gerarchia angelica (gerarcia)
Nella tradizione cristiana l'ordinamento degli angeli comportava il raggruppamento in g. e in ordini o cori. D., oltre a vari accenni, se ne occupò di proposito due volte: nel Convivio (II V 5-11) e nel Paradiso (XXVIII 98-139).
Numero e scala gerarchica dei cori. - La Scrittura aveva nominato più categorie angeliche (per es. Ephes. 1, 21; Coloss. 1, 16). I padri non furono d'accordo nel determinarne il numero (cfr. J. Michl, Ephräm und die neun Chöre der Engel, in " Theologische Quartalschrift " CXVIII [1937] 474-491). Lo pseudo-Dionigi l'Areopagita, verso la fine del sec. V e l'inizio del VI, sostenne che vi fossero tre g., composte ciascuna di tre ordini (Coel. hier. VI 1, in Patrol. Gr. III 200-201). Per l'autorità di Dionigi nel Medioevo, la sua sentenza divenne comune fra gli scolastici (cfr. G. Bareille, Angélologie d'après les Pères, in Dictionnaire de théologie catholique I, Parigi 1930, 1209-1210; A. Vacant, Angélologie dans l'Eglise latine depuis le temps des Pères, ibid. 1226 e 1241-1243). Anche D. raggruppa gli angeli in tre gerarchie, che è a dire tre principati santi o vero divini (Cv II V 5; cfr. Dionigi Coel. hier. III 1, in Patrol. Gr. III 164, traduzione di Scoto Eriugena, in Patrol. Lat. CXXII 1044c; Alessandro d'Hales Glossa in quatuor libros Sententiarum II 9 2, ediz. Quaracchi, II 83; Tomm. Cont. Genti III 80; Sum. theol. I 108 1c), detti anche ‛ ternari ' (Pd XXVIII 105 e 115; cfr. Dionigi Coel. hier. VI 2, in Patrol. Gr. III 200-201); suddivide ciascuna g. in tre ordini o cori (Cv II V 5, Pd XXVIII 98-126, dove ricorre [v. 121] la forma gerarcia). Pietro Lombardo (Sent. II 9 1, ediz. Quaracchi, 159), seguendo la Summa Sententiarum dello pseudo-Ugo di San Vittore (Il 5, in Patrol. Lat. CLXXVI 85), si era appellato alla Scrittura per la fede nei nove cori; D. si appella all'insegnamento della Chiesa in genere (Cv II V 5).
Dionigi presentò la seguente scala gerarchica discendente degli ordini quando ne parlò diffusamente (Coel. hier. VII 1, VIII 1 e IX 1-2, in Patrol. Gr. III 205, 237-240 e 257-260): Serafini, Cherubini, Troni (I g.); Dominazioni, Virtù, Potestà (II g.); Principati, Arcangeli, Angeli (III g.). Però, trattandone in antecedenza di sfuggita (VI 2, ibid. 200-201), sembrò scambiare di posto le Virtù con le Dominazioni. S. Gregorio Magno, altra autorità fra gli scolastici in questa materia, non solo si allontanò da Dionigi, ma ci presentò anch'egli nelle sue opere due scale diverse: Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni, Principati, Potestà, Virtù, Arcangeli e Angeli, in un passo di XL homiliae in Evangelia (XXXIV 7, in Patrol. Lat. LXXVI 1249); Serafini, Cherubini, Potestà, Principati, Virtù, Dominazioni, Troni, Arcangeli e Angeli in un passo di Moralium libri (XXXII 48, ibid. 665). La confusione si ripercosse fra gli scolastici. Per es., Pietro Lombardo una prima volta (Sent. II 9 1 [I 345]), ispirandosi a Ugo di San Vittore (Sacram. I 5 30, in Patrol. Lat. CLXXVI 260), elencò i cori secondo la scala esposta più diffusamente da Dionigi; la seconda volta (Sent. II 9 1-2 [I 345-346]), sebbene si appellasse a Dionigi, presentò la scala di XL homiliae in Evangelia di s. Gregorio. S. Bonaventura, nel commento alle Sentenze (II 9 praen., ediz. Quaracchi, II 240a-241b), espose, come pensiero di Dionigi, solo la scala composta da lui di sfuggita; invece in In Hexaëmeron (XXI 24-33 [V 435b-437b]) presentò l'altra di Dionigi; in Sermones de sanctis angeli: II (IX 619b) espose una scala che coincideva con quella di XL homiliae in Evangelia di s. Gregorio; altrove compose scale che non convenivano con nessuna di quelle da noi citate (per es., nello stesso In Hexaëmeron XXI 19-20 e 23 [V 434b-435a]; Sermones: de sanctis angelis I [IX 610a-613a]). Però gli scolastici più comunemente presentavano come pensiero di s. Gregorio la scala di XL homiliae in Evangelia, come pensiero di Dionigi quella da lui illustrata più diffusamente (per es., Alb. Magno Mariale 2 1-11, ediz. Borgnet, XXXVII 8-12; Tomm. Sum. theol. I 108 6); preferivano Dionigi ritenendolo quell'Areopagita che, avendo seguito Paolo secondo gli Atti 17, 34, avrebbe appreso da tale maestro la verità (per es., Bonaventura II Sent. 9 praen.; 9 4 ad 1; Sermones de sanctis angelis I [Il 241b e 249a; IX 610a]). In ogni modo non erano soliti dare molta importanza alla questione, ritenendo, per es., le divergenze tra Dionigi e s. Gregorio due punti di vista diversi ma legittimi (Bonaventura II Sent. 9 praen. [Il 240b-241b]) o equivalenti (Tomm. Cont. Gent. III 80; Sum. theol. I 108 6 ad 4).
