MEREDITH, George
Romanziere e poeta inglese, nato a Portsmouth il 12 febbraio 1828, morto il 19 maggio 1909 a Box Hill nel Surrey. Veniva da una famiglia della piccola borghesia: suo nonno era un celebre sarto (il "great Mel" di Evan Harrington) e il padre seguiva lo stesso mestiere, vendendo forniture per la marina a Portsmouth. La madre morì quando M. aveva cinque anni; a quattordici andò alla scuola dei fratelli moravi a Neuwied in Germania. M. poté così sfuggire alla convenzionale educazione inglese, e si formò in contatto con la Germania degli anni che preparavano il '48, imbevendosi di romanticismo idealistico. Il pensiero tedesco lasciò tracce profonde nella sua concezione della vita, come lo stile di Jean Paul e quello di T. Carlyle sullo stile dei suoi romanzi.
A Londra avrebbe dovuto fare l'avvocato, ma si diede invece alle lettere. Venne così a conoscere T. L. Peacock, la cui fine ironia umanistica e razionalista non fu senza influsso sulle sue prime opere. M. s'innamorò della figlia di Peacock, Mary, che aveva alcuni anni più di lui ed era vedova. Si sposarono nel 1849; ma il matrimonio fu infelice. Dopo aver abbandonato M. per fuggire con un artista a Capri, Mary tornava in Inghilterra nuovamente delusa, e cercava invano di riconciliarsi col marito; il M. fu inflessibile, e non le avrebbe nemmeno concesso di rivedere il figlio che avevano avuto nel 1853, se essa, affranta nel corpo e nello spirito, non fosse stata presa da una grave malattia, che le fece smarrire la ragione, e la uccise nel 1861.
M. ebbe allora la sensazione di aver trattato troppo duramente una natura appassionata, con cui non gli era riuscito di armonizzarsi. Il suo rammarico e la nostalgia per l'amore perduto si espressero in un ciclo di poesie, Modern Love (1862), che tratta, con qualche modificazione nei particolari, la storia della sua infelice passione. Ma essa doveva lasciare nel suo animo tracce ancora più profonde. Egli aveva imparato quanto possa soffrire un'anima femminile per l'egoismo dell'uomo: e in tutti i suoi romanzi posteriori diventa il campione della donna, e fa ammenda della propria cecità giovanile creando una serie di figure muliebri di squisita sensibilità e d'intelligenza superiore.
I suoi primissimi romanzi erano stati dei brillanti giuochi di immaginazione: in The Shaving of Shagpat (1856) aveva creato una fantasia orientale di un brio indiavolato, che aveva suscitato l'ammirazione di George Eliot, e in Farina (1857) aveva narrattiva storia dell'inventore dell'acqua di Colonia. Parimenti nella sua celebre lirica Love in a Valley, che era uscita nella sua prima versione nel volume di Poems del 1856, M. vagheggia un amore puramente idillico, campestre, fresco e ingenuo, ignaro delle profondità della passione e del dolore.
Ma il tono cambia e diventa improvvisamente maturo e carico di amara esperienza nel romanzo scritto durante il periodo acuto della sua crisi familiare, The Ordeal of Richard Feverel (1859). In questo romanzo il padre del protagonista, come M., è abbandonato dalla moglie, che fugge con il suo migliore amico: come M., egli resta con un figlio unico, che idolatra, e che tiene lontano dalla moglie. Ma qui finiscono le analogie e qui comincia la palinodia. Sir Austin concepisce un sistema speciale di educazione per suo figlio, un sistema che lo protegga dai pericoli femminili, un sistema, come dirà M., basato in fondo sulla sua implacabilità verso la moglie. È superfluo dire che il sistema fallisce, anzi che esso causa al figlio maggiori sofferenze e una prova (ordeal) più severa di quelle che avrebbe potuto subire con un'educazione un po' meno artificiosa.
Nel romanzo successivo, Evan Harrington (1861), M. inserisce varî elementi autobiografici: il protagonista è il figlio di un sarto che aspira a salire nel rango sociale, e parecchi dei personaggi son ritratti dei parenti di M. Suo padre, che allora aveva emigrato alla Città del Capo, e ivi esercitava il suo mestiere, lesse il libro e ne rimase profondamente offeso. M. si era ormai completamente emancipato dal suo ambiente familiare.
