GERARDO (Geraldo, Geroldo, Gherardo)
Nacque probabilmente a Ratisbona, in Baviera, nella prima metà dell'XI secolo. Ricevette la formazione culturale nella scuola dell'abbazia cittadina di S. Emmerano. Intorno al 1050 raggiunse il grado di magister. Dopo un viaggio compiuto a Roma nel 1063 insieme con Udalrico, arcidiacono di Frisinga, decise di professare il monachesimo a Cluny: a riceverlo in quella comunità fu Ugo. G. era gran priore di quel cenobio quando Alessandro II, per provvedere alla successione di Pier Damiani, tornato al suo eremo dell'Avellana, lo nominò cardinale vescovo di Ostia. Il papa lo inviò poi in qualità di legato apostolico, insieme con il suddiacono Raimbaldo, in Francia e nel Sud della Spagna per riordinare la vita del clero e comporre liti insorte tra enti ecclesiastici. I due legati presiedettero nel 1072 il concilio di Chalon-sur-Saône, nel quale condannarono la simonia e convalidarono le donazioni sin allora fatte al monastero di S. Romano a Mâcon. Passato nel Nord della Francia, presiedette concili convocati a Parigi per risolvere la controversia riguardante il possesso dei diritti del priorato di Craon (presso Angers), insorta tra i monaci di Saint-Aubin d'Angers e quelli della Trinité di Vendôme (Parigi). Non ebbe successo: la questione fu risolta infatti solo in un secondo tempo da Arralde, vescovo di Chartres. Passato dalla Guascogna in Spagna, ove Alessandro II aveva inviato il cardinale Ugo Candido, seguì la crociata organizzata da Ebulo, conte di Roucy. Il pontefice, per sostenere i cavalieri francesi che si erano uniti a Guglielmo VIII, duca di Aquitania, per vendicare Ramiro I, re d'Aragona (morto in battaglia contro gli Arabi) concesse loro la remissione della pena di tutti i peccati. Tale remissione costituisce forse il precedente più antico conosciuto della indulgenza proclamata da Urbano II nel concilio di Clermont del 1095 per la liberazione della Terrasanta, che però, stando a quell'"iter illud pro omni paenitentia computetur", appare sostitutiva della penitenza irrogata dal confessore.
G. e Raimbaldo intrattennero buoni rapporti con il re di Francia Filippo I: tanto che sottoscrissero un diploma per Saint-Martin-des-Champs (presso Parigi) relativo ad atti compiuti fin dal 1067.
Il nuovo papa Gregorio VII, sin dal principio del suo pontificato si preoccupò di proseguire la politica di rafforzamento dell'autorità della Sede apostolica iniziata da Niccolò II e continuata da Alessandro II: già il 30 apr. 1073 scrisse a G. e a Raimbaldo, per invitarli a mantenere i contatti con Ebulo; a ristabilire i rapporti tra il card. Ugo Candido e Ugo, abate di Cluny, che si erano interrotti per avere il cardinale favorito l'unione con Roma di molti monasteri cluniacensi; a preparare le norme sulle relazioni tra la Sede apostolica e la Spagna e a organizzare la crociata. Poco più di sei mesi dopo, forse perché riteneva che i due legati non si fossero troppo impegnati nei compiti loro affidati, nel novembre del 1073 li richiamò a Roma. G. non perdette la fiducia di Gregorio VII, come è dimostrato dal fatto che di lì a poco il papa lo scelse per una più grave e delicata missione. Lo inviò infatti in Germania con Uberto, vescovo di Palestrina. I due legati dovevano riconciliare Enrico IV con la Sede apostolica e indurre l'episcopato tedesco ad accettare la politica di riforma religiosa e morale del clero e del popolo cristiano propugnata dalla Sede apostolica. Enrico IV accolse bene i legati, ricevette l'assoluzione dalla scomunica papale e promise di aiutarli nella loro missione riformatrice (1074). Difficoltà incontrarono invece G. e il suo compagno nei loro contatti con l'episcopato tedesco: gli arcivescovi Sigfrido di Magonza e Liemaro di Brema non furono infatti i soli a opporsi ai legati sulla proposta di un concilio che accogliesse la legislazione riformatrice, come risulta dalle lettere scambiate col pontefice tra la fine del 1074 e il principio del 1075. La situazione non dovette in seguito cambiare di molto, se Bernoldo di Costanza con il suo Apologeticus tentò di continuare l'opera di G. dopo la partenza di quest'ultimo.
