GERARDO (Geraldus, Giraldus)
Nacque, probabilmente in Lombardia, intorno al 1150. Non è noto il nome dei suoi genitori né il monastero in cui prese i voti. Non oltre il 1182 succedette all'abate Gregorio, di cui si hanno notizie tra il 1170 e il 1177, alla guida del monastero dei Ss. Giovanni e Paolo a Casamari nei pressi di Frosinone.
G. era nipote di quel Gerardo che dal 1158 al 1171 in qualità di abate di Fossanova completò l'integrazione del monastero nell'Ordine cistercense, prima di divenire, nel 1171, il quinto successore di Bernardo di Chiaravalle alla guida dell'abbazia di Cîteaux e di portarne a termine la canonizzazione nel 1174. Nel 1176 o nel 1177, durante una visita al monastero di Igny, nella diocesi di Reims, fu ucciso da un monaco ribelle e fu considerato quindi il primo martire dell'Ordine. L'origine lombarda è stata attribuita a G. perché suo zio, secondo la maggior parte delle fonti, era nato in Lombardia.
Negli anni 1182-88, G. incontrò tra i monaci gli amici che dovevano influenzare le sue idee religiose. Come notaio lo servì Luca (morto nel 1227), in seguito abate di Sambucina e dal 1203 arcivescovo di Cosenza. In quel periodo Gioacchino da Fiore, allora abate di Corazzo, lavorò a Casamari all'interpretazione delle Sacre Scritture, aiutato proprio da Luca in qualità di scrivano. La reciproca consonanza spirituale con G., che Gioacchino loda nei suoi scritti, non fu intaccata neanche dopo l'abbandono dell'Ordine da parte del monaco calabrese. Anche l'amicizia che legò G. a Ranieri di Ponza (morto tra il 1207 e il 1209), il monaco confessore di Innocenzo III, può essere ricondotta a questo periodo, sebbene le testimonianze su di essa siano posteriori.
Come abate, negli anni tra il 1183 e il 1188, G. si oppose ai nobili signori di Civita d'Antino, i quali rivendicavano ingiustamente un diritto di patronato sulla chiesa di S. Maria de Pertuso, sui monti Simbruini, che papa Lucio III nel 1181 aveva assegnato al monastero di Casamari. G. portò la questione dinanzi ai giustizieri e poi dinanzi ai familiari del re di Sicilia, i quali a loro volta fecero pronunciare il giudizio definitivo, favorevole all'abbazia, dai vescovi di Aquino, Sora e Veroli.
Tra l'aprile 1184 e il maggio 1188 G. ottenne regolarmente da Lucio III, Urbano III e Clemente III privilegi di protezione per il suo monastero, ma anche aiuto per il recupero di beni che gli erano stati sottratti. Papa Celestino III, nel 1192, inviò l'abate sostenuto con tanto favore dai suoi predecessori all'imperatore Enrico VI, a Hagenau, per trattare la pace tra l'Impero e il Regno di Sicilia. L'imperatore si rifiutò tuttavia di aderire alle proposte, finché il Regno fosse "proditorie occupatum".
Sebbene fosse abate di un'istituzione monastica che si trovava fuori del territorio del Regno, G. ottenne un numero incredibilmente alto di concessioni dai sovrani siciliani. Nella primavera 1193 Tancredi concesse a G. il privilegio della libera circolazione delle merci, rinnovato da Guglielmo III nel giugno 1194. L'imperatore Enrico VI, che dopo il primo incontro del 1192 aveva qualificato G. come "providum et nobis dilectum", proseguì nella politica degli ultimi sovrani normanni e, alla fine del settembre 1194, estese l'esenzione dai dazi di cui godeva il monastero e aggiunse ulteriori diritti di pascolo. La regina Costanza d'Altavilla, che elogiò a sua volta la fedeltà di G., si mostrò, stando i privilegi emanati nel dicembre 1195, sostenitrice ancora più generosa confermando anche successivamente i diritti concessi dai suoi predecessori.