Nel 1860 la casa editrice Chapman and Hall lo nominò suo consigliere per la pubblicazione di romanzi, posizione che M. occupò per trent'anni, partecipando così anche editorialmente alla vita letteraria del suo tempo. Aveva fatto amicizia con D. G. Rossetti e A. Swinburne, con i quali visse per qualche tempo. Nel 1864 sposava Marie Vulliamy, e il secondo matrimonio fu tanto felice quanto il primo era stato infelice. Nello stesso anno scriveva la storia di una cantante italo-inglese, Emilia in England, poi ribattezzata Sandra Belloni. Contemporaneamente collaborava a varî giornali politici, e questo gli procurò l'occasione di venire in Italia come corrispondente della Morning Post durante la guerra del 1866. Da questo viaggio raccolse elementi e impressioni che gli servirono per raccontare in Vittoria (1866) il seguito delle avventure di Sandra Belloni, ora ribattezzata Vittoria. L'eroina è in fondo un tipo piuttosto inglese che italiano, sulla base della consueta donna ideale meredithiana. Quel che è più criticabile è il quadro deforme che il M. dà del '48 italiano, ridotto a una serie di vendette personali, di aristocratiche faide, di duelli militari per cagioni di donne: il ritratto idealizzato, ma un po' nebuloso, che dipinge di Mazzini, e la sua innegabile simpatia per il Risorgimento in genere, non sono sufficienti a compensare la banalità dello sfondo sensazionale, degno di un romanzo d'appendice.
In Rhoda Fleming (1865) M. si ritrova sul terreno a lui più familiare dell'Inghilterra, sebbene di un'Inghilterra rustica, nell'ambiente dei yeomen, che non è frequente nei suoi romanzi, dedicati per lo più agli strati superiori della società. Qui Meredith riprende il motivo prediletto dell'ingiustizia dell'uomo verso la donna, presentandoci una storia di seduzione a tragico fine, intrecciata a una vicenda di amore puro ma ostacolato dagli eventi.
Nel 1868 andava ad abitare a Box Hill, che divenne la sua residenza per il resto della sua vita. La casa sorge nel cuore della campagna inglese che egli tanto amava, e che soleva percorrere infaticabilmente da quel grande camminatore che era, accompagnato spesso da Leslie Stephen, raffigurato in The Egoist sotto le spoglie di Vernon Whitford. Le prodezze atletiche di M. sono celebri quanto le sue virtuosità stilistiche. Ma queste appunto non erano fatte per accattivargli il grosso pubblico; e i suoi ammiratori formarmo sempre un'élite. Tuttavia i romanzi che compose a Box Hill gli procurarono una celebrità sempre più larga: The Adventures of Harry Richmond (1871), Beauchamp's Career (1875), The Egoist (1879), scritto nel suo stile più caratteristico e forse il suo capolavoro, The Tragic Comedians (1880) che racconta la storia di Ferdinando Lassalle e Hélène von Donniges, e finalmente il suo libro più divulgato, Diana of the Crossways (1885).
La discordia tra padre e figlio, che gli ha fornito materia di più di un episodio ironico, doveva realizzarsi quasi tragicamente nella sua stessa vita. Non solo egli stesso si era allontanato presto dal padre, ma anche suo figlio Arturo, nato dal primo matrimonio, si staccò da lui quando vide in casa un fratellastro che condivideva l'affetto paterno, e moriva di tisi nel 1890, senza essersi riconciliato col padre. Poco dopo (1895) moriva anche la seconda moglie, proprio nel momento del pieno successo artistico di Diana.
Nel suo ultimo periodo lo stile divenne ancora più contorto e oscuro, e i romanzi meno vivi: One of our Conquerors (1891), Lord Ormont and his Aminta (1894), e The Amazing Marriage (1895). La gloria ormai lo aveva raggiunto: Box Hill divenne la meta di pellegrinaggi dei suoi ammiratori; nel 1905 fu insignito dell'Ordine al Merito (O. M.). Egli fu l'ultimo dei grandi vittoriani e il primo degli scrittori dell'era nuova.
Il romanzo di M. si distacca nettamente dal romanzo inglese a lui contemporaneo per originalità e profondità di pensiero. Egli si è creato una propria concezione della vita e del reale. Questa concezione serenamente e completamente immanentistica lo rese perfettamente libero dalle convenzioni del moralismo vittoriano e nello stesso tempo lo tenne lontano dalle brutalità del puro naturalismo. Egli vede lo spirito umano in un processo evolutivo che partendo dalla natura passa attraverso tre stadî per raggiungere la spiritualità e trascendere la natura. I tre stadî sono, secondo M., il sangue, il cervello, lo spirito. Il sangue rappresenta l'istinto primordiale, profondamente sano per sé stesso, che radica l'uomo nella gran madre Terra (il simbolo più frequente della natura nella terminologia di M.), e di cui quindi l'uomo non deve vergognarsi, ma anzi soddisfare le esigenze. Esso però è cieco, e va guidato ed illuminato dal cervello (l'intelletto). Questo pone le leggi universali e costruisce la struttura della società, che frena le attività individuali. Ma l'intelletto non è la facoltà più alta. Col creare la coscienza di sé esso crea anche i pericoli dell'egoismo. Contro di essi non si può invocare l'intelletto, ma lo spirito. Questa è veramente la più alta sintesi, l'armonia completa tra il sangue e il cervello, che "evita le rocce dell'ascetismo e i vortici del sensualismo", e annulla l'io artificiale in una coscienza superiore.
