GERARDO
Originario di Lucca, figlio di Inghifredo di Cunimondo, detto Inghizo, e di Burga, della quale non è noto il casato, nacque nella seconda metà del X secolo; apparteneva a una cospicua famiglia proveniente dalla Garfagnana, i Soffredinghi di Anchiano, detentori di un vasto patrimonio sia in Garfagnana, sia nella piana a nord di Lucca e già destinatari di livelli da parte del vescovado lucchese.
G. è identificabile con il Gerardo levita ("diacono"), che il 29 nov. 984 da Teudegrimo, vescovo di Lucca, ottenne in livello con quattro distinti documenti: un quarto dei beni della pieve di Marlia nella Valdiserchio a nord di Lucca e alcuni redditi dovuti dagli abitanti dei villaggi da quella dipendenti; i redditi dei villaggi dipendenti dalla pieve di Elici in Versilia; un totale di 24 cascine ("case et res") in varie località circostanti Lucca. Il censo annuo dovuto per tali concessioni ammontava alla rilevante cifra di 23 soldi. Uno di questi livelli era concesso unitamente a G. e a Cuniperga della Cuniza del fu Leone Giudice: costei, in un'epoca in cui il matrimonio del clero era ancora considerato legittimo, era certamente la moglie di Gerardo. Cuniperga apparteneva a una delle più importanti famiglie lucchesi, quella detta appunto di Leone Giudice, che ebbe tra i suoi membri importanti esponenti della vita politica e religiosa cittadina: fratello di Cuniperga era Ambrogio, abate del monastero cittadino di S. Ponziano restaurato da Willa, la madre di Ugo marchese di Toscana. In due degli atti redatti nel 984 si prospetta che eredi del livello possano essere i figli e le figlie del concessionario: G. dunque aveva dei figli, o pensava di averne in futuro. Non è però nota l'eventuale prole di G., che, come allora avveniva per i figli di chierici sposati, era identificata con il matronimico.
G. fu elevato alla cattedra episcopale lucchese presumibilmente nel c0rso del 990, dal momento che il suo predecessore Isalfredo è testimoniato fino al 12 dic. 989 e la prima attestazione documentaria dell'episcopato di G. risale al 21 genn. 991, allorché a Lucca concesse in livello beni della Chiesa vescovile. L'elezione di G. fu verosimilmente promossa dal marchese Ugo, con il quale G. durante il suo episcopato intrattenne stretti legami.
La vasta documentazione relativa al suo episcopato illustra soprattutto gli aspetti economici della gestione del patrimonio ecclesiastico e non presenta differenze con l'analoga attività dei suoi predecessori. La grande maggioranza degli atti consiste in livelli, generalmente concessi a non lavoratori e riguardanti proprietà, anche di notevole entità, dell'episcopato e delle chiese da esso dipendenti: tra questi, particolare importanza hanno quelli relativi ai patrimoni delle chiese battesimali, comprendenti anche le decime e le offerte provenienti dagli abitanti dei villaggi del territorio dipendente dalle singole pievi. I concessionari appartenevano a diverse classi sociali (fra i contraenti compaiono anche due ebrei: un "Canonimus quondam Iudae" e un "Samuel quondam Isaac", cfr. Memorie e documenti, IV, 2, n. 81), ma i livelli più consistenti erano concessi a importanti casate laiche della città e del territorio, tra le quali possiamo citare la famiglia di Leone Giudice, i Fralminghi, gli stessi Soffredinghi di Anchiano, i visconti di Corvaia, i Rolandinghi di Loppia, i conti Della Gherardesca e le casate dei cosiddetti domini di Valiano, di San Miniato e quelli da Maona e da Castiglione in Garfagnana. Anche l'officiatura delle chiese era assicurata attraverso la concessione di livelli a ecclesiastici: solo in un caso ci è pervenuto un vero atto d'istituzione canonica da parte di G., assistito dai canonici della cattedrale, di un prete nella pieve dei Ss. Salvatore, Frediano e Giovanni Battista di Mozzano in Garfagnana.
