GERARDO da Bologna
Nacque a Bologna in una anno imprecisato, che le più antiche biografie collocano tra il 1240 e il 1255.
Incerta è anche la data del suo ingresso nell'Ordine carmelitano, dove fu assegnato alla provincia bolognese, che in seguito fu chiamata romana. Le fonti dicono assai poco della sua personalità, limitandosi a segnalare uno stile di vita particolarmente parco, ma non privo di grande generosità, e una straordinaria passione per lo studio. Di fatto, fu uno dei primi carmelitani a frequentare l'università; studiò intorno al 1270 a Parigi, dove ebbe modo di ascoltare i più importanti dottori dell'epoca: Egidio Romano, Enrico di Gand, Goffredo di Fontaines. Sempre a Parigi divenne, nel 1295, dottore in teologia e tenne l'insegnamento allo Studio, per un periodo che può essere approssimativamente collocato fra il 1305 e il 1308. Fu certamente il primo maestro carmelitano di un certo rilievo, se non il primo in assoluto, a occupare tale carica, come attestano molti biografi. La testimonianza del suo impegno universitario è affidata non solo alle numerose quaestiones quodlibetali pervenuteci, ma anche alla cospicua presenza della sua figura come oppositore nelle quaestiones di Erveo Natale.
Nel 1297 al capitolo di Bruges fu eletto priore dei carmelitani. L'importante posizione occupata gli consentì di attuare il progetto che più gli stava a cuore, e cioè lo sviluppo degli studi nell'Ordine carmelitano, che fino a quel momento aveva privilegiato la vita contemplativa e l'impegno apostolico. Nello stesso capitolo che lo eleggeva generale promulgò l'ordinamento per gli studenti di Parigi; due anni dopo, il 1° maggio 1299, ottenne da Bonifacio VIII il convento di S. Martino ai Monti in Roma e vi fondò lo Studio dell'Ordine carmelitano aggregato alla Curia romana, destinato pochi anni dopo a trasferirsi ad Avignone al seguito della corte papale.
Gli scarsi documenti in nostro possesso attestano soprattutto l'impegno di G. nell'amministrazione dell'Ordine, ma l'attenzione alle vicende interne non gli impedì di intervenire anche in alcune importanti decisioni di carattere ecclesiologico e dogmatico. Nel 1299 presiedette il capitolo di Firenze e ottenne da Bonifacio VIII una bolla che, dichiarando inapplicabile all'Ordine carmelitano il decreto del concilio Lateranense sui nuovi ordini religiosi, metteva a tacere definitivamente i violenti attacchi degli altri ordini. Nello stesso anno assicurò al Carmelo bolognese una preziosa reliquia proveniente da Colonia. Nel 1303 dovette affrontare la questione più spinosa della sua carriera, procedendo a una divisione della provincia inglese, con la separazione dell'Irlanda; la decisione fu duramente avversata da parecchi frati inglesi, capeggiati dal provinciale Guglielmo Ludlyngton, e, nonostante l'intervento del pontefice, il decretum Gerardi fu definitivamente accettato solo nel 1321, diversi anni dopo la sua morte. Nel 1306, in occasione del capitolo di Tolosa, fece raccogliere in un volume le costituzioni dell'Ordine. Nel 1308 fu tra i maestri dello Studium di Parigi interpellati dal re di Francia Filippo il Bello sulla politica da adottare nei confronti dei templari.
Nel 1309 ottenne per l'Ordine un ulteriore privilegio sanzionato da una bolla papale che vietava agli altri ordini mendicanti di costruire conventi troppo vicini a quelli carmelitani, e nello stesso anno presiedette il capitolo generale di Genova, nel quale fu stabilito che i provinciali dovessero visitare ogni anno i conventi per reprimere eventuali abusi. L'11 aprile di quell'anno fece parte della commissione di 21 teologi che aveva il compito di esaminare l'opera di Margherita Porète, Les mirouer des simples âmes amantes…; la commissione dichiarò all'unanimità il libro eretico e ne ordinò la distruzione. Nel 1311 fu uno dei teologi consultati sul problema della povertà che divideva l'Ordine francescano e fece parte della commissione incaricata di esaminare le opere di Pietro di Giovanni Olivi. Nel 1312, mentre partecipava al concilio di Vienne, si tenne a Londra il capitolo generale dell'ordine: il cardinale Berengario Frédol inviò una lettera in cui esaltava le qualità di G. e ne elogiava in particolare l'impegno nel promuovere gli studi, invitando i padri capitolari a riconfermarlo anche in sua assenza nella carica di generale. Rieletto, G. mantenne la carica fino alla fine della sua vita. Poco prima di morire, nel 1317, ottenne per i carmelitani un altro importante privilegio, una bolla di papa Giovanni XXII che esimeva cose e persone dell'Ordine da ogni giurisdizione che non fosse quella papale; G. ne fece fare più copie e le distribuì nei diversi conventi.