Contro gli eccessi del sangue vale la voce dell'intelletto, ma occorre l'intuizione artistica del comico per disgregare le superfetazioni dell'intelletto, le dilatazioni dell'egoismo, la vanità e lo snobismo, che M. prende di mira con non minor costanza, e con armi più scaltrite, dello stesso Thackeray. Onde la funzione sociale, e quasi filosofica, della commedia, intesa in senso largo. Animata dallo spirito del comico, essa coglie gli squilibrî e le disarmonie create dall'egoismo e vi proietta sopra la luce del buon senso, smascherando sofismi e ipocrisie. Questa concezione dell'arte, che si applica tanto al teatro quanto al romanzo, M. l'ha svolta in un saggio teorico, On the Idea of Comedy and the uses of the Comic Spirit (1877), e una poesia, Ode to the Comic Spirit.
Così è che l'opera più significativa del M. è lo studio di un Egoist, ove ritrae con finissima analisi la figura di sir Willoughby Patterne, l'uomo a cui la natura e la fortuna sono state prodighe di tutti i loro doni. Ma ciò ha servito soltanto a suscitare in lui una monumentale, quanto affatto spontanea e irriflessa, compiacenza di sé medesimo; una vanità impenetrabile a ogni smentita del reale, che si nutre voracemente dell'ammirazione altrui, impervia a ogni sentimento generosamente altruista. E la catarsi comica si opera mediante la reazione di una fanciulla: la donna per M. è sempre l'essere che, stando più vicino alla natura, percepisce più immediatamente le disarmonie create dall'egoismo.
Un altro gruppo di romanzi, in cui primeggia Diana, ritrae le sofferenze causate alla donna dall'egoismo maschile. L'ideale di Meredith è la donna che realizzi armonicamente tutti e tre gli elementi della natura umana, che abbia quindi un intelletto non meno sviluppato di quello dell'uomo, e a cui siano riconosciuti i medesimi diritti e uguali responsabilità. Ma la società non è ancora all'altezza di questa concezione, e infligge umiliazioni e sofferenze alle donne superiori. Tale è la sorte di Diana, che unisce in sé il fiore dell'intelligenza e della bellezza: ma gli uomini cercano in lei solo la seconda. Per sfuggire alle passioni violente che essa suscita, si precipita nel matrimonio: ma il marito si rivela un egoista che è geloso della sua intelligenza. Solo dopo varie agitate vicende trova un uomo che la comprenda e la apprezzi.
Lo spirito comico del M. trova la sua forma linguistica in uno stile epigrammatico, ricco di aforismi, di allusioni, e metafore e paradossi e reticenze, svolgentesi in periodi anarchici, complicatissimi, capricciosi. Tuttavia nei romanzi del suo periodo centrale raggiunge effetti di singolare bellezza, specie quando cede all'ispirazione del suo spirito poetico, nelle descrizioni della bellezza della natura o della donna. Invece i versi del M. sono spesso contorti, aspri, sovraccarichi di pensiero, che accumula immagini su immagini, troncandole ellitticamente o tramutandole bruscamente. Gli stessi difetti, di sproporzione e squilibrio, si notano nell'architettura dei romanzi, in cui lo svolgimento continuato e progressivo è sacrificato al succedersi di grandi scene brillantissime, non sempre completamente legate alla trama della narrazione. Ma quello appunto che più premeva al M. è la scena madre, il trionfo dello spirito comico, che costituisce la sua creazione originale e il suo contributo più notevole al romanzo europeo.
Ediz.: Works, Memorial edition, Londra 1901-11 (voll. 27; il vol. 27° contiene una bibl. di A. Esdaile; dello stesso, anche una ChronologicaI List delle opere, ivi 1914); Standard edition, ivi 1914; Poetical Works, ed. G. M. Trevelyan, ivi 1912; Letters, ed. W. M. Meredith (il secondo figlio), ivi 1912.
Bibl.: R. E. Sencourt, The Life of G. M., Londra 1929. Molto materiale biografico è nella coll. Altschul lasciata all'università Harvard (v. il catalogo a cura di B. Coolidge, New York 1931). Molti saggi critici effimeri pullularono nel periodo della sua maggiore celebrità, dopo il 1890. D'interesse duraturo è lo studio di G. M. Trevelyan, The Poetry and Philosophy of G. M., Londra 1906. Nel dopoguerra è cominciata una valutazione più equilibrata, di cui son frutto la monografia di J. B. Priestley nella collezione English Men of Letters, Londra 1926 e le ricerche storiche, specialmente fuori dell'Inghilterra; R. Galland, G. M.: les cinquante premières années, Parigi 1923; id., G. M. and British criticism, ivi 1923; L. Wolff, G. M. poète et romancier, Parigi 1924; E. Mertner, Das Werden der künstl. Weltschau G. M.s dargestellt an seinen ersten Romanen, Halle 1931; E. V. Brewer, The Influence of Jean Paul Richter on M.'s Conception of the Comic, in Journal of Engl. and Germanic Philology, aprile 1930. In Italia vi è il saggio di L. Torretta, G. M. romanziere poeta pensatore, Napoli 1918; id., George Meredith e l'Italia, in Nuova Antologia, 16 dicembre 1916, e una riduzione dell'Egoista, Milano 1922.