geopolitica
geopolìtica s. f. – Il termine g. è oggetto di qualche confusione, dovuta al notevole successo nell’uso ma anche alla mancanza di strumenti intellettuali di valore universale per interpretare la mutevolezza del mondo nell’epoca post-ideologica. La g. si è imposta per dare spiegazioni plurali a problemi che all’improvviso, senza più schemi ideologici convenzionali capaci di indicare la chiave interpretativa più adeguata, si mostravano di una complessità inaspettata. La riscoperta della g. data ormai all’inizio degli anni Ottanta del 20° sec., quando il geografo francese Yves Lacoste e quanti facevano riferimento alla rivista Hérodote puntarono l’attenzione sul carattere non ideologico del conflitto allora in corso tra Cambogia e Vietnam. Si trattava di uno scontro che usciva dalla logica della guerra fredda e per interpretarlo erano necessari criteri nuovi, come l’analisi delle rivalità di potere per il controllo del territorio, condotte a partire dalle opposte rappresentazioni politiche e ideologiche degli attori coinvolti. Rispetto alla g. classica, l’accento veniva spostato sulle percezioni soggettive e sulla loro corretta ricostruzione. A fianco di questo indirizzo, l’impostazione decostruzionista e criticistica conquistava la geografia anglosassone a seguito delle riflessioni di filosofi francesi come Michel Foucault e Jacques Derrida. Negli ultimi anni la g. critica, il cui atto di nascita risale alla pubblicazione nel 1986 di un importante articolo da parte di Gearóid Ó Tuathail, si è andata sempre più affermando come approccio scientifico dominante nella letteratura internazionale e annovera al suo interno, pur con le dovute differenze, autori come Simon Dalby e John Agnew. Punto di partenza della g. critica è la riflessione sul rapporto tra spazio e potere, e il modo in cui quest’ultimo si legittima attraverso discorsi e pratiche dominanti. La formazione della politica estera di un Paese avviene anche attraverso canali informali come la cultura popolare, a sottolineare il carattere pervasivo del potere, che mimetizza una rappresentazione parziale del mondo per renderla naturale. La g. critica si propone principalmente come strumento di denuncia della politica di potenza e dei processi di legittimazione che distolgono lo sguardo dell’opinione pubblica dalle vere motivazioni dei conflitti. In Italia, negli ultimi anni, gli studi g. sono stati condotti con profitto da Carlo Jean e Gianfranco Lizza. Quest’ultimo, in particolare, allievo di Ernesto Massi (primo a introdurre la g. in Italia), si è discostato dagli approcci dominanti in ambito internazionale e ha messo al centro della sua attenzione il valore oggettivo del territorio, contenitore dei molteplici aspetti, sia naturali sia antropici, che influenzano la politica. Da qui si sviluppano le interdipendenze tra gli organismi politici, quell’intricato insieme di interessi e influenze che è compito dello studioso discernere per offrire al 'principe' (chi effettua le scelte) validi elementi decisionali. La g. diviene così analisi geografica e multidisciplinare che si arrischia alla previsione della dinamica del potere e in un suo tentativo di comprensione. La rinascita della g. in Italia è avvenuta anche tramite una versione popolare, fortemente distante da quella accademica, che si rifà al realismo e si limita all’analisi della politica di potenza degli attori. È il caso di Limes, che opera principalmente con l’approfondimento giornalistico. Eurasia, altra rivista popolare, aggiunge un aspetto ideologico legato all’antiantlantismo e alla riscoperta dell’eurasismo, di cui fu primo latore Karl Haushofer, uno degli autori principali della g. classica. Di recente nascita è Geopolitica, che riprende il nome della prima rivista italiana dedicata alla disciplina a opera di Ernesto Massi e Giorgio Roletto negli anni Trenta del Novecento. La pubblicazione si propone di elevare qualitativamente il dibattito disciplinare delle riviste italiane aprendo con più decisione al mondo accademico.