GERARDO da Siena
Nacque da una nobile famiglia di Siena verso la fine del XIII secolo; scarsissime sono le notizie che possediamo su di lui. Entrato giovane nell'Ordine agostiniano, mostrò una precoce disposizione agli studi e venne presto inviato a Parigi per completare il suo curriculum scolastico. A Parigi ebbe molto probabilmente modo di seguire i corsi di Egidio Romano. Di fatto, la dottrina di Egidio segnò fortemente il giovane G., che rimase sempre sostanzialmente fedele agli insegnamenti del maestro, al punto di essere considerato uno dei suoi più fedeli discepoli. Tale posizione lo portò ad attaccare le dottrine più vicine allo scotismo di Alessandro Fassitelli (Alessandro da Sant'Elpidio), maestro e generale dell'Ordine dal 1312 al 1326; e fu proprio Alessandro a richiamarlo da Parigi in Italia per insegnare nelle scuole dell'Ordine a Bologna e a Siena. Alla morte di Alessandro il suo successore Guglielmo Amidani di Cremona, assai meglio disposto nei confronti di G., gli consentì di tornare a Parigi, dove era sicuramente nel marzo 1327 con la qualifica di baccelliere presso la facoltà di teologia. Ancora a Parigi lo troviamo nel 1329, quando intervenne al capitolo generale dell'Ordine in qualità di definitore della provincia di Siena, e nel maggio 1330, quando compare nei registri dell'università parigina come maestro reggente. In questi anni ottenne sicuramente la carica di maestro in teologia, giacché in tale veste intervenne al capitolo generale dell'Ordine tenutosi a Venezia nel 1330.
G. morì nel 1336.
Appare priva di fondamento, come rilevato da Trapp (1956), la leggenda della palma dottorale deposta sulla sua tomba quale tardivo omaggio alla sua scienza; l'episodio, tramandato dalle fonti antiche, sembrerebbe piuttosto da riferirsi al confratello e concittadino Michele di Massa, personaggio effettivamente piuttosto isolato all'interno dell'Ordine dopo la morte di Alessandro da Sant'Elpidio, a causa delle sue posizioni dottrinali considerate ormai eccentriche rispetto alla linea ufficiale.
Le biografie antiche attribuiscono a G. una lunga lista di opere, non tutte riconosciute come autentiche dalla critica più recente. La più importante è il commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, del quale rimangono il commento ai primi due libri, cui sarebbe da aggiungere qualche frammento del terzo (Clark). Il primo libro è stato edito a Padova nel 1598 (In primum librum Sententiarum doctissime quaestiones), del secondo è stata pubblicata un'unica quaestio (D. Gutierrez, Magistri Gerardi Senensis… Articulus de reali distinctione inter esse et essentiam, in Analecta augustiniana, XXI [1950], pp. 266-281; per i manoscritti cfr. Stegmüller).
L'opera, composta certamente dopo il 1327, è preceduta da un lungo prologo, nel quale G. affronta il problema della natura della teologia. Dopo aver passato in rassegna le opinioni di quanti hanno dibattuto il problema della scientificità della teologia (Tommaso d'Aquino, Duns Scoto, Enrico di Gand, Goffredo di Fontaines), G. conclude, in linea con la posizione di Egidio Romano, che non si può parlare di scienza se non in senso lato: la teologia non può essere considerata una scienza subalterna alla scienza divina, né possiede il grado di certezza delle scienze umane, anche se, in virtù dell'oggetto di cui si occupa, si configura come la forma più alta di conoscenza umana, si avvale di strumenti più retorici che dimostrativi e non aggiunge alla certezza della fede altro che la possibilità di rimuovere le disposizioni contrarie. Né speculativa né pratica, la teologia è dunque eminentemente affettiva, e il suo fine specifico è, secondo l'insegnamento di Egidio, la carità. L'intera opera appare fortemente improntata alla dottrina di Egidio Romano, nei confronti del quale G. manifesta a più riprese grande ammirazione; ed è in nome di una difesa a oltranza delle posizioni egidiane che G. non esita ad attaccare le dottrine sostenute all'interno dell'Ordine da Alessandro da Sant'Elpidio, Giacomo da Viterbo e Michele di Massa. Ma l'obiettivo principale delle sue critiche è costituito dalle dottrine del francescano Pietro Aureolo, tramite il quale G. finisce spesso per scagliarsi contro le posizioni scotiste.
G. è anche autore di un quodlibet, conservato in due manoscritti (Roma, Bibl. Angelica, 625, cc. 185-209; Monaco, Bayerische Staatsbibl., Clm. 26309, cc. 224-227, incompleto) e oggetto di tre edizioni (Viterbo 1587 e Bologna 1626 e 1671). Secondo le indicazioni del manoscritto romano, esso sarebbe stato sostenuto a Parigi, e sarebbe quindi databile intorno al 1330.