Benché i censi - in danaro - corrisposti per le concessioni livellarie non fossero di grande entità, rappresentavano tuttavia in totale un ragguardevole introito per la Chiesa lucchese, che poteva così procurarsi redditi facilmente riscuotibili da un patrimonio che - per la sua dispersione in un vasto ambito territoriale comprendente la diocesi e largamente esteso al di là dei suoi confini - avrebbe altrimenti richiesto uno sforzo finanziario e amministrativo enorme. In tal modo il vescovo garantiva la coltivazione e l'occupazione stabile delle terre e inoltre, attraverso le concessioni di livelli a importanti casate della città e del territorio, si assicurava una rete di fedeli e di alleati. In modo analogo, poiché la professione ecclesiastica si trasmetteva allora facilmente da padre a figlio, il presule garantiva la continuità nelle chiese e sulle terre ecclesiastiche. Un piccolo numero di documenti si riferisce infine a permute di proprietà tra G. e varie persone, alcune anche di rilievo, al fine dichiarato di migliorare il patrimonio ecclesiastico.
I rapporti tra il presule e i suoi livellari davano talvolta luogo a forme di contenzioso, testimoniate da due eventi. Il 1° luglio 997 G. nella corte dei visconti di Corvaia, davanti ad alcuni giudici imperiali, si dichiarò pronto a ricevere garanzie in relazione a un atto emesso a favore di Cunimondo detto Cunizo del fu Sigifredo per il castello di Corfiliana e a due livelli concessi a Sismondo del fu Sismondo per la pieve di Gallicano, ma quest'ultimo si rifiutò di procedere. Non sappiamo come la questione sia stata risolta. Alcuni anni più tardi, il 7 ag. 1001, G. ottenne dal giudice Leone la promessa di aiuto nella vertenza giudiziaria che intendeva promuovere contro Farolfo, fratello dello stesso giudice, per la concessione in livello di proprietà della pieve di Vorno al padre di Farolfo e Leone, livello che lo stesso G. aveva rinnovato al solo Farolfo. Evidentemente, G. intendeva revocare o almeno modificare quel livello, per un motivo a noi sconosciuto. Leone, forse perché avrebbe potuto rivendicare una quota del livello già concesso al padre, s'impegnò anche a non aiutare il proprio fratello contro il presule. E infatti, una volta conclusa la vertenza, il 16 nov. 1001 G. rinnovò a Farolfo il livello solo di metà dei beni della pieve: forse l'altra metà era andata a Leone.
Due soli atti, tra quelli pervenuti, riguardano gli interessi personali di G. e non il suo ufficio di vescovo. Risalgono ambedue al 996: nel primo, dell'8 febbraio, G. donò alla propria Chiesa vescovile, per l'anima del marchese Ugo e per quelle dei propri genitori, la sua curtis di Sestinga - presso Vetulonia nella Maremma grossetana - con il castello e la chiesa di S. Maria. Con il secondo, del 31 ottobre, egli ricevette in livello per 20 soldi l'anno dal conte Gerardo del fu Ildebrando della casata degli Aldobrandeschi metà di due curtes, una a Marlia con la chiesa di S. Terenzio, l'altra a Barga con il castello e la chiesa di S. Vito, località ove si concentravano gli interessi della famiglia cui G. apparteneva.
Dopo la morte, avvenuta a breve distanza di tempo (1001 e 1002 rispettivamente), del marchese Ugo e dell'imperatore Ottone III, nella lotta per la corona tra Arduino d'Ivrea ed Enrico di Sassonia G. condivise la scelta della famiglia di Leone Giudice e della città di Lucca a favore di Arduino: infatti, l'unico diploma concesso da Arduino re d'Italia a un ente toscano fu quello inviato da Pavia il 22 ag. 1002 ad Alperga, badessa del monastero femminile di S. Salvatore "Brisciano" di Lucca, la quale era stata benedetta e insediata da G. poco più di un mese prima, il 13 luglio 1002.
Al 21 giugno 1003 risale l'ultima attestazione di G., ancora una volta la concessione di un livello di beni della Chiesa lucchese. Il suo successore Rodilando compare solo il 14 maggio 1005: probabilmente i turbamenti politici di quegli anni allungarono i tempi per l'elezione e la consacrazione del nuovo vescovo.
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