CAGAPESTO (Cacapisti, Pesto, Pisti), Gerardo
Gli storici milanesi e lombardi non si sono finora occupati della famiglia Cagapesto, conosciuta e citata soltanto per la figura e l'attività di Gerardo.
In verità, le fonti in nostro possesso ricordano solo indirettamente alcuni dei suoi componenti, né è sempre possibile stabilire i rapporti di parentela che intercorrono tra essi. Tuttavia, questo gruppo familiare può presentare, in primo luogo, un certo interesse ai fini dell'analisi della composizione della società milanese nell'età del Comune consolare; e, in un secondo momento, consentirci di fare un poco di luce sulla realtà politica e sociale delle fazioni milanesi che facevano capo ai Della Torre e ai Visconti. Il silenzio degli storici e dei cronisti più antichi nei confronti della famiglia Cagapesto è già un segno dell'ostracismo che doveva gravare su di essa. Soltanto il Fagnani vi accenna brevemente, ma, a differenza di quanto dice per altre famiglie che probabilmente avevano avuto origine analoga (Cagarana, Cagalenti, Caimbasilica), delle quali rammenta l'antichità e la nobiltà, afferma che "Cagapistarum familiam Mediolani… ignobilem nemini fere ambiguum est". La forma più comune assunta dal nome è quella di "Cagapistus": di qui, a nostro avviso, l'opportunità di usare la dizione "Cagapesto", in luogo di "Cacapisti". La famiglia apparteneva senza dubbio al ceto dei cives, il terzo in ordine d'importanza nella Milano comunale (primi erano i capitanei, secondi i valvassori), in quanto proprio il nome col quale era conosciuta (benché non se ne sappia l'origine ed il significato) sembra escludere una qualsiasi provenienza dalla feudalità anche minore.
Abbiamo potuto rilevare dai documenti che quasi tutti i personaggi citati lungo l'intero arco del periodo considerato sono giudici o notai: si può quindi affermare che i Cagapesto facessero parte del ceto dei giurisperiti, i quali acquistarono assai presto importanza nell'ambito cittadino, per antiche tradizioni di scuola e di cultura, entrando così a far parte del gruppo di governo. A questo ceto accedevano spesso, secondo quanto si è finora accertato, anche coloro che, piccoli proprietari terrieri o livellari arricchitisi di grandi enti ecclesiastici, intendevano lasciare la terra (di cui non cedevano però il possesso e che facevano coltivare a dei rustici), per raggiungere un certo prestigio politico all'interno della città. Le consuetudini lombarde (Lattes, p. 171) conferivano inoltre ai giudici il diritto di sedere ipso iure tra i sapientes, in virtù della specifica preparazione professionale, assai utile in un momento di mutamenti sociali e politici come era quello della formazione del primo Comune. I Cagapesto abitavano nel sestiere milanese di porta Nuova, ed appartenevano alla parrocchia di S. Martino in Nosiggia, chiesa ora scomparsa. A questa zona sembra corrispondesse, dopo il 1212, il secondo consolato di giustizia, che comprendeva il suburbio cittadino delle porte Nuova ed Orientale e, nel contado. il territorio ad oriente del Lambro, verso il fiume Adda (Vimercate, Oreno, Osnago, Missaglia, Borgo di Terzo, ora in provincia di Bergamo, Melzo, Vimodrone: Atti, p. LXIX), una zona in cui, come vedremo, lo stesso C. aveva alcune proprietà. Di questo consolato fanno spesso parte i membri della famiglia ricordati nei documenti. Si tratta di una presenza abbastanza costante a partire dalla metà del secolo XII fino ai primi anni del secolo XIII. Poi, come rileva anche qualche storico, la famiglia rimase sempre più nell'ombra per circa un cinquantennio, e riapparve nella vita politica nella seconda metà del Duecento. All'epoca del C., o poco più tardi, sono ricordati, oltre ai suoi figli Alberto e Guidotto, e al piccolo Rogirino (Atti, doc. n. CLIX), un Andreotto, notaio nel 1150 (un altro, con lo stesso nome, appare nel 1190); Pedrocco (1174); Guerra, Guifredotto e Pietro di ser Litulfo (1188); Ottobello (1200); Ranerio (1218-1229); Iacopo (1223). Si tratta per lo più di giudici e di notai, che assumono a volte il consolato di giustizia milanese, come Ottobello, Ranerio, Iacopo, e forse anche il più tardo Marchisio (1243) (Giulini, III, p. 751; IV, pp. 128, 250, 280, 319, 409). Un altro Gerardo è console di giustizia, per la città, a Genova nel 1241 (Bartholomei Scribae Annales, ad annum).