D., invece, mostra di dare una certa importanza alla questione (si ricava da Pd XXVIII 133-135); tenendo presente la divergenza tra s. Gregorio e Dionigi, non cerca di conciliarla né di minimizzarla, ma afferma nettamente che s. Gregorio errò perché Dionigi apprese l'ordinamento degli angeli dalla rivelazione paolina (vv. 130-139; cfr. anche X 115-117). In Cv II V 6 espone una scala che coincide con quella dei Moralium libri di s. Gregorio, presentata anche da Brunetto Latini (Tresor I 12); invece in Pd XXVIII 98-126 protesta di seguire Dionigi, accettando la scala più comunemente accolta dagli scolastici. Per la diffusione dei passi del De Coelesti hierarchia, si può ammettere con B. Nardi (Saggi e note di critica dantesca, Milano 1965, 394-401) che D. conoscesse il pensiero di Dionigi da quanto ne dicevano gli scolastici.
Fondamento e tempo della distinzione dei cori. - Molti padri avevano ritenuto che gli angeli fossero tutti eguali per natura e che si distinguessero in nove cori per i soli doni gratuiti, soprattutto per la visione beatifica.
Alcuni tuttavia, come s. Gregorio Nazianzeno (Oratio XL 5, in Patrol. Gr. XXXVI 364) e s. Agostino (Contra priscillianistas et origenistas 14, in Patrol. Lat. XLII 678), ne avevano dubitato. Gli scolastici, dopo Pietro Lombardo (Sent. II 9 2 e 4 [I 346 e 348]), ritennero quasi comunemente che la distinzione fosse fondata sulle disposizioni naturali e fosse completata, perfezionata dai doni di grazia. Pertanto, secondo questa teoria, diversamente dagli uomini, gli angeli naturalmente più perfetti nel processo di conversione avevano acquistato più meriti e un conseguente maggior grado di gloria, nel processo peccaminoso avevano peccato più gravemente (per es., Bonaventura II Sent. 6 1 1-2, 6 3 1 resp., 9 2-3 [II 161a-163b, 167b, 244a-247b]; Tomm. Sum. theol. I 62 6, 63 8 ad 3, 108 4).
Proprio questo è il pensiero di Dante. È vero che egli attribuisce la distinzione dei nove ordini al grado di beatitudine soprannaturale (Pd XXVIII 37-39, 43-45, 70-78 e 100-102), il diverso grado di visione beatifica al grado di merito (v. 112) e questo al grado di grazia divina e di corrispondenza umana (v. 113); però attribuisce una diversa perfezione naturale ai nove cori angelici (XIII 52-60, per cui cfr. A. Mellone, Il concorso delle creature nella produzione delle cose secondo D., in " Divus Thomas " LVI [1953] 276-277) e, allontanandosi in parte dall'opinione comune, assegna un diverso grado di grazia anche agli uomini secondo la diversa perfezione naturale delle persone (Cv IV XXI 11-14, Pd XIV 40-51 e XXXII 40-84; cfr. S. Bersani, Dottrine allegorie simboli della D.C., Piacenza 1931, 283-284; B. Nardi, I bambini nella candida rosa dei beati, in " Studi d. " XX [1937] 44-58).