Nel corso del suo abbaziato la cerchia delle filiazioni cistercensi da Casamari si allargò con i monasteri di S. Galgano, presso Siena, di Sambucina, ricostruito dopo il grande terremoto del 1184, e di La Matina, in Calabria, così come pure quello di S. Maria del Sagittario, nella diocesi di Anglona. Dato che questi monasteri fondarono a loro volta altri insediamenti in Calabria e in Sicilia, Casamari, al pari di Fossanova, acquisì una funzione chiave per la diffusione e la coesione interna dell'Ordine nell'Italia meridionale. Il capitolo generale ribadì l'autorità di G., dato che ricorse alla sua mediazione soprattutto a proposito di riforme e di misure disciplinari. Innocenzo III non solo ne giustificò l'assenza al capitolo generale di Cîteaux, ma nel 1198 dirottò sull'abbazia di Casamari, quale monastero "guida", l'iniziativa del conte Roberto da Lecce di affidare una chiesa e un monastero presso Ginosa ai cistercensi.
Dal 1202 G. progettò la ricostruzione del monastero e della chiesa. La prima testimonianza è una donazione fatta a Ferentino "ad fabricam monasterii". Il 6 maggio 1203 posò la prima pietra, benedetta da Innocenzo III su richiesta di Ranieri di Ponza. La consacrazione della chiesa, uno dei capolavori della prima architettura gotica cistercense nel Lazio conservatasi fino ai nostri giorni, fu celebrata da Onorio III nel settembre 1217, quando G. era morto da poco tempo.
In occasione del capitolo generale tenutosi nell'autunno 1202 G. fu inviato presso Innocenzo III per chiedere il parere del pontefice a proposito di tributi reclamati da parte di feudatari laici. Innocenzo III a sua volta, sempre nel 1202, scelse G. per un'ambasceria (una simile quattro anni prima era stata affidata a un cardinale) consegnandogli anche, al momento di partire, una lettera redatta il 22 nov. 1202, con la quale tentava di attenuare le tensioni tra Arnaldo abate di Cîteaux e gli altri abati dei monasteri cistercensi della Borgogna che richiedevano di partecipare alle decisioni riguardanti la locale vita monastica. All'esortazione del pontefice si unì anche Ranieri di Ponza, il quale, in una lettera recapitata anch'essa da G., impiegò l'autorità che godeva nell'Ordine cistercense per evitare una crisi da lui temuta.
Come nunzio pontificio, G. ebbe l'incarico di pacificare il conflitto scoppiato di nuovo nel 1202 tra Filippo Augusto di Francia e Giovanni Senzaterra d'Inghilterra per il possesso della Normandia, o almeno di neutralizzarlo con una tregua, così da non compromettere la crociata e non indebolire la posizione del papa nella lotta per il trono in Germania. Sebbene G., giunto nel luglio 1203 in Normandia, avesse condotto intense trattative facendo la spola tra i due paesi, la sua missione fallì su tutta la linea. Il sovrano francese, in un'assemblea che si tenne a Mantes nell'agosto 1203 e alla quale fu presente anche G., si assicurò il sostegno dell'alta nobiltà feudale e dei vescovi, poiché concentrò la disputa sullo ius feudale, escludendo in tal modo l'intervento del papa. Innocenzo III dal canto suo nell'ottobre 1203 reagì riaffermando al contrario la sua competenza ratione peccati e da questa derivò il diritto di incaricare G. e l'arcivescovo Guglielmo di Bourges di condurre un'inchiesta contro il re. Quando G., al sinodo di Meaux, alla fine di giugno 1204, presentò ai vescovi la bolla pontificia Novit ille e tentò di convincerli della necessità di scomunicare il re, che persisteva nelle sue posizioni, questi si appellarono al papa sottraendo la questione dalle mani di G., che quello stesso anno ritornò in Italia
Anche le altre pratiche che gli erano state affidate si rivelarono insolubili. Re Giovanni d'Inghilterra non restituì la dote della regina vedova Berengaria; Filippo Augusto si rifiutò di ristabilire nei suoi diritti la moglie Ingeborg di Danimarca, la quale poco prima dell'arrivo di G. si era rivolta al papa con una lettera disperata.
