gli obblighi di salvaguardia e di consolidamento del quadro macroeconomico che erano stati sottoscritti contestualmente all'adesione all'Unione Europea; obblighi che richiamavano le autorità competenti ad assumere l'impegno di assicurare la stabilità dei prezzi e una sana politica di bilancio. Infatti, già nel 2001 il Paese non raggiunse l'obiettivo annunciato nel suo programma di stabilità, e a partire dal 2002 fece registrare un'incidenza del disavanzo pubblico sul PIL superiore al valore di riferimento consentito del 3%. A partire dal 2004 l'economia tedesca mostrò timidi segnali di uscita dalla stagnazione. Al dinamismo del mercato mondiale si aggiunse la sempre crescente competitività delle industrie esportatrici nazionali, che contribuì a invertire la tendenza. La politica economica adottata in quegli anni venne prevalentemente orientata a favorire l'incremento quantitativo nonché il miglioramento qualitativo dell'occupazione. Furono inoltre varate alcune importanti riforme strutturali volte ad assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche attraverso la razionalizzazione e il contenimento della spesa pubblica.
Sul mercato del lavoro gli effetti negativi di una crescita economica contenuta furono acuiti dall'elevato livello del costo dei fattori di produzione - attribuibile per larga parte al carico dei contributi - e dalla rigidità strutturale del mercato. Inoltre, una volta avviato il processo di riunificazione, le regioni orientali si adoperarono per vedersi assicurate le condizioni di lavoro - sia in termini di accordi salariali collettivi sia di benefici di natura sociale - riconosciute nei territori occidentali. In conseguenza di tale parificazione il costo del lavoro si innalzò, senza che si registrasse contemporaneamente una maggiore produttività della manodopera. Ciò causò una riduzione della domanda di lavoratori da parte delle imprese in una zona del Paese già fortemente gravata da alti tassi di disoccupazione. Quest'ultima colpì soprattutto le categorie lavorative considerate più vulnerabili (giovani, lavoratori non qualificati ecc.). Furono pertanto deliberate, in accordo con le principali organizzazioni sindacali e imprenditoriali, misure volte alla creazione di occupazione. In particolare, fu promossa una maggiore flessibilità sul mercato e disincentivata l'uscita anticipata dei lavoratori più anziani. Il governo federale, di comune intesa con alcune imprese del settore privato, si impegnò, a partire dal 2005, a offrire a qualsiasi giovane sotto i 25 anni che ne facesse richiesta uno stage di formazione professionale, un corso di addestramento o un'occupazione occasionale. La mobilità territoriale fu favorita con una legge promulgata nel 2003 e la deregolamentazione del lavoro temporaneo fu promossa nel 2004. La legislazione relativa alla cessazione del rapporto di lavoro fu resa meno gravosa per le imprese con più di dieci dipendenti, anche attraverso la contrazione dei costi di natura legale. I numerosi privilegi concessi a partire dagli anni Settanta ai disoccupati furono in parte rimossi. Infatti, lo Stato ridusse progressivamente il periodo durante il quale un disoccupato poteva usufruire di contributi statali, fino a portarlo a 18 mesi per chi aveva oltre 54 anni e a 12 mesi per i più giovani. Nel contempo fu varata una serie di provvedimenti volti a favorire l'inserimento nel mondo del lavoro delle persone in età avanzata. Fu inoltre avviata, sempre dal 2005, la razionalizzazione dei sostegni statali alle persone in cerca di occupazione, secondo uno schema che prevedeva la fusione dei contributi sociali e di quelli di disoccupazione. Venne riformato il sistema che presiedeva il collocamento e promossa la costituzione di job centers su tutto il territorio nazionale al fine di ridurre il tempo necessario per un efficiente incontro tra domanda e offerta di manodopera. Nei confronti dei numerosi vincoli che ancora minavano la flessibilità del mercato del lavoro furono avanzate diverse ipotesi di soluzione. In un Paese che rimaneva fortemente sindacalizzato, nonostante la graduale flessione degli anni precedenti nel numero dei lavoratori protetti da varie forme di contrattazione collettiva, vennero introdotte le prime forme di negoziazione individuale, anche se limitatamente ad alcuni aspetti del contratto di lavoro, e venne estesa la flessibilità nel campo della regolamentazione dell'orario lavorativo.
