Geometria
Nel tracciare i lineamenti essenziali di una storia della matematica, Federigo Enriques osservava nel 1938: "A chi raffronti gli sviluppi che i diversi rami delle matematiche hanno ricevuto durante il XIX sec., potrà sembrare giustamente che questo o quello abbiano un'importanza scientifica superiore, che conducano a risultati più generali o dominino più largamente le applicazioni, ma nessuno apparirà più meraviglioso dello sviluppo della geometria. Perché questa disciplina, che pareva dover rimanere fissata per sempre negli schemi dell'Euclide, non solo è cresciuta per nuovi apporti, ma ha radicalmente trasformato il suo spirito, i suoi metodi, i suoi oggetti, così da divenire veramente scienza nuova". Enriques notava come questo primato fosse storicamente determinato da due motivi, e cioè da un lato dal riaffiorare nella geometria di una corrente di idee, apparsa in Francia nel sec. XVII con Gérard Desargues e Blaise Pascal e risalente alla "tecnica dei pittori", d'altro lato "dalla stessa dominazione dell'algebra traverso i metodi della geometria analitica, poiché la reazione a questo dominio porta necessariamente a rielaborare le idee geometriche in guisa da rispondere allo spirito di generalità introdotto dall'algebra".
L'intervento nella geometria analitica dei concetti della teoria proiettiva delle coniche, a opera di August F. Moebius e di Julius Plücker, si prolunga naturalmente nello studio delle curve algebriche piane di ogni ordine, che appare per la prima volta nel 1838, con i caratteri di compiutezza di una disciplina scientifica, nella Theorie der algebraischen Curven di Plücker. Quest'opera va ben oltre gli studi anteriori sulle curve algebriche piane di Isaac Newton, Colin MacLaurin, Leonhard Euler, Gabriel Cramer, Jean-Victor Poncelet, Étienne Bobillier e altri. In essa compare per la prima volta il corpo ℂ dei numeri complessi attraverso la considerazione degli immaginari; e Plücker ne illustra l'ufficio essenziale, scoprendo la configurazione dei nove flessi di una cubica piana. Nasce così la geometria proiettiva complessa, ma soprattutto interviene per la prima volta, in un ragionamento geometrico, la chiusura algebrica del corpo complesso. Si sviluppa in seguito, a opera di Arthur Cayley, James J. Sylvester, George Salmon e Ludwig O. Hesse, lo studio delle proprietà delle curve algebriche piane che sono invarianti proiettive. Su queste ricerche si innesta, intorno al 1863 con Luigi Cremona, la nozione di trasformazione birazionale dello spazio proiettivo complesso ℙn(ℂ). È questo uno dei momenti più alti della geometria dell'Ottocento: è dalle ricerche di Cremona ‒ nonché dalle idee geniali di Bernhard Riemann che le precedono di poco più d'un decennio ‒ che nasce, con le parole di Enriques, la geometria come "scienza nuova".
Le trasformazioni cremoniane sono particolari trasformazioni birazionali del piano proiettivo complesso in sé. A esse corrispondono sistemi lineari detti reti omaloidiche. Le trasformazioni cremoniane corrispondenti a reti di coniche nel piano sono le trasformazioni quadratiche, che si presentarono già a Poncelet, Plücker e Jakob Steiner fra il 1822 e 1832 e furono studiate sistematicamente da Ludwig I. Magnus nel 1832. Nel 1869 William K. Clifford considerò esempi di trasformazioni cremoniane ottenibili come prodotto di trasformazioni quadratiche. Nel 1872, Max Noether propose una dimostrazione del teorema in base al quale ogni trasformazione cremoniana di ℙ2(ℂ) è prodotto di un numero finito di trasformazioni quadratiche. Tale dimostrazione, rivelatasi inadeguata a Corrado Segre, fu completata da Guido Castelnuovo nel 1901 e da Oscar Chisini nel 1921 seguendo la via inizialmente tracciata da Noether.