Se dell'attività svolta dalla maggior parte delle persone suaccennate non abbiamo notizie, di Iacopo e Marchisio (i quali sono ricordati dalle fonti col cognome abbreviato di "Pisto") sappiamo invece che avevano fatto parte, in due momenti successivi (1223 e 1243), di speciali uffici istituiti dal Comune di Milano per curare i propri interessi di carattere finanziario, e per dare esecuzione a quell'estimo generale il cui progetto si trascinava fin dal 1211 (Giulini, IV, p. 280; Biscaro, pp. 360 s., 387). Iacopo fa parte di una commissione che era stata nominata da Pace di Minerbio per ordinare le dissestate finanze del Comune, ma la cui azione andrebbe studiata in un più ampio contesto sociale, specie nei confronti dei rapporti intercorsi tra i gruppi cittadini dei capitanei, della Motta e della Credenza di S. Ambrogio, ai quali si può appunto riallacciare, nei suoi diversi aspetti, la politica fiscale milanese. Marchisio è mensurator per il territorio di porta Nuova e sua faggia, assieme con Alberto da Conte, con due milites e con due notai (è da sottolineare la composizione di questa commissione), e quindi addetto ad una delle fasi più delicate della rilevazione dell'estimo, quella che stabiliva l'ampiezza delle proprietà da tassare, e consentiva quindi, se lasciata all'arbitrio di una o dell'altra delle parti cittadine, soprusi di ogni tipo ed un'errata valutazione della realtà fiscale del Comune. Maggiore importanza riveste la figura di Manfredo, giurista, appartenente alla fazione dei Torriani, che compare dapprima, assieme ad altri sei della famiglia, tra coloro che erano stati scelti a giurare nel 1266 la pace con la Chiesa romana, in rappresentanza del sestiere di porta Nuova e della parrocchia di S. Martino in Nosiggia. Il Ratti, che ha rinvenuto il documento relativo a questo atto nell'Archivio Segreto Vaticano e l'ha pubblicato, ritiene che Manfredo non partecipasse a questo giuramento; secondo noi, è invece da riconoscere nel primo personaggio elencato nella lista della sua parrocchia col nome di "Maifredus de Capisto"; gli altri, Montano, Raneiro, Stefano, Girardino, Gaspare e Gualterio (Ratti, A Milano…, p. 219), compaiono invece col nome di "Cagapistus". Manfredo era stato, nel 1265, vicario di Filippo Della Torre, podestà di Bergamo; ora è incluso tra coloro che garantiscono gli impegni presi da Milano e dalla S. Sede per ristabilire la pace in Lombardia, turbata dagli accesi contrasti tra clero e classe dirigente, che duravano dagli inizi del secolo, e che avevano le loro raffici nella composizione della stessa società milanese.
