Vedi GERASA dell'anno: 1960 - 1994
GERASA (v. vol. III, p. 840)
La conoscenza della città antica si è notevolmente arricchita in seguito a un'intensa attività di scavo, tutt'ora in corso, che vede in azione numerose équipes internazionali.
L'analisi dei risultati ha permesso di impostare su nuove basi la storia della città, dalla sua più antica occupazione sino al momento dell'abbandono, con un dibattito ancora aperto tra gli studiosi.
Sembra confermato che la prima occupazione, da porsi agli inizi del III millennio, sia stata determinata dalla presenza della sorgente di 'Ayn Karawan, nell'area nordoccidentale della successiva città romana. Sondaggi eseguiti in più punti, a SO, sulla collina detta Camp-Hill, hanno dimostrato l'occupazione di questo nuovo settore, apparentemente senza soluzione di continuità, dalla metà del II millennio fino all'VIII-VII sec. a.C., periodo in cui tutto il sito sembra essere stato abbandonato, secondo quanto già osservato negli studi precedenti.
Apparentemente, il periodo di massima espansione di questa lunga fase di occupazione è la prima Età del Ferro, fase cui vanno probabilmente riferite alcune tombe rinvenute all'esterno della porta meridionale e la probabile estensione dell'abitato sulla collina successivamente occupata dal Tempio di Zeus. È per il momento impossibile ricostruirne la tipologia, in quanto solo brandelli sono sopravvissuti alla massiccia attività di costruzioni di età romana e soprattutto bizantina. La conoscenza delle prime fasi della storia del sito è affidata alla ceramica, rinvenuta in gran quantità nei sondaggi recenti, che testimonia la partecipazione dell'insediamento alle vicende culturali della regione, ampiamente intesa per tutta l'Età del Bronzo, limitata all'area 'Ammān/Irbid per l'Età del Ferro.
Sia pure con perplessità e opposizioni si tende ora ad abbassare la cronologia dell'occupazione di età ellenistica, apparentemente non anteriore alla fine del II sec. a.C., oltre che a ipotizzare modi diversi di occupazione dello spazio, risultando ormai evidente la datazione a età imperiale dell'impianto urbano.
Quest'ultimo, non scindibile, evidentemente, dalla c.d. Piazza Ovale, non sembra essere anteriore alla fine del Ι-inizi del II sec. d.C.: in più punti dell'area urbana, infatti, sono venuti alla luce edifici e/o assi anteriori al reticolo ortogonale, con orientamenti sensibilmente differenti.
Sembra inoltre possibile sfumare il contrasto tra la presunta decadenza di III sec. e la ripresa dei secoli successivi, la cui importanza è comunque confermata nel quadro dello sviluppo regionale.
Infine, per quanto riguarda la fase relativa all'occupazione omayyade, è possibile rivalutarne entità e natura, grazie alla scoperta di un ricco quartiere di abitazione a Ν del «decumano meridionale», di numerose fornaci per ceramica in più parti della città, e, elementi politicamente più significativi, di una moschea, subito a Ν dei propilei del Santuario di Artemide, e di una zecca, testimoniata dal rinvenimento di alcune monete anteriori alla riforma di 'Abd al-Malik.
Sembra inoltre confermato che il terremoto registrato dalle fonti per l'anno 746-747 d.C. sia stato la causa determinante dell'abbandono della città; materiali successivi, risalenti al periodo mamelucco, hanno, per il momento, carattere estremamente sporadico, difficilmente collegabile a un'occupazione consistente.
Monumenti. - Per facilità di lettura si segue nella descrizione la distribuzione topografica degli edifici da S a N, secondo l'ordine già adottato da Kraeling.
Numerose tombe sono venute alla luce nell'area compresa tra la porta meridionale e l'Arco di Adriano, databili per lo più a età tardoromana e bizantina.
Si è precisata la storia dell'ippodromo, costruito a partire dalla metà del II sec. d.C. ed entrato in funzione agli inizi del III; seriamente danneggiato alla fine del IV, non fu più ricostruito, come dimostra lo smantellamento della parte S, e l'occupazione delle aree libere da detriti con fornaci per ceramica e con povere abitazioni; nelle immediate vicinanze fu fatta costruire una chiesa dal vescovo Mariano nel 570. Il recupero di una parte almeno dell'edificio alle sue funzioni originarie è tuttavia attestato, senza che sia possibile allo stato attuale darne una datazione precisa, da un grossolano muro semicircolare che separa la zona S da quella N. Che l'ippodromo fosse ancora in funzione nel 587, è dimostrato dall'importante scoperta, nei pressi del tell, di una casa identificabile come «Casa dei Blu» grazie all'iscrizione in un mosaico pavimentale, che ricorda, oltre al nome della fazione, anche la data di realizzazione.
I lavori eseguiti nell'area del Santuario di Zeus hanno permesso di constatare che le mura, erroneamente datate al I sec. d.C., sono viceversa da porsi, nello stato e con il perimetro conservato, agli inizi del IV sec. d.C., con un rifacimento alla fine dello stesso secolo.
Determinata evidentemente da una situazione di necessità, di cui sono probabile prova le tracce di incendio riconosciute nello strato sottostante, la costruzione della cinta ha espropriato, a S del Santuario di Zeus, una zona destinata apparentemente fino ad allora a piccoli commerci e attività artigianali.
