SCUDÉRY, Georges e Madeleine
Nati entrambi a Le Havre (dove il padre esercitava l'ufficio di luogotenente del re), Georges nel 1601, Madeleine nel 1607, e rimasti orfani nell'infanzia, furono allevati nella famiglia di uno zio. G. seguì la carriera delle armi fino al 1629, anno in cui l'abbandonò per dedicarsi alle lettere, e specialmente al teatro.
Compose, fra il 1629 e il 1643, numerose tragicommedie (Lygdamon et Lidias ou la Ressemblance; Le Trompeur puny; Le Vassal généreux; Orante; Le Prince déguisé; L'Amant libéral; L'Amour tyrannique; Eudoxe; Andromire; Ibrahim ou l'Illustre Bassa; Axiane; Arminius), traendone gli argomenti dai romanzi più famosi di quel tempo, e soprattutto dall'Astrée; l'Amant libéral deriva da una novella del Cervantes; nell'Amour tyrannique G. volle emulare il Corneille, su di una trama analoga a quella del Cid, di cui era stato critico severo nella grande polemica suscitata da quel capolavoro. Scrisse anche La Comédie des comédiens, un'altra commedia: Le fils supposé, e le tragedie: La mort de César e Didon. Nel 1631, dedicò al Richelieu il poema Le Temple; nel 1632, curò un'edizione delle poesie di Théophile de Viau, proelamandosi difensore del poeta libertino.
Nominato, nel 1643, governatore della fortezza di Notre-Dame de la Garde a Marsiglia, vi restò qualche tempo, ma finì col preferire il soggiorno di Parigi; fu eletto all'Académie française nel 1650; pubblicò nel 1654 il poema eroico Alaric, a cui allude severamente il Boileau nel canto III dell'Art poétique. Morì a Parigi il 14 maggio 1667. Vanaglorioso, e "secentista", piacque al suo tempo, e dispiacque in seguito, per la pompa verbosa del suo stile; ma non gli mancava un certo calore di fantasia, e un ardire cavalleresco che rendono più simpatico il suo amore sincero della letteratura.
Non meno operosa, più modesta, e altamente stimata dai contemporanei per le sue virtù e la gentilezza dell'animo, fu la sorella Madeleine, il cui nome è congiunto alla fortuna del romanzo sentimentale: fortuna che fu grandissima in Francia, specialmente nella società colta e aristocratica, alla metà di quel secolo.
M. pubblicò sotto il nome del fratello (il quale poté darle qualche consiglio nella scelta degli argomenti, e nel disegno generale dei romanzi) Ibrahim ou l'Illustre Bassa, in 10 volumi, nel 1641; Artamène ou le grand Cyrus, in 10 volumi, 1649-1653; La Clélie, histoire romaine, in 10 volumi, 1654-1660; Almahide ou l'Esclave reine, in 8 volumi, 1660. Le grand Cyrus e la Clélie sono considerati come i capolavori della signorina di S.: lunghissimi racconti d'avventure, alternati d'effusioni amorose, che, sotto il velo della storia orientale o romana, mirano a rappresentare la società "preziosa" e i suoi ideali di nobiltà e di raffinatezza spirituale. Gli eroi e le eroine dovevano corrispondere, almeno nell'intenzione dell'autrice ai cavalieri e alle dame che convenivano all'"Hôtel de Rambouillet" e nei salotti (di cui uno fu quello della S.) che serbarono la stessa tradizione letteraria: "Artamène", ad es., raffigura il principe di Condé, "Sappho" è la S. La psicologia di quei personaggi è complicata, ma non profonda, e la Clélie ce ne offre una descrizione grafica con la famosa "Carte du Tendre", dove sono registrate le varie sfumature del sentimento amoroso.
Nella reazione contro il preziosismo, anehe la S. vide scadere rapidamente la sua gloria; il Boileau compose, alla maniera lucianesca, un dialogo sugli eroi di romanzo, che però non volle pubblicare fin che visse la S.: "una donzella - com'egli dice - che, nonostante la cattiva morale insegnata nei suoi romanzi, aveva onore e probità anche maggiori del suo spirito". La S. si ritrasse in una cerchia più limitata di fedeli amicizie, scrisse e pubblicò nuovi libri (Les Femmes Illustres ou les Harangues héroïques, 1665; Mathilde d'Aguilar, histoire espagnole, 1669; Célanire ou la Promenade de Versailles, 1669; Conversations sur divers sujets, 1680, seguite, fino al 1692, da altri volumi di Conversations; Fables, 1685). Morì a Parigi il 2 giugno 1701.
Bibl.: A. Batereau, G. de S. als Dramatiker, Lipsia 1902; A. Le Breton, Le Roman au dix-septième siècle, Parigi 1890 (nuova ed., 1912); M. Magendie, La politesse mondaine et les théories de l'honnêteté, en France, au XVIIe siècle de 1600 à 1660, Parigi 1925 (voll. 2).