Un'involuzione di ordine p associata a un sistema lineare di equazioni in due variabili definisce una curva algebrica X che è razionale. Questo è un risultato di Jacob Lüroth, che precede di vent'anni il teorema della razionalità delle involuzioni piane di Castelnuovo del 1894 in base al quale involuzioni associate a sistemi lineari in tre variabili definiscono superfici razionali. Questi due teoremi non valgono per N>2. Infatti, fra il 1908 e il 1915, Gino Fano costruì diversi esempi di varietà algebriche tridimensionali che non sono razionali, e nel 1912 Enriques affermò che una di queste si rappresenta con un'involuzione su ℙ3(ℂ) e quindi è unirazionale. Tuttavia ledimostrazioni furono completate solo nel 1968, grazie ai risultati ottenuti indipendentemente da Michael Artin e David Mumford, Herbert Clemens, Philip Griffiths, Vassili A. Iskovskii e Yuri I. Manin.
Nella sua dissertazione inaugurale, letta a Göttingen nel 1851, Riemann poneva su basi nuove lo studio delle funzioni analitiche polidrome di una variabile complessa, considerandole come funzioni monodrome su superfici a più fogli distesi sul piano complesso e raccordantisi fra loro. Nasceva così la nozione di superficie di Riemann di un corpo di funzioni algebriche in una variabile: nozione che interagiva fin dagli inizi con la geometria delle trasformazioni birazionali, attraverso la traduzione delle intuizioni di Riemann nel linguaggio delle curve algebriche a opera di Rudolf Clebsch e Noether. Tuttavia, le difficoltà intrinseche della definizione di Riemann (che risiedevano nella realizzazione dei raccordi fra i vari fogli) non saranno eliminate prima del 1913, quando Hermann Weyl nel suo volume Die Idee der Riemannschen Fläche darà una definizione di superficie di Riemann prossima alla moderna definizione di . Nel frattempo prendeva avvio lo studio delle varietà algebriche di ogni dimensione sul corpo complesso. Data una varietà algebrica in uno spazio proiettivo ℙN(ℂ), si pone il problema di costruirne un modello non singolare, cioè una varietà algebrica X′ di un spazio proiettivo ℙN′(ℂ) che sia una varietà complessa birazionalmente equivalente a X, ovvero sia immagine di X mediante una corrispondenza generalmente biunivoca.
Se X ha dimensione uno, la costruzione di una superficie di Riemann per un corpo di funzioni algebriche in una variabile produce una varietà complessa astratta analiticamente omeomorfa a X. Il problema di costruire un modello non singolare della curva X, immerso in uno spazio proiettivo complesso, fu affrontato e risolto da vari autori; fra i primi furono Noether, Georges-Henri Halphen e Eugenio Bertini, che lo determinarono ancor prima che la definizione di varietà non singolare avesse avuto una sistemazione soddisfacente. A partire dalla dimensione due, la costruzione di modelli non singolari risulta molto più ardua. Infatti, una fra due curve non singolari è necessariamente un omeomorfismo, mentre ciò non accade in dimensione superiore. Per esempio, il sistema lineare di tutte le coniche passanti per due punti del piano ℙ2(ℂ) è una rappresentazione piana di una quadrica che è birazionalmente equivalente a ℙ2(ℂ). D'altra parte, X è omeomorfa al prodotto cartesiano ℙ1(ℂ)×ℙ1(ℂ), che non è omeomorfo a ℙ2(ℂ).
