Moore, George Edward
Filosofo inglese (Londra 1873 - Cambridge 1958). Studiò (dal 1892) al Trinity College di Cambridge, dove, dopo il primo biennio, passò, specialmente per consiglio di Russell, dagli studi classici alla filosofia. Frequentò in partic. le lezioni di Sidgwick, J. Ward, Stout e McTaggart. Dal 1898 al 1904 fu fellow del Trinity College. A questi anni risalgono i primi scritti di M. che, partito da un’iniziale adesione al neoidealismo inglese e da un interesse per l’opera di Kant, andò articolando poi una particolare forma di realismo pluralistico che non si limitava solo a confutare l’assimilazione idealistica tra esse e percipi (The refutation of idealism, 1903), ma affermava anche l’autonoma esistenza oggettiva di una serie di entità che, oltre alle cose materiali, comprendeva i concetti, i numeri e le proprietà etiche. Particolare risonanza ebbe poi il suo primo volume dedicato all’etica (Principia ethica, 1903; trad. it.): M. vi sosteneva la tesi che i giudizi morali hanno a che fare con una qualità semplice, non naturale, il bene, che può essere colta solo direttamente attraverso un’intuizione (non empirica); partendo da questa prospettiva intuizionistica, criticava poi i sostenitori dell’etica naturalistica, che, come J. Stuart Mill e Spencer, avevano cercato di definire il «buono» riducendolo a proprietà naturali (piacere, utile, ecc.; è questa la cosiddetta «fallacia naturalistica»). Notevole fu la fortuna di quest’opera di M.; infatti, oltre a stimolare lo sviluppo di un’ampia corrente di riflessioni analitiche sulla morale, ebbe anche un certo peso ideologico per l’influenza che la concezione della vita che in quelle pagine si difendeva ebbe sui membri del Bloomsbury Group (tra i quali J. M. Keynes e V. Woolf). M. visse lontano da Cambridge dal 1904 al 1911, prima a Edimburgo e poi a Londra: qui tenne nel 1911 un corso di lezioni, raccolto in volume solo nel 1953 col titolo di Some main problems of philosophy. Dal 1911 al 1939 insegnò a Cambridge prima come lettore, poi (dal 1925) come prof. di filosofia della mente e logica; dal 1940 al 1944 fu negli Stati Uniti, dove tenne una serie di corsi in varie università; tornò poi a Cambridge, dove condusse vita estremamente ritirata fino alla morte. Dal 1921 al 1947 fu direttore di Mind, la più importante rivista filosofica inglese. Dopo la pubblicazione dei Principia ethica, M. tornò spesso sui problemi etici (si veda Ethics, 1912; trad. it. Etica), e, pur non discostandosi dalle concezioni intuizionistiche iniziali, insistette sempre di più sulla completa autonomia dei giudizi etici. Altri temi su cui si concentrò la sua speculazione e che egli affrontò in una serie di saggi raccolti nei volumi Philosophical studies (1922; trad. it. Studi filosofici) e Philosophical papers (post., 1959; trad. it. Saggi filosofici), in corsi di lezioni (Lecturers on philosophy, post., 1966) e in dibattiti con altri filosofi (si veda specialmente il vol. The philosophy of G. E. Moore edito da P.A. Schilpp, 1942) furono la difesa del senso comune (A defence of common sense, 1925) e l’importanza dell’analisi in filosofia. Da una parte M. sosteneva che compito del filosofo non è quello di contestare le opinioni correnti dell’uomo comune, ma piuttosto quello di cercare di fondarle e di chiarirle, dall’altro distingueva decisamente il metodo e lo scopo della filosofia da quelli della scienza, in quanto considerava come compito precipuo della filosofia l’analisi di quelle proposizioni ovvie e chiare di cui abbonda la nostra visione quotidiana del mondo. Fu appunto per questi due temi che M., con Wittgenstein, fu ritenuto uno dei padri fondatori della filosofia linguistica esplosa in Inghilterra dopo la Seconda guerra mondiale. Infine occorre ricordare che M. si occupò in modo particolare del problema gnoseologico, formulandone varie soluzioni; notevole importanza ebbe, tra le altre, la teoria che individuava nei dati sensoriali l’oggetto della percezione (posizione essenzialmente realistica).