Il 17 apr. 1317 si spense ad Avignone, dove fu sepolto; nel 1624 le sue ossa furono deposte nel sarcofago del confratello Guido Terrena, anch'egli maestro di teologia a Parigi e suo successore alla guida dell'Ordine.
Delle molte opere che la tradizione gli ha attribuito possono essere identificate e ritenute sicuramente autentiche soltanto le Quaestiones quodlibetales, le Quaestiones ordinariae, e la Summa.
I cinque Quodlibeta pervenutici sono frutto delle dispute tenutesi, probabilmente nel corso del 1307, all'Università di Parigi, a eccezione del quodlibet V (riportato solo dal ms. II.II.280 della Bibl. nazionale di Firenze.) che contiene un riferimento esplicito ad Avignone come luogo della disputa. I quodlibeta toccano, come è ovvio per questo tipo di letteratura, i problemi più disparati riguardo Dio e le creature; tra i temi trattati: l'analogia dell'essere, rispetto al quale G. si schiera su posizioni tomiste in opposizione a Scoto; l'unità delle forme, anche per quanto riguarda l'uomo; il concetto di bene che egli identifica con quello di appetibile; il problema degli universali, dove, pur non negandone l'oggettività, G., in linea con Guido Terrena ed Erveo Natale sostiene che conoscenza perfetta è solo quella dell'individuale; la dottrina dell'anima e delle sue facoltà, dove discute a lungo le opinioni di Aristotele e di Averroè, ma anche di Tommaso d'Aquino e di Egidio Romano.
Le Quaestiones ordinariae affrontano invece in maniera organica il tema delle virtù intellettuali e delle virtù teologali; anche su questo argomento G. appare spesso esitante a prendere una posizione precisa, ma sembra muoversi per lo più sulla scia di Goffredo di Fontaines, prendendo le distanze da Tommaso d'Aquino. Per la tradizione manoscritta e per l'indice completo sia dei Quodlibeta sia delle Quaestiones ordinariae cfr. Glorieux, 1933, pp. 1925-35 e Xiberta, 1931, pp. 80-87, con le precisazioni di Clarck, pp. 110-112. Alcune Quaestiones quodlibetales sono state edite, sia pure in forma provvisoria, nei seguenti contributi: J. Leclercq, Le magistère du prédicateur au XIIIe siècle, in Archives d'histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge, XXI (1946), pp. 124-127 (quodlib. II, q. 17: "Utrum melius sit predicare et facere contrarium eius qui predicat quam omnino tacere"); A. Samaritani, De beatae Virginis Immaculatae conceptione "Quodlibet" XIII-XIV saec.…, in Marian Library Studies, V (1973), pp. 729-835; S. Brown, Gerard of Bologna's Quodlibet I quaestio I: on the analogy of being, in Carmelus, XXXI (1984), pp. 143-170 ("Utrum aliquid secundum unam et eandem rationem possit dici de Deo et creatura"); S.D. Dumont, Theology as a science and Duns Scotus's distinction between intuitive and abstractive cognition, in Speculum, LXIV (1989), p. 595 (quodlib. II, q. 6: "Utrum angelus ex hoc quod cognoscit alium intuitive sit certus quod ille existat").
L'opera più importante di G. è la Summa notabilis, composta verso la fine della sua vita, rimasta incompiuta e conservata in due manoscritti (Bibl. apost. Vaticana, Borghes. lat. 27; Oxford, Merton Coll., 194). L'indice delle singole quaestiones è stato pubblicato da Xiberta, 1923, pp. 16-23, e sono state edite le prime tredici quaestiones (De Vooght, 1954, pp. 265-487, qu. I-XII; Xiberta, 1955, qu. XIII). L'opera è preceduta da un prologo, nel quale G. dichiara le motivazioni che lo hanno spinto a comporre la Summa e gli obbiettivi che si propone: dopo aver constatato che spesso la scienza teologica si traduce in una moltiplicazione di questioni inutili e in una rassegna di posizioni diverse, per lo più noiose per chi legge, G. espone la propria intenzione di eliminare ogni inutile complicazione e di affrontare in maniera chiara e adeguata i singoli soggetti, cercando di ricondurre a unità le sparse opinioni espresse dai diversi autori. Tale operazione, non nuova nel campo della teologia, si rifà di fatto a due grandi modelli: quello di Enrico di Gand per i preamboli della teologia e quello di Tommaso d'Aquino per l'impianto della Summa.