Nel caso di superfici algebriche in uno spazio proiettivo complesso, costruzioni di modelli non singolari furono proposte da Pasquale Del Pezzo nel 1892, Beppo Levi nel 1897, Francesco Severi nel 1914, Chisini nel 1921 e Giacomo Albanese nel 1924, ma tutte presentano varie lacune. Nel 1939 e nel 1942 Oscar Zariski pubblicava nuove dimostrazioni, basate sulla teoria delle valutazioni, destinate ad avere profonda influenza sugli sviluppi successivi della geometria algebrica. Sulla traccia di queste, Zariski stabiliva l'esistenza, nel 1944, di un modello non singolare per una qualsiasi varietà algebrica di dimensione tre immersa in uno spazio proiettivo complesso. L'esistenza di modelli non singolari in dimensione qualunque fu dimostrata nel 1962 da Heisuke Hironaka in modo molto ingegnoso.
La desingolarizzazione delle varietà algebriche, ottenuta da Zariski con la teoria delle valutazioni, è una delle tappe di un riesame critico della geometria algebrica come si era sviluppata dalla fine dell'Ottocento all'inizio del Novecento. Tale esame critico conduce alla geometria algebrica sopra un corpo commutativo arbitrario k, cioè allo studio delle varietà algebriche definite mediante polinomi a coefficienti in k. Questo studio è anche motivato da varie questioni di teoria dei numeri, quali per esempio l'ipotesi di Riemann. Va ricordato che già la memoria di Leopold Kronecker del 1882 si riferisce a corpi più generali del corpo complesso. Similmente, la memoria di Richard Dedekind e Heinrich M. Weber, Theorie der algebraischen Funktionen einer Veränderlichen, nel 1882, sviluppa una teoria delle curve algebriche che resta valida per corpi di numeri algebrici. In una serie di lavori dal titolo comune Zur algebraischen Geometrie, pubblicati nei "Mathematische Annalen" fra il 1926 e il 1937, Bartel L. van der Waerden compì notevoli progressi nell'edificazione della geometria algebrica sopra un corpo qualsiasi, creando strumenti puramente algebrici e sottoponendo a un'analisi accurata il concetto di punto generico, utilizzato spesso in modo imprudente dai geometri algebrici dell'inizio del secolo.
Nascevano così la nozione di estensione e di specializzazione che preludevano alla topologia di Zariski. Nel 1946, André Weil pubblicava le sue Foundations of Algeb-raic Geometry, che ebbero grande risonanza e profonda influenza sugli sviluppi successivi. In esse prendeva assetto compiuto la geometria algebrica su un corpo qualsiasi. Grazie a quest'opera e ai progressi realizzati nel frattempo, Hironaka poteva dimostrare il teorema di desingolarizzazione già ricordato, mentre Shreeram S. Abhyankar riusciva a costruire modelli non singolari per superfici definite sopra corpi di caratteristica p>0. Nell'opera di Weil compaiono le varietà algebriche astratte, più generali delle varietà immerse in uno spazio proiettivo. Queste varietà sono ottenute 'incollando' fra loro varietà affini, come si fa per le varietà differenziabili o le varietà complesse. Le relazioni fra varietà di Weil e varietà algebriche immerse in uno spazio proiettivo sono illustrate da esempi, costruiti da Masayoshi Nagata e Hironaka, di varietà complesse compatte di dimensione complessa tre, che sono varietà di Weil ma non hanno modelli non singolari immersi in uno spazio proiettivo complesso.
Simultaneamente all'opera di algebrizzazione, progrediva lo studio della geometria algebrica intrinseca, cioè di quelle proprietà delle varietà algebriche che non dipendono dallo spazio proiettivo nel quale le varietà stesse sono immerse. Questi problemi sono già chiaramente presenti nelle opere di Castelnuovo, Enriques e Severi insieme a intuizioni e approcci dimostrativi di straordinaria acutezza, soprattutto per quanto riguarda le superfici algebriche. D'altra parte, per una trattazione organica occorre attendere che si sviluppino non solo gli strumenti adeguati ma addirittura gli oggetti geometrici sui quali formulare tali problemi in modo corretto. La nozione di varietà complessa astratta non compare che relativamente tardi; ma per poter associare a ogni varietà algebrica di uno spazio proiettivo una varietà complessa compatta bisogna attendere la risoluzione del problema dello scioglimento delle singolarità. È proprio l'urgenza di risolvere questo e altri problemi che porta alla creazione e al rapido sviluppo di nuovi capitoli della ricerca matematica. Così, affrontando lo studio della topologia delle varietà algebriche, Solomon Lefschetz dà impulso decisivo allo sviluppo autonomo della topologia algebrica che in meno di un trentennio, dalla pubblicazione nel 1924 di L'analysis situs et la géométrie algébrique dello stesso Lefschetz alle Foundations of Algebraic Topology di Samuel Eilenberg e Norman Steenrod del 1952, è diventata uno dei principali rami della matematica moderna.
