STIERNHIELM, Georg
Poeta e poligrafo svedese, nato a Vika in Dalecarlia il 7 agosto 1598, morto a Stoccolma il 22 aprile 1672. Salutato "padre della letteratura svedese", fu l'introduttore della cultura del Rinascimento nella sua patria. E fu in Svezia la figura letteraria più rappresentativa del Seicento: anche nella stessa vita in cui condivise tutta la fortunosa vicenda della storia dell'epoca. Dopo avere trascorso lunghi anni di studio in Germania, forse in Francia, certamente in Olanda, nel 1626 fu nominato insegnante nel ginnasio di Västeras, poi al Collegium Illustre di Stoccolma. Segretario dell'esercito svedese operante in Germania nell'estate del 1628, poi referendario alla Cancelleria, divenne nel 1630 assessore al tribunale di Dorpat (Tartu). Per tre anni, dal 1642 al 1645, fu richiamato a Stoccolma, come membro della Commissione per l'elaborazione del diritto svedese. E a Stoccolma fu richiamato ancora nel 1648, in funzioni di archivista del regno. Ma nel 1651 ritornava in Livonia, dove aveva un modesto possedimento. L'avanzata dei Russi nel 1656 lo cacciò, costringendolo a riprendere la via della Svezia; e nel 1658 fu destinato come giudice a Trondheim. Nel 1661 era di nuovo a Stoccolma, e passò per varie cariche e uffici, finché nel 1667 gli fu affidata la direzione del Collegium antiquitatum.
Queste condizioni di esistenza contribuirono a quella dispersione di attività che fece di lui - più che un creatore - un "seminatore di idee", il quale si esaurì nel dare avviamenti al pensiero, agli studî, alla poesia.
Il suo ideale era l'"uomo universale" del Rinascimento, quale questo poté apparirgli attraverso i tardi sviluppi, con cui il Rinascimento contribuì alla formazione della cultura tedesca e olandese del Seicento. Come scienziato, propose nell'Archimedes reformatus un nuovo metodo per la "prova dei metalli", e fu studioso di matematica, consulente del governo per il regolamento dei pesi e delle misure. Come giurista, fu elaboratore e formulatore di molte norme giuridiche del suo tempo, editore del Västgötalagen (1663). Come storico, affermò la tesi che la sede originaria dei Goti sia da cercarsi nella Svezia (Anticluverius, ed. 1685). Come linguista attese per primo alla compilazione di un vocabolario etimologico del gotico e dello svedese antico: Gambla Swea- och Götha-måles fatebur (1643). Come filologo, diede l'edizione della Bibbia di Ulfila (1671), tracciando nell'introduzione i lineamenti storici dell'evoluzione della lingua. Come filosofo, introdusse per primo nel Nord il pensiero neoplatonico del Rinascimento. E fu, infine, poeta, riformatore della poesia.
Non era uno spirito rivoluzionario. Pur professandosi seguace di una "religione naturale", non giunse mai a posizioni che implicassero una rottura con la dottrina ortodossa luterana. E, come presso la maggior parte dei suoi contemporanei nei paesi germanici, furono soprattutto gli elementi realistici e razionalistici del Rinascimento che nella sua opera trovarono sbocco e sviluppo. Tutto ciò che nella sua opera è stile ornato, ridondanza lirica, sfoggio d'immagini e di richiami mitologici (v. i balletti Then fångne Cupido, 1649; Fredz-Afl, 1649; Parnassus triumphans, 1651, ecc., e i componenti lirici d'occasione) è semplice forma esteriore, come nell'opera del suo maestro tedesco Opitz. E come nell'opera del suo maestro olandese Cats, ciò che vi è di più schietto nella sua poesia è dovuto al suo naturale senso realistico, al suo spirito di uomo normale che guarda al sodo e quando fa le parole grosse è il primo a sorriderne. Nello stesso grande poema mitologico Hercules (prima redazione 1658), in mezzo a tutta la rete di moraleggianti mitologiche allegorie, sono queste appunto le oasi in cui la poesia presenta una sua vitalità.
Anche sotto l'aspetto letterario, la sua importanza fu, più che di poeta, di maestro. Egli fu colui che, con gli ammaestramenti e con l'esempio, insegnò agli uomini del suo tempo il senso della forma. Ordinò, chiarificò, arricchì la metrica, sollevò la lingua, in molti elementi ancora greggia e rozza, a dignità letteraria. Abituò al gusto dello stile. Ed ebbe egli medesimo coscienza della sua funzione storica: alla raccolta delle sue composizioni poetiche, quattro anni prima di morire, diede il titolo: Musae suethizantes. Thet är Säng-gudinnor nu först lärande dichta och spela på swenska (cioè "le Dee del Canto, che ora insegnano per la prima volta a poetare e comporre in lingua svedese", 1668).
Opere: Vitterhetsarbeten, Stoccolma 1871 e 1918; Valda skrifter, 2ª ed., ivi 1903. E cfr. anche: Filosofiska fragment, ivi 1924 (con introd.); Samlade skrifter, 1924 segg.
Bibl.: B. Swartling, G. S., Upsala 1909; H. Lindroth, S.s Herkules, Stoccolma 1913; J. Nordström, G. S., voll. 2, ivi 1924.