L'indice del Glorieux, basato sull'edizione di Viterbo, elenca diciotto questioni, che vertono principalmente sulla natura divina e sulla creazione dell'universo, sulla conoscenza umana, sull'anima e il corpo; alcune delle questioni sono omesse sia dall'edizione bolognese, che ne comprende solo dieci, sia dai manoscritti posseduti; le ultime quattro questioni, in particolare, riguardanti l'usura vengono considerate come trattatelli a parte.
G. è noto per essere stato l'autore di un importante Tractatus de usuris et prescritionibus; questo trattato è stato a lungo confuso con il De usuris et restitutionibus, attribuito a G. - pubblicato a Roma nel 1560, nonché in appendice al Quodlibet nelle edizioni di Viterbo e Bologna -, opera invece del francescano Pietro di Giovanni Olivi (Pierre Olieu). L'autentico Tractatus de usuris di G. è stato pubblicato a Cesena nel 1630 (pp. 165-255) unitamente a un Secundum quodlibet attribuito dal curatore Angelo Vanci a G., ma, come rilevato dagli studi di Denifle e Cuyás, opera di Jacques de Pamiers. Oltre all'edizione a stampa, che omette però alcune questioni, il Tractatus di G. è conservato per intero nel già ricordato manoscritto romano (cc. 209-225; alle cc. 158-185 si trova invece il Secundum quodlibet di Jacques de Pamiers) e nel ms. S.58 sup. della Bibl. Ambrosiana di Milano, cc. 12-59.
Il trattato sarebbe il frutto di due quaestiones quodlibetales discusse a Parigi (secondo le indicazioni del manoscritto romano) o nello Studio senese (secondo il manoscritto ambrosiano). Di particolare interesse si rivela la quaestio de praescriptione, argomento solitamente affrontato dai canonisti piuttosto che dai teologi, ma nel quale G. dimostra una cultura giuridica eccezionale, tanto da far ipotizzare un possibile periodo di studi di diritto a Bologna. Di fatto, già dalla metà del XIV secolo il testo di G. godette di una notevole considerazione presso i canonisti e viene citato con ammirazione da Giovanni d'Andrea, che ne fornisce un'ampia sintesi (Ioannes Andreae, In titulum de regulis iuris novella commentaria, Venetiis 1681, cc. 58r-62r). La quaestio de usura è a sua volta suddivisa in due parti: la prima affronta in termini generali il problema della definizione e dell'illegittimità del fenomeno usurario; in essa G., riprendendo gli argomenti tradizionalmente impiegati per definire la natura viziosa dell'usura, si sofferma in particolare sul problema della sterilità del denaro. La sua analisi, per molti versi originale, rappresenta un tentativo di fondare le argomentazioni contro l'usura su un unico principio, sviluppando fino alle estreme conseguenze l'idea di legge naturale. La seconda parte della quaestio analizza dettagliatamente la variegata casistica della restituzione.
Di G. è noto anche un Tractatus super erroribus begardorum et beghinarum conservato manoscritto (Milano, Bibl. Ambrosiana, S.58 sup., cc. 87-96; Olomouc, Statni archiv, ms. 385). G. vi illustra gli otto errori dei begardi, così come sono elencati nel decreto Ad nostrum del concilio di Vienne (1311-12, decreto in seguito confluito nella raccolta di costituzioni di papa Clemente V più nota con il nome di Clementinae: c. 3, Clem., V, 3) individuandone le connessioni reciproche e il fondamento unitario nel primo di essi, ossia nella convinzione che l'uomo possa raggiungere perfezione e beatitudine già nel corso della vita terrena. G. non si limita a respingere come erronea tale opinione, ma contesta in dettaglio tutte le conseguenze che essa comporta, e cioè il rifiuto da parte dei begardi di sottostare a tutta una serie di norme etico-religiose (digiuno, obbedienza, osservanza delle virtù) in nome di una presunta libertà di spirito. Il manoscritto ambrosiano contiene inoltre (cc. 1-11) una serie di quaestiones, disputate nello Studio senese e inviate al vescovo di Siena, sul problema utrum bona pauperum soli diocesano liceat dispensare in quocumque casu secundum suum arbitrium. G. ha scritto un trattato De principio individuationis di cui rimangono solo alcuni frammenti (cfr. Zumkeller). Non è invece opera sua, ma di Gerardo Odone (Guiral Ot), il trattatello incompiuto intitolato Figurae Bibliae, conservato nel ms. Palat. 142 della Bibl. apost. Vaticana, cc. 1-27.
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