Similmente, lo studio degli integrali su una superficie algebrica, iniziato da Cayley, Clebsch, Noether ed Émile Picard fra il 1870 e il 1890, è alla base della teoria delle forme armoniche di William V.D. Hodge. I vari problemi, le tecniche, i risultati ottenuti in questi campi subirono un profondo mutamento intorno al 1950 con l'introduzione della teoria dei fasci di Jean Leray. Nel 1954, Jean-Pierre Serre introdusse una nozione di varietà algebrica basata sul concetto di fascio algebrico coerente, da lui usato sulla traccia della definizione di fascio analitico coerente. I fasci coerenti hanno un ruolo centrale nella teoria degli spazi analitici. Le applicazioni della teoria dei fasci coerenti alla geometria algebrica iniziano con la memoria di Serre, Faisceaux algébriques cohérents, apparsa nel 1955 negli "Annals of Mathematics"; memoria che insieme al lavoro Géométrie algébrique et géométrie analytique, pubblicato dallo stesso autore negli "Annales de l'Institut Fourier" dello stesso anno, segna un'epoca nello sviluppo della geometria moderna.
Sia X uno spazio localmente compatto, unione di una famiglia numerabile di compatti. Rientrano in questa categoria le varietà e gli spazi analitici che considereremo nel seguito. Per questi spazi si definiscono i gruppi di coomologia Hq(X,ℱ) di X a valori in ℱ, di dimensione q=1,2,… I gruppi di coomologia, nel caso in cui ℱ sia il fascio costante ℤ, ℝ o ℂ, compaiono nella topologia algebrica fra il 1930 e il 1940 ‒ ben prima della nozione di fascio ‒ a opera di Leopold Vietoris, Pavel Alexandroff, Lev S. Pontrjagin, Eduard Čech, James W. Alexander, e, più tardi, Clifford H. Dowker ed Edwin Spanier. La determinazione effettiva dei gruppi di coomologia Hq(X,ℝ) per una varietà differenziabile compatta X è legata all'opera di Georges de Rham. In una nota del 1928 Élie Cartan aveva congetturato che gli elementi di Hq(X,ℝ) fossero legati ai periodi delle q-forme differenziali esterne chiuse sui cicli di X, e in un lavoro del 1929 applicò questa congettura al calcolo dei gruppi di coomologia reale di un gruppo di Lie compatto.
La congettura di Cartan fu dimostrata da de Rham nella sua tesi, pubblicata nel 1931. Se X è una varietà differenziabile qualsiasi, non necessariamente compatta, il teorema di de Rham classico, concernente l'isomorfismo fra Hq(X,ℝ) e il q-esimo gruppo di coomologia di de Rham, discende dal teorema di de Rham astratto, in base al quale i gruppi di coomologia di X a valori in ℱ sono isomorfi ai gruppi di coomologia del complesso dato da una risoluzione di ℱ con fasci fini. In particolare, un teorema stabilito da Vito Volterra nel 1889 e da Henri Poincaré nel 1895 garantisce l'esistenza di una tale risoluzione per il fascio costante ℝ. Applicando il teorema di de Rham astratto a questo fascio si ottiene così il teorema di de Rham classico, secondo il quale Hq(X,ℝ) è isomorfo al quoziente dello spazio delle q-forme d-chiuse per lo spazio dei differenziali esterni delle (q,1)-forme.