Nel 1270 Manfredo è vicario di Napo Della Torre a Novara e ne rimane il ricordo nel libro sesto degli Statuta Civitatis Novariae.Nel 1274, con Iacopo di Lantelmo Cagapesto, notaio, Manfredo è inviato quale procuratore di Rainiondo Della Torre, patriarca di Aquileia dal 21 dic. 1273, a Cividale del Friuli. A Milano, dove dal 1262 era arcivescovo eletto Ottone Visconti, la precaria situazione dei Della Torre e della fazione da essi capitanata, presidio della Sede romana in Lombardia contro il prepotere e le velleità autonomistiche del clero maggiore ambrosiano legato all'alta feudalità spesso da vincoli di sangue e, sempre, da interessi, provoca una vera emigrazione di persone e famiglie milanesi politicamente compromesse, che si recano, al seguito del patriarca aquileiese, in Friuli, in cerca di nuove sistemazioni e fortune. Tra essi anche i Cagapesto, e forse a questa nuova residenza si deve la loro scomparsa dalla scena politica milanese. Non abbiamo più alcuna notizia di loro fino al 1336, anno in cui compare un notaio Lantelmo, che roga un atto d'investitura di beni compiuta dalla chiesa di S. Stefano in Nosiggia. Poi, di nuovo silenzio fino al 1447. In quest'anno, come ricorda il Fagnani, un "Iohannes de Cagapistis" era eletto, al momento della proclamazione della Repubblica ambrosiana, nel Consiglio generale della città, in rappresentanza, con altri cospicui cittadini della porta Nuova, sempre per la parrocchia di S. Martino in Nosiggia. Sono trascorsi molti anni, ma la residenza della famiglia pare essere ancora nello stesso luogo, in cui la trovammo alla metà del sec. XII, e, come già nel passato, i Cagapesto sembrano comparire nella vita politica quando ne escono i Visconti.
Per quanto concerne il C., la figura senza dubbio più rappresentativa della famiglia, anche perché il suo ricordo è tenuto vivo da un discreto numero di documenti e di testimonianze, non conosciamo né il luogo né la data della nascita e non sappiamo nulla di lui, finché non lo troviamo, nel 1141 (Atti, n. VI), già console del Comune di Milano. Nello stesso anno compare in un altro documento (ibid., n. VII): non è indicata la famiglia, ma la qualifica di "causidicus"che accompagna il suo nome può far ragionevolmente pensare a lui; inoltre appaiono al suo fianco altri personaggi che anche in seguito gli saranno spesso compagni negli uffici di governo della città: i giudici Stefanardo e Robasacco. Tre anni dopo, il C. è di nuovo console; con lui vi sono almeno tre cives (Arduino Cagainosa, Ottobello da Lodi, Robasacco) e quattro feudali (Martino della Croce, Goslino Pagano, Manfredo da Soresina, Anselmo Borri). A scadenze fisse (che potrebbero essere imposte dalle norme che regolavano l'avvicendamento delle famiglie cosiddette "consolari" nelle cariche di governo), egli accede ancora al consolato: negli anni 1150, 1152, 1154, 1160, 1167 e 1168, 1170, 1172, 1174, 1176, 1178, 1180. Sottoscrive poi, come console del Comune delegato alla giustizia, alcune sentenze nel 1154, 1170, 1172, 1174, 1176, 1180, alternandosi negli altri anni con Arderico de Bonate, Arialdo da Baggio, Azzo Ciceranus, Ottone Zendadario. La data della sua morte non è nota, ma un documento del 20 maggio 1188 (Atti, n. CLIX), rogato a Milano, riporta le disposizioni per la divisione dei suoi beni tra i figli Alberto e Guidotto, maggiorenni, e il minore Rogirino; la necessità di salvaguardare gli interessi di quest'ultimo è la ragione che chiama in causa i consoli del Comune, che ripartiscono le proprietà. Nel documento sono però indicate solo alcune delle località in cui si trovava il patrimonio immobiliare del C. (le altre sono lasciate ad un generico "in aliis locis"): Lisciate, Truccazzano, Garbagnate, lungo il Rivofreddo (ora Bariana); Morsenchio, un casale nelle vicinanze della città (press'a poco nella zona odierna di Linate). Quelle nominate sono forse le proprietà più cospicue e sono raggruppate in tre zone: quella di Liscate e dintorni nel contado milanese tra Lambro e Adda, ricca di acque e di marcite, dove erano anche le grandi proprietà di importanti famiglie e di enti milanesi (ad esempio, i da Brivio e l'Ospedale del Brolo, uno dei maggiori della città); quella di Saronno e dintorni, dove si trovavano i beni del monastero e dell'Ospedale di S. Ambrogio; e infine, nella faggia di porta Romana, lungo un'importante via di traffico. Altre proprietà di Maffeo e Litulfo Cagapesto sono documentate nel 1271 a Burago, località non lontana da Desio, nella quale anche i Della Torre hanno numerosi beni, parte in proprietà e parte come livellari del monastero milanese di S. Radegonda.
