Franju, Georges
Regista e sceneggiatore cinematografico francese, nato a Fougères (Bretagna) il 12 aprile 1912 e morto a Parigi il 5 novembre 1987. Autore tra i più singolari del cinema francese, elaborò una poetica tesa a guardare alla vita quotidiana con una immaginazione e una deviante fantasia che ne svelano l'inquietante mistero, l'amara crudeltà e il profondo orrore. Prendendo le mosse dalla pratica documentaria, arricchì la cifra del suo stile visivo di pulsioni surrealiste e risonanze espressioniste, trovando nell'ambito dei generi cinematografici tradizionali quell'equilibrio tra elementi realistici e fantastici che costituisce un tratto fondamentale della sua filmografia.
Dopo essersi occupato nei primi anni Trenta di scenografia teatrale, lavorando per le Folies Bergères e il Casino di Parigi, nel 1936 F. fondò la Cinémathèque française assieme all'amico Henri Langlois (con il quale due anni prima aveva diretto il cortometraggio documentario Le métro, suo esordio nella regia), dando l'avvio a un'attività nell'ambito della conservazione filmica che lo vide impegnato per diversi anni anche a livello internazionale (nel 1938 fu segretario esecutivo della appena costituita FIAF). Nominato nel 1945 segretario generale dell'Institut de cinématographie scientifique, nel corso degli anni seguenti F. si dedicò alla realizzazione di una serie di cortometraggi documentari, che testimoniano la sua capacità di osservare con sobria compassione ed essenziale crudezza la realtà umana e sociale, contrapponendo verità e mistificazione: Le sang des bêtes (1949), agghiacciante descrizione di un mattatoio parigino; Hôtel des invalides (1951), atto d'accusa contro l'orrore della guerra; Les poussières (1954), inquietante monito ai lavoratori sulle insidie della polvere; e Mon chien (1955), cronaca lirica delle disgrazie di un cane abbandonato dai padroni. Partendo dai medesimi presupposti poetici e stilistici, nel 1958 F. inaugurò la stagione dei lungometraggi, firmando, sulla base di un romanzo di H. Bazin, La tête contre les murs (La fossa dei disperati), uscito poi nel 1959, cruda analisi delle contraddizioni tra follia e normalità effettuata nell'ambito del perbenismo borghese, che ottenne l'appassionato consenso di Jean-Luc Godard in "Cahiers du cinéma" (1958, 90). Il taglio netto e aggressivo appreso nell'esercizio documentaristico non impedì del resto a F. di confrontarsi con un cinema 'popolare', come dimostra il successivo Les yeux sans visage (1960; Occhi senza volto), audace horror gotico sul delirio di un chirurgo intenzionato a ricostruire il volto della figlia, deturpato in un incidente, prelevando la pelle dal volto di malcapitate ragazze da lui rapite e torturate. L'intensità di questo film, che resta il più famoso della sua carriera, non venne raggiunta invece da Pleins feux sur l'assassin (1961), classico mistery non privo di motivi d'interesse, ambientato in un castello dove gli eredi di un ingente lascito vengono misteriosamente assassinati. Rinnovato vigore caratterizzò invece Thérèse Desqueyroux (1962; Il delitto di Thérèse Desqueyroux), tratto dal romanzo di F. Mauriac, dove la storia di una giovane sposa, scagionata dal marito dall'accusa di aver tentato d'avvelenarlo ma costretta a una ancor più crudele prigionia domestica, esemplifica uno dei motivi costanti nella poetica di F.: l'ineluttabile crudeltà di un'esistenza che si offre all'individuo come destino di solitudine e di dipendenza. Intorno allo stesso tema ruotano le prove successive, di grande maturità poetica ed espressiva: Judex (1964; L'uomo in nero), esercizio stilistico ispirato al cinema di Louis Feuillade, attraversato da straordinarie intuizioni figurative; Thomas l'imposteur (1965), dal romanzo di Jean Cocteau, autore anche della sceneggiatura, storia di un mitomane che paga con la vita la partecipazione alla guerra; e, soprattutto, La faute de l'abbé Mouret (1970; L'amante del prete), tratto da É. Zola, me-lodramma religioso che contrappone il fervore mistico di un giovane curato di campagna alla sua attrazione irresistibile per una ragazza, destinata a riscattare con la morte la colpa di entrambi. Negli anni Settanta F. si dedicò esclusivamente all'attività televisiva, producendo lavori minori, ma di grande dignità formale.
R. Durgnat, Franju, London 1967.
G. Leblanc, Georges Franju. Une esthétique de la déstabilisation, Paris 1992.
Georges Franju, a cura di A. Martini, Roma 1999.
E. Comuzio, Georges Franju. La modernità di un cineasta arcaico, in "Cineforum", 1999, 387, pp. 56-63.