Del santuario vero e proprio si è confermata l'antichità di occupazione, anteriore a quella di ogni altra area della città. Ne è stata altresì ricostruita la storia architettonica, contraddistinta da quattro grandi fasi. La più antica, anteriore alle imprese di Pompeo nella regione, senza che si possa precisare di quanto, è rappresentata da strutture individuate nella terrazza sottostante il tempio di età antonina, forse pertinenti a una torre-altare di tipo orientale, orientata a SE. Intorno alla metà del I sec. a.C., davanti all'altare, ma obliqua - probabilmente per sfruttare al massimo la collina - fu costruita una terrazza, in parte poggiante sul pendio naturale, in parte su sostruzioni.
Di un successivo, importante ingrandimento, reso possibile a Ν e a E dalla costruzione di un criptoportico, l'anno preciso è fornito da un'iscrizione datata al 27-28 d.C., che conserva anche il nome dell'architetto, Diodoro figlio di Zebsaos. La terrazza fu chiusa da una specie di porticato, decorato con semicolonne, capitelli e un fregio, di esecuzione visibilmente locale. All'ingresso originario, dal lato meridionale, ne fu aggiunto uno anche da N, e fu creata un'entrata monumentale sul lato E, preceduta da una rampa per superare il dislivello. Ancora un'iscrizione conserva il ricordo di un intervento successivo, con la costruzione di un tempio al posto dell'altare, nel 69-70 d.C. All'ultima fase, databile al 162-163 d.C., spetta la costruzione del tempio che sormonta perpendicolarmente la terrazza. L'accesso, mediante un'ampia scalinata in asse con la fronte dell'edificio, si presenta invece lievemente decentrato rispetto alla scalinata inferiore, probabilmente per salvaguardare il più antico tempio sulla terrazza inferiore.
Proseguendo lungo il c.d. cardo, si raggiunge, a breve distanza dal tetrapilo meridionale, un edificio di estremo interesse. Su un'area interessata da un'occupazione di tipo privato, non anteriore in ogni caso alla metà del II sec. a.C., contrariamente a quanto sostenuto in passato, si impiantò un macellum, caratterizzato da una pianta e da una decorazione particolarmente ricercate. L'edificio, come tutte le altre costruzioni che lo fiancheggiano, è preceduto, sul cardo, da un fronte monumentale di sedici colonne corinzie; ai lati dell'ingresso vi sono otto botteghe; l'interno, a pianta ottagonale, è delimitato da colonne che precedono, alternativamente, esedre e ambienti rettangolari; al centro era situata una fontana, ugualmente di forma ottagonale. L'edificio, la cui costruzione si fa iniziare, grazie a un'iscrizione, dal 125 d.C., ha subito alcuni rimaneggiamenti, che tuttavia non ne hanno alterato la struttura né, apparentemente, la funzione.
Le ricerche nella vasta area occupata dal Santuario di Artemide, oltre a precisare le caratteristiche architettoniche del complesso, in particolare per quanto riguarda la sistemazione dei Propilei e della fronte monumentale a botteghe, hanno evidenziato le profonde trasformazioni strutturali e funzionali del complesso, a partire con buona verosimiglianza dal corso del IV sec. d.C., di cui solo tracce erano state osservate negli scavi precedenti. La terrazza dell'altare, separata in origine da un dislivello di 7 m da quella del tempio, fu colmata con un massiccio riempimento e la scala monumentale ridotta di larghezza. L'ampia superficie così ottenuta fu destinata in un primo momento alla lavorazione dei marmi e delle pietre di cui si spogliava via via il santuario, per il riuso nella costruzione delle adiacenti chiese di S. Teodoro e cattedrale; successivamente, dal VI sec. e fino all'abbandono della città, fu occupata da un vero e proprio quartiere di ceramisti, installatisi sull'altare.
L'ultimo settore interessato da scavi sistematici è il «teatro settentrionale», in realtà un Odèion all'origine, di cui si sono identificate due fasi, databili rispettivamente al 165-166 la prima, tra il 225 e il 235 d.C. la seconda, in cui si attuò l'ampliamento della cavea. Nel corso del IV sec. l'area subì l'invasione di strutture utilitarie, che finirono con l'occupare anche il teatro stesso.
Dopo il terremoto del 561, che ne causò il crollo parziale, sulle rovine si installarono fornaci per ceramica, ancora attive al momento del terremoto dell'VIII secolo.
Gli scavi hanno permesso di ricostruire la sistemazione generale dell'area: dietro la scena un portico si inseriva in una via, anch'essa porticata, convenzionalmente denominata «decumano settentrionale». Verso O tale via giungeva sino al cardo; l'incrocio era sottolineato dal c.d. tetrapilo settentrionale, che contrassegna anche il passaggio dall'uso dell'ordine corinzio, legato al primo impianto dei portici, a quello ionico; apparentemente queste colonne non sono in situ. Sondaggi stratigrafici hanno dimostrato che anche questa parte del portico si data tra la fine del I e gli inizi del II sec. d.C., e non, come si era ritenuto finora, a età precedente.
Inoltre il «decumano settentrionale» non sembra continuare verso E, prova ulteriore della inattendibilità delle soluzioni in passato proposte. Va infine segnalata la scoperta di una nuova chiesa, che fa salire a quindici il numero di quelle note in città. Dedicata dal vescovo Isaia, la basilica era a tre navate, absidate, di cui la centrale aveva sistemazione a gradini per il coro, ed era riccamente decorata da mosaici, sia vegetali che figurati. Costruita probabilmente nel 559 d.C., costituisce un ulteriore esempio della vivacità culturale della regione.
Gli scavi sono ancora in corso (1994), così come lo studio dei materiali, compresi quelli epigrafici, particolarmente rilevanti; sono inoltre in atto importanti lavori di restauro soprattutto nell'area dei santuari di Zeus e di Artemide.
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(R. Pierobon-Benoit)