Tra il 1167 ed il 1170 il cognome "Cagapesto" si modifica, per quanto concerne il C., in "Pesto" o "Pisto" (Atti, nn. LXV, LXXV s., LXXX, XCI-XCIII, XCV, CI, CIII, CXV-CXIX, CXXII, CLIX). Tale modifica non si riscontra però anche per tutti gli altri familiari citati nelle fonti milanesi. Sembrano far eccezione Iacopo (1223), Ranerio (1223-1229) e Marchisio ricordati dal Giulini come "da Pisto" o "Pisto".
Il C. esplica la sua attività, come membro del governo del Comune di Milano, nel periodo in cui, sotto la spinta dei contrasti con Federico I, si definiscono le autonomie cittadine e si stabiliscono le norme consuetudinarie che, a complemento della "lex imperii", formano la base dei diritti particolari delle singole città. Egli appare più volte tra i rappresentanti milanesi che stipulano trattati con i Comuni finitimi (ad esempio, nel 1168 con Lodi e con Alessandria); è delegato dalla "Societas Lombardorum", con i consoli rappresentanti Brescia e Verona, per la stipulazione della convenzione tra la "Societas" stessa e il Barbarossa, nel 1175; nel 1177 presta giuramento nella pace di Venezia e in quell'occasione pronunzia anche un discorso, che ci è noto attraverso il Chronicon di Romualdo Salernitano. Presenzia inoltre, quale console di giustizia, a numerose vertenze che coinvolgevano gli interessi di grandi enti ecclesiastici milanesi e lombardi. Il 20 sett. 1170, nel pubblico arengo (Atti, n. LXXV), i consoli di Milano fissavano le norme che dovevano regolare i rapporti tra i "domini" e i "rustici" nelle signorie fondiarie del contado. La fuoruscita e l'allontanamento dalla città delle grandi famiglie, a seguito della distruzione operata da Federico I, avevano sconvolto a favore dei coloni i rapporti consuetudinari, che andavano pertantoripristinati. Il C., che è tra gli estensori delle norme, pronuncia in quell'occasione un discorso, che però non ci è rimasto. Il tenore delle deliberazioni, quale appare dal documento succitato, è tuttavia sufficiente ad illuminarci sulla situazione. Le suddette norme rientrarono più tardi nel Liber consuetudinum Mediolani, lo statuto milanese più antico in nostro possesso. All'apparente liberalità delle disposizioni che non consentono al "dominus" di pretendere "superimpositiones" dai coloni, proteggendoli inoltre da arbitrarie spoliazioni, fanno riscontro le condizioni di sudditanza dei rustici nei confronti del "dominus" stesso, e quindi la riconferma del "dominatus loci" e del relativo "districtus", che in pratica toglieva qualsiasi autonomia alle popolazioni del contado, sottraendole inoltre al controllo del Comune.
L'attività politica del C. e quella di giurisperito (spesso affiancate, come abbiamo visto) sono attestate, oltre che dai documenti succitati, da un Consilium procontroversiis quibusdam Ecclesiae Veronensis del 1148, ricordato dal Giulini (III, p. 369) e pubblicato dall'Ughelli e dalle glosse apposte alla compilazione del Libri feudorum, fatta dal giudice, suo compagno di consolato, Oberto dell'Orto, con aggiunte anche di un altro giurisperito e console, Stefanardo. Del C. sarebbero infatti, secondo il Besta, la prima delle sigle ("G." relative ai diversi glossatori che si sono succeduti nel tempo, e le note aggiunte alla prima redazione, in particolare al titoli XXV, XXVIII, XXX, XXXII, XXXIV, XXXVI del secondo libro. Tratte in genere da quaestiones e da consilia, esse concemono per lo più problemi di alienazione e di eredità dei feudi in Lombardia e rillettono, pertanto la dottrina feudale di queste zone, formatasi nel tempo attraverso le consuetudini particolari e giunta a compimento nel contrasto con l'Impero, nell'età appunto del Barbarossa. L'ampio respiro della giurisprudenza milanese del sec. XII nell'interpretazione delle costituzioni imperiali in materia feudale chiarisce la struttura patrimoniale del feudo lombardo, ed assume pertanto importanza di primo piano per la comprensione dello sviluppo della società milanese, fattasi presto egemone di tutta la regione. Del C. parla già Ottone di Frisinga, chiamandolo però GirardusNiger (una persona di tale nome, Guglielmo Negro, è console invece a Genova nel 1158, al tempo della Dieta di Roncaglia); e così lo nomina anche il Picinelli (Gerardo Negro), attribuendogli la stesura del primo dei Libri feudorum.Oltre al Giulini, che ne parla ampiamente, è nominato dal Panciroli e dall'Argelati (con il cognome di Cagapesto), con parole di alta stima. In tempi più recenti, oltre agli autori già citati, lo ricordano anche il Mor e brevemente il Barni, nella parte relativa al Comune di Milano al tempo del Barbarossa, nella Storia di Milano.