Nell'autunno 1204 G. e il cappellano pontificio Niccolò, su incarico del capitolo generale, dovettero presentare un reclamo a Innocenzo III, per evitare che il pontefice imponesse ai monasteri persone incapaci, come evidentemente era accaduto in diverse occasioni. Non sappiamo se l'iniziativa di un nobile Roberto di fondare un nuovo monastero, sostenuta nel 1206 da G., sia andata in porto. Quando Ranieri di Ponza tra il 1207 e il 1209 morì, Ugolino cardinale vescovo di Ostia indirizzò la sua lunga lettera di condoglianze anche a G., considerandolo un compagno di strada per tanti anni del defunto.
Nel settembre 1208 G. ricevette da re Federico un nuovo grosso privilegio di protezione, mentre nell'aprile 1209 ottenne anche terreni a Cuma e diritti di pascolo a Cancello. Fu G. a riferire al papa dei miracoli verificatisi a Veroli dopo il rinvenimento, nel giugno di quell'anno, dei resti di s. Maria Salome. In alcune versioni del Liber miraculorum di Erberto di Clairvaux, diffuso nell'Ordine cistercense, la lettera di G. è posta all'inizio del testo, ma è probabile che vi sia stata aggiunta in un secondo momento e non sia stato G. a rielaborare lo scritto del confratello (Griesser, 1947).
La Cronica del monaco cistercense Alberico delle Tre Fontane recita all'anno 1211 che "abbatem Geraldum fecit summus pontifex in archiepiscopum Regensem in Apulia". Sebbene la data 1211 non concordi in generale con le altre promozioni vescovili di cui si parla nel medesimo passo della Cronica e il monastero di G. non sia indicato, la testimonianza contiene un preciso indizio che G. nel 1211, forse già nel 1210, fu creato da Innocenzo III arcivescovo di Reggio Calabria. Il collegamento tra G. arcivescovo di Reggio e il monastero di Casamari è testimoniato dagli statuti del capitolo generale che nel settembre 1217 concordava sulla "petitio conventus Casemarie super anniversario domini archiepiscopi Reginae et fratris Renerii faciendo", testimonianza, questa, della memoria che si conservava a Casamari della collaborazione fra G. e Ranieri di Ponza.
Come arcivescovo di Reggio Calabria, G., verso il 1213-14, fu in corrispondenza con Gualtiero vescovo di Catania, allora cancelliere del Regno. Quando Cipriano, abate di S. Nicola di Calamizzi presso Reggio, morì in fama di santità, G. concesse ai monaci il permesso di seppellire la salma nella loro chiesa, anche contro il dichiarato volere dello stesso Cipriano e partecipò di persona alle esequie, mostrando così la sua apertura verso i fedeli greci della sua diocesi. Nel novembre 1215 G. si recò a Roma in occasione del concilio Lateranense; qui vide forse per l'ultima volta Innocenzo III, che in precedenza gli aveva ancora affidato diversi incarichi.
Quando Onorio III, su denuncia dell'arcivescovo di Messina, Berardo, nell'ottobre 1216 ammonì il conte tedesco Hermann e il nobile siciliano Simon Fimetta di Lentini a causa dei loro soprusi sul castello di Mandanici, di proprietà della Chiesa, fu dato a G. l'incarico di procedere contro gli usurpatori con punizioni spirituali. Evidentemente, in Curia si pensava che egli fosse ancora in carica, ma, a causa dell'età avanzata, G. in quello stesso periodo si rivolse al papa per essere sollevato dal suo ufficio e potersi ritirare in un monastero. Il pontefice acconsentì al suo desiderio con una lettera che fu poi inserita nella raccolta epistolare che circolò sotto il nome di Marino da Eboli.
G. morì poco dopo, visto che a Casamari la sua morte era nota già prima del settembre 1217 e l'anniversario era stato celebrato dalla comunità dei monaci. Negli anni successivi la sua attività cadde tuttavia rapidamente in oblio, anche nel monastero pontino, tanto che le sue opere furono attribuite fin quasi ai nostri giorni ad altri abati, talvolta addirittura immaginari.
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