Gli scolastici non erano d'accordo nel valutare l'entità di questo fondamento naturale. Alcuni, come Pietro Lombardo (Sent. II 9 4 [I 348]), ritenevano che la differenza naturale fosse tanto tenue da non consentire di ritenere distinti in nove cori gli angeli prima del peccato di alcuni e dell'elevazione degli altri allo stato di grazia. Altri, più comunemente dal sec. XIII, sebbene spesso senza la pretesa della certezza e con diverse sfumature, insegnavano che la distinzione naturale, pur non essendo completa, era sostanzialmente tale da giustificare già la distinzione dei nove cori e da permettere la distinzione anche nei demoni. S'intende che, secondo quest'ultima sentenza, la distinzione nei demoni si attuerebbe in senso capovolto: la categoria diabolica corrispondente al coro angelico più alto sarebbe la più bassa (cfr., per es., Alessandro d'Hales Sum. theol. II II 68 e 95, ediz. Quaracchi, III 84a-85b e 113a-114b; Bonaventura II Sent. 6 1 1-2, 6 3 1 resp. [II 161a-163b e 167b]; Tomm. Sum. theol. I 63 9 ad 3, 109 1). Secondo alcuni scolastici la distinzione antecedente allo stato di gloria era fondata solo sulle doti naturali (così per es. s. Bonaventura, come si ricava da II Sent. 9 2 [II 244a-245b] confrontato con 4 1 2 [II 132a-134b]), secondo altri era fondata anche sui doni di grazia santificante (così per es. Tomm. Sum. theol. I 109 1c); la diversità di questi pareri dipendeva dalla soluzione che si dava alla questione se gli angeli fossero stati creati nella grazia santificante o se almeno l'avessero ricevuta prima di peccare e di essere assunti alla gloria.
D. scrive che si perderono alquanti angeli di tutti i nove ordini angelici (Cv II V 12) e che Lucifero fu nobil creato / più ch'altra creatura (Pg XII 25-26; cfr. anche If XXXIV 18 e 34, Pd XIX 47, Ep XIII 76); quindi suppone che gli angeli fossero divisi nei nove cori prima del peccato. Inoltre dice che i cori angelici ne li ubi (nel grado gerarchico) in cui si trovano ora, sempre fuoro (Pd XXVIII 95-96). Sembra ritenere che i demoni anche dopo la loro caduta siano divisi in categorie corrispondenti ai nove ordini angelici: ammettendo una certa corrispondenza tra i nove cerchi infernali e i nove cori angelici (cfr. B. Nardi, Il canto XXXIV dell'Inferno, Torino 1959, 6 e 8-9), dice appartenente ai neri cherubini un demonio addetto a prelevare anime destinate all'ottavo cerchio (If XXVII 113) e attribuisce a Lucifero, relegato nel fondo del nono cerchio, sei ali (XXXIV 46-51), proprie dei serafini (Pd IX 78; cfr. Isaia 6, 2); i cherubini costituiscono l'ottavo coro angelico, i serafini il nono, contando dal basso in alto (Cv II V 6, Pd XXVIII 98-102).
Per D. poi la distinzione degli ordini angelici prima dell'elevazione allo stato di gloria doveva essere fondata sulle sole doti naturali. Infatti i fautori della sentenza contraria arrecavano l'argomento che gli angeli, per meritare la gloria, dovevano possedere prima (cronologicamente) la grazia santificante (così per es. Tommaso Sum. theol. I 62 3 ad 3, 62 4c e ad 2). Gli avversari rispondevano che gli angeli meritarono la gloria con il sorgere del libero arbitrio, innalzato dalla grazia santificante nello stesso istante in cui vi fu l'elevazione alla visione beatifica; sicché il ricevimento della grazia precedé la gloria per natura, quanto all'influsso causale e non quanto al tempo (così Bonaventura Il Sent. 4 1 2 ad 2 [II 134b]). D. ripete precisamente questa risposta quando afferma che ricever la grazia è meritorio / secondo che l'affetto l'è aperto (Pd XXIX 65-66). Pertanto, secondo lui, i demoni non ebbero mai la grazia santificante e gli angeli buoni la ricevettero nello stesso istante in cui furono innalzati alla visione beatifica.
Gli scolastici si ponevano pure la questione se con il giudizio universale cesserà la distinzione dei nove ordini angelici. La risolvevano negativamente (cfr., per es., Bonaventura Il Sent. 9 6 resp. [II 252b]; Tomm. Sum. theol. I 108 7). Egualmente D., nella visione avuta nel Primo Mobile, immaginando che ogne scintilla (angelo) non esce dall'incendio suo (dal proprio coro), spiega che il punto fisso (Dio) tiene i cori angelici a li ubi [cioè al loro grado nella scala gerarchica], / e terrà sempre (Pd XXVIII 91, 95-96); pertanto manterrà distinti in eterno gli ordini angelici.
