Hegel, Georg Wilhelm Friedrich
Filosofo tedesco (Stoccarda 1770 - Berlino 1831); si occupò di D. soprattutto nelle Vorlesungen über die Aesthetik, anche se non mancano alcuni accenni in altre opere come l'Encyclopädie der philosophischen Wissenschaften, dove D. è ricordato per la sua pretesa di atteggiarsi a giudice universale. Anche nelle Vorlesungen über die Aesthetik non si ha una trattazione vera e propria dell'opera di D., ma soltanto accenni o richiami, più o meno ampi, al carattere di essa rispetto allo sviluppo storico e morfologico dell'arte.
In questo quadro, H. considera la Commedia come l'opera più ricca e matura del Medioevo cattolico, come il suo vero epos. In realtà, secondo H., non si dovrebbe parlare di un epos vero e proprio, perché manca in essa un'azione complessiva che si sviluppi in modo individuale; un'unità epica c'è tuttavia in quanto l'intero poema è dominato dall'eterno agire divino che, nel suo accadere immutabile, fissa l'Inferno, il Purgatorio e il Paradiso, e lo stesso mondo dell'azione umana, in un'esistenza priva di mutamento. Se in tal modo tutto ciò che è semplicemente individuabile e particolare negl'interessi umani svanisce di fronte alla grandezza assoluta del fine ultimo di tutte le cose, non per questo l'individualità viene sacrificata all'universale; nel mondo cristiano, infatti, il soggetto non è un semplice accidente della divinità, ma è uno scopo infinito in sé stesso, per cui il fine universale (dannazione o felicità eterna, stabilite secondo la giustizia divina) può apparire come lo stesso interesse e la stessa realtà eterna dell'individuo, a differenza di quello che accade nel mondo dello stato dove l'individuo può e deve esser sacrificato per salvare lo stato stesso. Nella Commedia, pertanto, l'individualità viene colta e fissata nel suo intimo, in una prospettiva eterna (nessun altro poeta ha avuto tale ardimento), e gl'individui appaiono come pietrificati, come statue di bronzo, quali furono nel loro agire e patire, nei loro intenti e nelle loro realizzazioni quali si presentano al giudizio di Dio. A quest'impostazione di fondo corrisponde anche il modo di rappresentare proprio della Commedia, caratterizzato da una certa staticità e fissità del quadro descritto, da un certo distacco del poeta (analogo, secondo H., a quello della pittura italiana dell'epoca) rispetto alle vicende dei suoi personaggi, che anche là dove soffrono, hanno però " la felicità dell'eternità ", ossia una saldezza di carattere e d'interessi che consente loro di essere perfino al di sopra dei loro tormenti; così pure, gli angeli e i demoni non hanno una vera e propria vitalità, ma solo una funzione strumentale rispetto al premio o alla pena degli uomini. La struttura epica del poema dantesco sarebbe poi attestata, secondo H., anche dall'uso della terzina non chiusa entro strofe (come nelle canzoni e nei sonetti), ma concatenata in una successione che vuole esprimere la grandiosa vicenda della salvezza.
Bibl. - A. Farinelli, D. in Spagna, Francia, Inghilterra e Germania, Torino 1922 (partic. 397-400); P. Pizzo, La D.C. nei giudizi dell'H., di F.Th. Vischer e di F. De Sanctis:, in Festschrift L. Gauchat, Aarau 1926; E. Auerbach, Entdeckung D.s in der Romantik, in " Deutsche Vierteljahrschrift " VII (1929) 682-692 (ora in Gesammelte Aufsätze zur romanischen Philologie, Berna 1967, 176-183).