GERARDO
Non conosciamo le sue origini, né la sua data di nascita. Monaco cistercense di S. Severo in Classe (Storia di Ravenna, pp. 222, 271), nella seconda metà del 1169 fu eletto arcivescovo di Ravenna (come successore di Guido di Biandrate, scomparso il 9 luglio di quello stesso anno) e venne ordinato il 28 marzo 1170. Le notizie su G. sino a noi pervenute riguardano soprattutto l'attività da lui svolta nell'amministrazione dei beni temporali della sua Chiesa e i suoi rapporti con le istituzioni monastiche sottoposte alla sua giurisdizione. Mantenne buoni rapporti con i papi Alessandro III, Lucio III e Urbano III, che ebbero in lui un valido e leale collaboratore.
Da una lettera di Alessandro III, che ci è stata trasmessa senza la formula di datazione cronologica, apprendiamo che in data imprecisabile G. fu incaricato da quel pontefice di risolvere una vertenza in cui era coinvolta la potente abbazia di S. Apollinare in Classe. Di queste vicende sappiamo che G. adempì al suo mandato, giungendo a pronunziare un lodo, cui l'abate di S. Apollinare rifiutò di sottomettersi e contro il quale interpose appello presso la Sede apostolica.
Nel settembre 1177 G. si trovava a Venezia, dove presentò al papa le sue lamentele contro Guidone, abate di Pomposa, che aveva usurpato beni della Chiesa di Ravenna. Non ottenne risultati concreti poiché il papa preferì non intervenire, per il momento, nella vicenda. In quell'occasione si riaccese l'antico contrasto tra l'arcivescovo di Milano e quello di Ravenna per la precedenza nelle pubbliche cerimonie. L'8 ottobre G. ottenne da Alessandro III la conferma delle concessioni che la Sede apostolica aveva da tempo fatto alla sua Chiesa "in castro et comitatu de Bretonorio". L'anno successivo, venendo incontro alle sue lamentele, il pontefice incaricò Guglielmo Gosia di indagare sulla vertenza insorta tra G. e Pietro, priore di S. Maria di Vado, che deteneva con la forza in Fossalta beni della Chiesa ravennate.
G. prese parte al III concilio Lateranense (5-15 marzo 1179). Agli atti di questo concilio è allegata una lettera a lui indirizzata da Alessandro III, con la quale il pontefice lo delegava, "appellatione cessante", a comporre i dissensi delle monache di S. Margherita in Argenta sulla elezione della loro badessa.
Tra la fine dell'ottavo e l'inizio del nono decennio del secolo, G. ricevette dal papa l'ordine di risolvere le controversie sorte nel monastero di S. Maria "de Urano" (Forlimpopoli) in coincidenza con l'elezione del nuovo abate. Poiché quest'ultimo si rifiutò di obbedire alla sentenza pronunciata da G., il 15 maggio 1182 Lucio III, con una lettera da Velletri, ordinò a quella comunità di indurre l'abate a prestare, entro 40 giorni dal ricevimento della missiva, giuramento di fedeltà e obbedienza a G., secondo l'antica consuetudine, riformando in tal modo la concessione "pro tempore facta" da Alessandro III all'abate Placido. Il papa intimava inoltre ai monaci di consegnare i beni della Chiesa di Ravenna, da loro usurpati, al vescovo e al preposito di Feltre nonché al vescovo di Faenza. A questi ultimi Lucio III, inviò, il 21 maggio successivo, una lettera in cui comunicava loro le direttive sulla vicenda, che, tuttavia, risulta ancora aperta nell'estate, come risulta da una missiva del pontefice del 1° luglio.
G., il 4 ott. 1182 alla presenza dei consoli di Ravenna, giurò di mantenere la promessa di fedeltà per il possesso del feudo di Argenta. Poiché i monaci classensi avevano eccepito di essere stati esentati dalla giurisdizione della Chiesa ravennate dall'arcivescovo Gualtiero (c. 1124-44), G. si appellò al papa, il quale, il 20 marzo 1184, confermò la loro soggezione alla giurisdizione arcivescovile di Ravenna e ribadì che gli arcivescovi avevano il potere di conferma sulle elezioni abbaziali. Sempre Lucio III, a Verona, il 1° ag. 1184 alla presenza di Federico Barbarossa, rafforzò la posizione di G. confermando i privilegi goduti dai suoi predecessori: la concessione della mitra ai canonici e agli abati del territorio diocesano, la giurisdizione sulle chiese bolognesi e mantovane. In quell'occasione, inoltre, il papa intimò alla Comunità di Argenta di restituire alla Chiesa ravennate i beni che occupava illegittimamente. G. ebbe ulteriori difficoltà anche dai monasteri bolognesi maschili e femminili che si rifiutavano di corrispondergli gli onorari di procura. Il pontefice commise la soluzione della controversia a Enrico, cardinale vescovo di Albano, il quale, il 3 genn. 1185 diede ragione a Gerardo. Il pontefice approvò il giudicato, ma esentò i monasteri bolognesi di S. Bartolomeo e di S. Damiano: la decisione fu confermata il 23 marzo 1186 da Urbano III. Il nuovo pontefice, con decretale data a Verona il 22 genn. 1186 (1187), invitò i fedeli residenti nel territorio degli arcivescovati di Ravenna e di Ferrara a sovvenire i canonici regolari per la costruzione del campanile di S. Maria di Reno e di un ponte sul fiume Reno; con decretale del 20 febbr. 1186 (1187), data a Verona e indirizzata ai fedeli residenti nello stesso territorio di giurisdizione spirituale, concesse la remissione dei peccati a chi di loro avesse sovvenuto, con donazioni in danaro, i crociferi di Bologna ogni qualvolta questi ne avessero fatto richiesta. A tali religiosi - argomentava il papa - spettava infatti il compito di provvedere al sostentamento dei poveri. Questa concessione, che prevedeva la massima ampiezza di remissione della pena per i peccati condizionata a versamenti in danaro di non specificata quantità (ovviamente previa confessione sacramentale e pena assegnata dal confessore), è importante per la storia dell'indulgenza anche centenaria e giubilare.
Urbano III, il 27 maggio 1186 (1187), affidò a G. il compito di risolvere la vertenza tra il vescovo di Imola, da una parte, e, dall'altra, il priore e i monaci di Volcina e la badessa e le monache di S. Maria in Diaconia, per le chiese e i beni che avevano usurpato. Il pontefice, nello stesso giorno, su richiesta del vescovo di Imola, incaricò G. di costringere i monaci classensi a restituire la campana della chiesa imolese della quale si erano appropriati senza averne diritto. G. fu inoltre incaricato dallo stesso pontefice, il 3 giugno 1186 (1187), di comporre la controversia sui diritti parrocchiali tra alcune chiese imolesi e gli ospedalieri gerosolimitani e di costringerli a restituire al vescovo e ai canonici di Imola i beni dei quali si erano ingiustamente impossessati.
G. morì nel 1190 in Terrasanta, dove il papa lo aveva inviato al seguito dei crociati, come legato apostolico (Storia di Ravenna, p. 122).
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