Motivo della distinzione dei cori. - I padri e gli scolastici si chiedevano l'intimo perché della distinzione degli angeli in tre g. con tre ordini ciascuna. Comunemente lo si vedeva nelle doti naturali e soprannaturali specifiche dei singoli cori e nei loro diversi uffici. Dionigi aveva accentuato le doti (Coel. hier., specialmente VII-IX, in Patrol. Gr. III 205-260) e fu seguito da una corrente scolastica, per es. da s. Tommaso che vide il motivo della distinzione soprattutto nel modo di conoscere le creature (Sum. theol. I 108 1 e 6). S. Gregorio invece aveva accentuato gli uffici (XL homiliae in Evangelia XXXIV 8-10, in Patrol. Lat. LXXVI 1250-1252) e fu seguito da un'altra corrente scolastica, per es. da Pietro Lombardo (Sent. II 9 2-3 [I 346]).
Però qualcuno vide il motivo della distinzione anche nella diversa somiglianza analogica delle tre g. e dei nove cori con le persone della Trinità. Vi accennò la Summa Sententiarum dello pseudo-Ugo di San Vittore (II 5, in Patrol. Lat. CLXXVI 85): " Et inveniuntur in istis ordinibus tria terna esse; et in unoquoque tres ordines, ut Trinitatis similitudo in eis prae aliis creaturis impressa videatur ". Lo ripeté Pietro Lombardo (Sent. II 9 1 [I 345]). Svilupparono il concetto Vincenzo di Beauvais (Speculum historiale I 12, Duaci 1624, 6a) e s. Bonaventura (In Hexaëmeron XXI 20 [V 434b]). Ma non abbiamo trovato nessuno che, come D. in Cv II V 7-11, trova la potissima ragione della distinzione nell'oggetto trinitario della visione beatifica (v. ANGELO).
Attività specifica di ciascun ordine. - Secondo Dionigi gli ordini superiori comunicano agl'inferiori la scienza delle opere divine ricevuta direttamente da Dio (Coel. hier. VII 3 e VIII 2, in Patrol. Gr. III 209 e 240-241). Gli scolastici lo ripetevano comunemente (cfr. B. Beraza, De Deo creante, Bilbao 1921, 277-278, nrr. 544-546); però qualcuno, come s. Bonaventura (Il Sent. 9 6 resp. e 10 2 2 qu. incidens [II 252b e 267b), restringeva l'oggetto di quella scienza alla sola opera della salvezza degli uomini, escludendo il bene immediato degli angeli riceventi. Anche D. ammette che i cori superiori trasmettono la scienza agl'inferiori; ma allarga l'oggetto della scienza più degli altri scolastici, a tutta la visione beatifica: Questi ordini di sù tutti s'ammirano [intenti alla visione beatifica], / e di giù vincon sì, che verso Dio / tutti tirati sono e tutti tirano (Pd XXVIII 127-129; cfr. Ep XIII 60-61).
Per le relazioni degli ordini angelici con i nove cieli mobili e con il mondo infralunare, v. ANGELO; per le altre dottrine sugli spiriti angelici e per ciascun coro in particolare, v. le singole voci.
Bibl.- Citiamo gli studi più significativi, i quali però in maggioranza trattano quasi esclusivamente della fonte della scala gerarchica degli ordini angelici presentata nel Convivio e nel Paradiso e della fonte del motivo della distinzione in tre gerarchie con tre ordini ciascuna: G. Rosalba, Gli ordini angelici nel Convivio e nel Paradiso, in " L'Alighieri " II (1891) 345-353; L.M. Capelli, Le gerarchie angeliche e la struttura morale del Paradiso dantesco, in " Giorn. d. " VI (1898) 241-259; G. Busnelli, L'ordine dei cori angelici nel Convivio e nel Paradiso, in " Bull. " XVIII (1911) 127-128; ID., Il concetto e l'ordine del Paradiso dantesco, II, Città di Castello 1912, 143-161; ID., La distinzione degli ordini angelici, in Il Convivio ridotto a miglior lezione e commentato, I, Firenze 1934, 248-249; P. Toynbee, Dante's arrangement of the celestial hierarchies in the Convivio, in " Bull. " XVIII (1911) 205; E. Proto, L'ordinamento degli angeli nel Convivio e nella Commedia, in Studii dedicati a F. Torraca nel XXXVI anniversario della sua laurea, Napoli 1912, 17-28; L. Cicchitto, Postille bonaventuriano-dantesche, Roma 1940, 380-389; G. Fallani, Le gerarchie angeliche, in Poesia e teologia nella D.C., III, Milano 1965, 107-122.