Dal 1999 al 2005 lo Stato varò una serie di provvedimenti orientati ad assicurare la riduzione progressiva della ingente pressione fiscale e a restituire dinamismo sia alle imprese produttrici sia al consumo da parte delle famiglie. La politica fiscale fu inoltre utilizzata come strumento per la tutela dell'ambiente e il contenimento dei consumi energetici. Sulla scia di un lento processo di risanamento dei conti pubblici, lo Stato realizzò importanti misure strutturali di riforma dei sistemi sanitario e previdenziale. Il richiamo a un maggiore controllo della spesa sia da parte degli utenti sia degli erogatori del servizio sanitario (strutture ospedaliere e medici), l'allargamento della possibilità di trattative selettive tra le strutture sanitarie pubbliche e i fondi assicurativi, la riduzione del ventaglio dei servizi offerti interamente a carico dello Stato avevano come obiettivo la riduzione della spesa pubblica senza tuttavia minare l'efficienza e la modernità del settore. La riforma del sistema previdenziale avviata nel 2004 assicurò il rallentamento della crescita delle pensioni anche a fronte del progressivo invecchiamento della popolazione. Già nel 2002 il governo aveva varato un complesso di norme finalizzate a promuovere la creazione di fondi pensionistici privati che tuttavia riscontrò limitati consensi tra i risparmiatori. Fu avviato il processo di graduale innalzamento dell'età pensionabile da 60 a 63 anni entro il 2008, mentre nel calcolo dell'importo della pensione fu inserito un parametro che legava la crescita del reddito dei pensionati anche alla struttura demografica della popolazione (v. .).
Furono anche portati a termine alcuni significativi passi per rafforzare la concorrenza e creare nuove imprese, in modo da preservare la capacità d'innovazione dell'economia e assicurare dinamismo sul mercato interno. In particolare, il governo federale avviò una stretta collaborazione con il mondo imprenditoriale, le istituzioni di ricerca e i sindacati al fine di promuovere l'innovazione e innalzare il livello tecnologico delle imprese. Furono offerte condizioni di finanziamento privilegiate alle piccole e medie imprese, semplificate e rese più trasparenti le pratiche burocratiche cui le imprese erano assoggettate. Le autorità di governo vararono inoltre alcuni provvedimenti di liberalizzazione e apertura alla concorrenza del settore energetico. Nel settore dell'artigianato furono soppressi gli obblighi di licenze per numerosi mestieri, e la liberalizzazione dei servizi professionali fu promossa da una legge che prevedeva l'esenzione per quattro anni delle nuove società dal pagamento dei contributi all'associazione professionale di appartenenza.
Seppure forte di una consolidata esperienza in materia di federalismo fiscale, la G. dovette far fronte al problema del difficile coordinamento tra le diverse istituzioni coinvolte nella scelta e nella realizzazione delle misure di politica fiscale. Un'importante risposta a tale problema fu data dal Patto di stabilità interno, promulgato nel 2002, il quale prevedeva l'attribuzione di maggiore responsabilità agli organi federali e regionali nel processo di risanamento dei conti pubblici. Gli enti locali, inoltre, portarono a compimento interventi significativi di autonomia nei confronti dell'amministrazione centrale, quali la differenziazione negli stipendi erogati e nei trattamenti previdenziali per i dipendenti pubblici. Tuttavia, il sussistere di un sistema di cofinanziamento degli organi centrali e locali impedì il pieno conseguimento di una totale e trasparente autonomia nella gestione decentrata dei fondi.
Storia
di Francesco Bartolini