Fonti e Bibl.: Gli Atti del Comune di Milano fino al MCCXVI, a cura di C. Manaresi, Milano 1919, nn. VI, LXV, LXXV s., LXXX, XCI-XCIII, XCV, CI, CIII, CXV-CXIX, CXXII, CLIX; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, V, Venetiis 1720, coll. 788-789; Ottoni Frisingensis Episcopi Gesta Friderici I, in Mon. Germ. hist., Scriptores, XX, Hannoverae et Lipsiae 1869, p. 398; Bartholomei Scribae Annales Januenses, ibid., XVIII, Hannoverae et Lipsiae 1863, pp. 193; Consuetudines feudor, inK. Lehmann, Das Langobardische Lehnrecht…, Göttingen 1896, pp. 149, 158, 160, 161, 164, 166; Romualdi Salernitani Chronicon, in Rer. Ital. Script., 2 ed.., VII, 1, a cura di C. A. Garufi, ad Indicem;Milano, Bibl. Ambrosiana, ms. T 161-166 bis sup.: R. Fagnani, Familiarum Comenta, sub voce;F. Picinelli, Ateneo de' letterati milanesi, Milano 1670, p. 235; G. Panciroli, De claris legum interpretibus…, Leipzig 1721, p. 101; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I, 2, Mediolani 1745, coll. 251 s.; G. Giulini, Memorie della città e campagna di Milano ne' secoli bassi, Milano 1857, III, pp. 369, 751; IV, pp. 128, 250, 280, 319, 409; A. Lattes, Il diritto consuetudinario delle città lombarde, Milano 1899, p. 171; A. Ratti, A Milano nel 1266, in Memorie e rend. dell'Ist. lombardo di scienze e lettere, cl.di scienze morali, XXI (1902), pp. 215-35; Id., Appunti e notizie, in Arch. stor. lomb., XXX(1903), p. 460; E. Riboldi, Le sentenze dei consoli di Milano nel sec. XII, ibid., XXXII(1905), 1, pp. 229-80; G. Gallavresi, La riscossa dei guelfi in Lombardia dopo il 1260, ibid., XXXIII(1906), 2, pp. 5-67, 411-40; A. Battistella, I Lombardi in Friuli, ibid., XXXVII(1910), 2, pp. 297-337; U. Bassani, Una sentenza dei consoli di Milano dell'anno 1250, ibid., XLI (1914), pp. 239; E. Besta, Fonti, in Storia del diritto italiano, a cura di P. DelGiudice, I, 2, Milano 1925, p. 442; G. Biscaro, Gli estimi del Comune di Milano nel sec. XIII, in Arch. stor. lomb., LV (1928), pp. 349-495; G. L. Barni, Milano verso l'egemonia, in Storia di Milano, III, Milano 1954, p. 359 n. 4; D. Olivieri, Diz. di toponomastica lombarda, Milano 1931, località citate; Nuoviss. Dig. Ital., IX, pp. 711 ss.; Dict. d'Histoire et de Géogr. Ecclés., XI, col. 47.