Se X è una varietà complessa, un teorema di Alexander Grothendieck prova l'esistenza di una risoluzione per il fascio di struttura OX. In questo caso, il teorema di de Rham astratto si specializza negli isomorfismi tra i gruppi di coomologia Hq(X,OX) e i gruppi di Dolbeault H0,q(X,ℂ). Un isomorfismo di Dolbeault simile al precedente permette di calcolare i gruppi di coomologia Hq(X,Ω(E)), dove E è un fibrato vettoriale olomorfo su X e Ω(E) indica il fibrato dei germi di sezioni olomorfe di E. La rappresentazione degli elementi Hq(X,Ω(E)) mediante forme differenziali esterne permette di concludere che Hq(X,Ω(E))={0} se q>dimℂX, e che, se X è una varietà complessa compatta, Hq(X,Ω(E)) è uno spazio vettoriale complesso di dimensione finita. Per giungere a questo risultato si può sviluppare con Kunihiko Kodaira e Donald C. Spencer una teoria ad hoc delle forme armoniche a valori in E. Più in generale, nel 1953 Cartan e Serre hanno dimostrato che dato un qualsiasi fascio analitico coerente ℱ sulla varietà complessa compatta X tutti i gruppi di coomologia Hq(X,ℱ) hanno dimensione finita.
Se X è una varietà differenziale compatta, la somma alternata delle dimensioni dei gruppi di coomologia di Hq(X,ℝ) è espressa dalla formula di Gauss-Bonnet generalizzata. Che cosa può dirsi della somma alternata delle dimensioni dei gruppi di coomologia di X a valori in un fascio ℱ? Se dimℂX=1, cioè se X è una superficie di Riemann compatta, la risposta alla domanda precedente viene data dal classico teorema di Riemann-Roch. Se X è una varietà algebrica non singolare immersa in uno spazio proiettivo complesso, la somma alternata delle dimensioni dei gruppi Hq(X,OX) ‒ e più in generale di Hq(X,Ω(E)) ‒ viene espressa dal valore su X di un polinomio P a coefficienti razionali nelle classi di Chern di X o di E. Questo teorema fu stabilito nel 1954 da Friedrich Hirzebruch, portando a compimento ricerche cui avevano contribuito notevolmente Serre e René Thom.
Se X è una superficie algebrica, il teorema di Riemann-Roch può essere formulato nel modo seguente:
[1] q = pg − pa
dove q è l'irregolarità di X (ovvero la dimensione dello spazio delle 1-forme olomorfe), pg è il genere geometrico (ovvero la dimensione dello spazio delle 2-forme olomorfe su X), e pa è il genere aritmetico di X.
La [1] segnò il culmine di una serie di ricerche sulla geometria delle superfici algebriche che videro protagonisti Georges Humbert, Enriques, Castelnuovo, Severi, Picard e Poincaré nei primi anni del XIX secolo. Un'estensione del teorema di Riemann-Roch dalle superfici di Riemann alle superfici algebriche, per un fibrato lineare olomorfo E di tipo particolare (precisamente per un fibrato lineare olomorfo associato a un divisore), si trova in una nota di Noether del 1886. La questione venne ripresa da Enriques nelle Ricerche di geometria sulle superfici algebriche del 1893 e nella Introduzione alla geometria sulle superfici algebriche del 1896, da Castelnuovo in due lavori del 1896 e 1897 e da Severi nel 1903 e nel 1905. Gli enunciati erano ben lontani dalle formulazioni in termini coomologici, perché in essi intervenivano dimensioni di sistemi lineari di divisori, numeri di intersezione, serie caratteristiche, ecc.