Le prime dodici questioni infatti trattano, sulla scia della Summa di Enrico di Gand, natura, metodo, oggetto e fine della teologia; G. segue piuttosto fedelmente la struttura del discorso di Enrico e spesso ne riporta le opinioni, anche se talvolta afferma con decisione la propria posizione, dissentendo apertamente dalle soluzioni da lui proposte. In tal modo arriva a concludere che la teologia non è una scienza, non è unitaria, non è certa e non può essere illuminata altro che dalla fede. Per quanto riguarda il metodo, G. tende a ridimensionare l'uso della ragione, prendendo le distanze dall'intellettualismo di Enrico e rivendicando, secondo la più genuina ispirazione agostiniana, il ruolo dell'autorità e la subordinazione delle scienze umane alla teologia. Per contro converge perfettamente con Enrico nel riconoscere la centralità della Scrittura nell'elaborazione teologica, ma, a differenza di lui, non opera alcuna contrapposizione tra Scrittura e Chiesa, entrambe depositarie di un'unica fede, e, in linea con la dottrina tradizionale, tende a sottolineare con forza il ruolo dell'autorità ecclesiastica nell'interpretazione della Scrittura medesima. Se nelle questioni introduttive della Summa G., semplificando e sintetizzando le ampie discussioni di Enrico di Gand, fornisce una sorta di compendio e di messa a punto della riflessione scolastica del secolo precedente, nello sviluppo dell'opera si rifà invece piuttosto fedelmente al modello di Tommaso d'Aquino; G. infatti, seguendo la triplice scansione della Summa tomista, si propone di articolare la materia teologica in tre parti, che trattano rispettivamente di Dio e del suo rapporto con le creature, del ritorno della creatura razionale a Dio, del Cristo attraverso il quale tale ritorno è possibile. In realtà la Summa di G. si limita a sviluppare solo la prima parte del progetto e si arresta nel pieno della discussione sui problemi della Trinità. Le questioni affrontate riproducono pressoché nello stesso ordine i temi trattati da Tommaso, affrontando la dimostrazione dell'esistenza di Dio e passando in rassegna le sue prerogative (semplicità, unità, perfezione, bontà, infinità, ubiquità, immutabilità, eternità, scienza, volontà e potenza), per passare poi all'analisi delle relazioni interne alla divinità e ai rapporti di filiazione e di processione che si instaurano all'interno della Trinità. Anche nel contenuto delle singole dottrine G. appare spesso schierato su posizioni tomiste, anche se non mancano spunti critici o dichiarazioni di divergenze. In realtà G. non appare portatore di un proprio sistema dottrinale, e, al di là di una convergenza di fondo con l'intellettualismo di Goffredo di Fontaines, non sembra aderire ad alcuna specifica posizione, ma si limita per lo più a operare un'efficace sintesi delle diverse dottrine, che riporta sempre fedelmente, e rispetto alle quali si astiene (qualche volta dichiaratamente) dal prendere posizione. In tal senso G. appare uno dei più significativi rappresentanti di quella tendenza all'eclettismo che caratterizza la scuola carmelitana. Di fatto nelle sue opere non mancano, accanto alle citazioni dei Padri (Agostino soprattutto, al quale riconosce un'autorità indiscussa in campo teologico, ma anche Ambrogio, Gerolamo, Gregorio, Giovanni Crisostomo, Boezio, lo Pseudo Dionigi, Giovanni Damasceno) ampi riferimenti alle dottrine aristoteliche, specialmente nel campo delle realtà naturali, e ai due commentatori Avicenna e Averroè tra i quali non sembra manifestare preferenze; ma è soprattutto ai "moderni" che G. riconosce il merito di aver promosso gli studi di filosofia e di teologia e a essi tributa volentieri il suo riconoscimento: se Tommaso gli appare maestro per eccellenza, grandi sono ai suoi occhi anche Egidio Romano, Goffredo di Fontaines, Giovanni Duns Scoto, dei quali pure contesta alcune specifiche posizioni, mentre più apertamente polemico si manifesta verso Enrico di Gand.
G. compose certamente numerosi sermoni, giacché le biografie riferiscono di un'intensa ed efficace opera di predicazione, ma finora non ne è stato ritrovato alcun manoscritto. Scrisse anche delle questioni De principiis, alle quali fa esplicito riferimento nella Summa, ma che allo stato attuale non sono state ritrovate. Non esistono invece tracce di un commento alle Sentenze di Pietro Lombardo che a più riprese gli è stato attribuito: l'edizione Venezia 1622 segnalata dallo Hurter è opera di Michele da Bologna e il frammento contenuto nel ms. 63 del Balliol College di Oxford, sembra da attribuirsi piuttosto a Gerardo da Siena. Recentemente è stata riproposta da F. Santi, sulla base di argomentazioni plausibili, l'attribuzione a G. di una Expositio super Apocalipsi, spesso attirbuita ad Arnaldo da Villanova.
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