G. e il suo compagno, passati in Francia, presiedettero al principio del 1075, il concilio di Poitiers, nel quale, se si crede alla cronaca di Saint-Maixent (Fliche, p. 151), si presentò Berengario di Tours, che, già condannato nei concili di Angers del 1062 e di Roma del 1059, rischiò di essere linciato dalla folla. Conclusosi il concilio con la condanna di Berengario, G. rientrò a Roma insieme con Raimbaldo.
Apertosi (in seguito al decreto sulle investiture laicali di ecclesiastici e religiosi promulgato nel sinodo romano della quaresima del 1075) il confronto diretto tra il pontefice ed Enrico IV, G. rimase fedele a Gregorio VII e alla sua politica religiosa e svolse un ruolo determinante quale suo diretto collaboratore in tutte le fasi del conflitto. Seguì il pontefice quando questi, per sfuggire agli attentati degli avversari, cercò riparo a Canossa, sotto la protezione della duchessa di Toscana, Matilde, e nel gennaio del 1077 partecipò alle trattative tra Gregorio VII ed Enrico IV allorché il sovrano si presentò, nelle vesti di supplice penitente, sotto le mura del castello matildino; G. fu presente all'atto di sottomissione del re di Germania e, come testimone, appose la sua sottoscrizione al documento ufficiale allora redatto a memoria dell'avvenimento.
Nel febbraio dello stesso 1077 ricevette dal papa l'incarico di recarsi a Milano come legato apostolico, insieme con Anselmo da Baggio, vescovo di Lucca e monaco, per riconciliare con la Sede apostolica la città e la Chiesa ambrosiana dove si era determinata una situazione scismatica.
Conclusa la missione, sulla via del ritorno G. insieme con il suo collega fu arrestato da Dionigi, vescovo di Piacenza, partigiano di Enrico IV. Mentre Anselmo da Baggio, che apparteneva a potente famiglia milanese e godeva di molte simpatie negli ambienti lombardi, era stato subito liberato, G., al contrario, fu trattenuto più a lungo, non sappiamo quanto.
Morì, probabilmente a Velletri, il 6 dic. 1077.
Il suo corpo fu sepolto nella cattedrale di Velletri. Tale circostanza consente di avanzare l'ipotesi che G., quando scomparve, avesse in amministrazione anche la diocesi di Velletri, giacché per antica tradizione la sepoltura nella cattedrale era - ed è tuttora - riservata agli ordinari del luogo. Del resto, la diocesi suburbicaria di Velletri fu aggregata a quella di Ostia solo oltre settant'anni più tardi, nel 1150.
La fama delle sue buone opere e della santità della sua vita, subito diffusasi dopo la morte tra il popolo cristiano, non tardò a mutarsi in venerazione: del culto reso a G. in Velletri è testimonianza, tra l'altro, la cappella eretta accanto al campanile della cattedrale grazie a un cospicuo lascito, disposto per testamento nel 1395 da un Di Meoper. Il sarcofago di G. emerse nel 1656 tra le macerie del campanile abbattuto da un fulmine. Due eventi- la cessazione della peste, che infierì in Velletri dal giugno del 1656 al giugno del 1657, e la vittoria dei Veliterni sulle milizie di Onorato Caetani -, attribuiti dalla comunità all'intercessione di G., condussero alla costruzione di una nuova cappella, che venne realizzata tra il 1694 e il 1698 su progetto e sotto la direzione dell'architetto Francesco Fontana. Il card. Alderano Cibo, vescovo di Velletri, vi trasferì le spoglie di G. e fissò al 7 dicembre la celebrazione commemorativa, che uno dei suoi successori, il cardinale Enrico (II), duca di York, fissò, nel 1805, al 6 febbraio.
In un catalogo manoscritto di illustri cluniacensi compilato nel XVII sec. (Gazeau) sono ricordati tre santi di nome Gerardo appartenuti alla congregazione, ma è ricordato anche Gerardo cardinale vescovo di Ostia, senza il titolo di santo.
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