Risultati soddisfacenti e generali si ebbero soltanto nel 1954 con le ricerche di Hirzebruch. Approfondendo i legami fra le dimensioni dei e le dimensioni dei sistemi lineari e delle serie caratteristiche, Kodaira ritrovava nel 1956 il criterio, stabilito da Castelnuovo nel 1896, secondo il quale una superficie algebrica è razionale se e solo se dim H0(X,Ω(K2)) e pa=0. In una serie di lavori pubblicati a partire dal 1960, Kodaira intraprendeva la classificazione delle superfici complesse (algebriche e non), ritrovando in particolare la classificazione delle superfici algebriche data da Enriques. Una rielaborazione di quest'ultima classificazione fu compiuta da Igor R. Shafarevich e dai suoi allievi nel 1965. Del teorema di Riemann-Roch dimostrato da Hirzebruch, Grothendieck (e indipendentemente Gerard Washnitzer e Joseph H. Sampson) dette, intorno al 1958, una dimostrazione puramente algebrica, valida per varietà algebriche definite su un corpo algebricamente chiuso. A tale scopo, Grothendieck introdusse un funtore che a ogni varietà algebrica X associa un anello costruito a partire dai fibrati vettoriali algebrici su X. Ciò suggerì a Michael Atiyah e Hirzebruch una costruzione analoga per uno spazio topologico compatto e per i fibrati vettoriali complessi su X, dando così inizio alla K-teoria.
In molte applicazioni importa calcolare la dimensione dello spazio H0(X,Ω(E)), o conoscere almeno l'ordine di grandezza di tale dimensione. Se X è algebrica, per poter applicare il teorema di Riemann-Roch occorre controllare le dimensioni dei gruppi Hq(X,Ω(E)) per q≥1. La situazione ottimale è quella in cui tutti questi ultimi gruppi si annullano. Condizioni sufficienti perché ciò accada, quando E sia un fibrato lineare associato a un divisore, possono esprimersi mediante l'ampiezza del sistema lineare definito da tale divisore, e compaiono già nei lavori classici di Castelnuovo, Enriques e Severi. Nel 1964 Salomon Bochner iniziò uno studio sistematico dei legami fra i numeri di Betti (cioè le dimensioni dei gruppi Hq(X,ℝ) di una varietà riemanniana compatta X) e il tensore di curvatura di quest'ultima. L'idea consisteva nel rappresentare un qualsiasi elemento di Hq(X,ℝ) mediante una forma armonica, cioè nello scegliere, fra le varie q-forme che rappresentano secondo de Rham l'elemento fissato, quella che annulla l'operatore di Laplace-Beltrami. Tale operatore può essere espresso localmente in funzione del tensore di Riemann della varietà X. Un esempio di risultati di questo tipo è il teorema di Myers-Bochner, secondo il quale se una varietà compatta e orientabile X ha curvatura di Ricci definita positiva in ogni punto allora H1(X,ℝ)={0}.
Questi metodi di geometria differenziale globale sono stati applicati da Bochner, André Lichnérowicz e altri ai vettori di Killing (cioè a vettori legati ai gruppi a un parametro di isometrie delle varietà riemanniane). Tali applicazioni hanno precedenti importanti nel famoso teorema, stabilito da Heinz Hopf e Willi Rinow nel 1931, secondo il quale una superficie completa con curvatura gaussiana dappertutto maggiore o uguale a una costante positiva c è compatta e ha diametro non superiore a π/√c; teorema questo esteso da Sumner B. Myers nel 1935 e nel 1941 alle varietà riemanniane complete con curvatura media positiva. Nel 1953 Kodaira adattò i metodi di Bochner allo studio di Hq(X,Ω(E)) per una varietà X kähleriana compatta e per un fibrato lineare olomorfo E su X. I criteri di annullamento per questi gruppi di coomologia furono dapprima determinati dallo stesso Kodaira, poi ripresi da Yasuo Akizuki e Shigeo Nakano nel 1954, e infine estesi da Nakano nel 1955 al caso in cui E sia un fibrato vettoriale olomorfo qualsiasi. Successivamente furono generalizzati al caso in cui X è una varietà complessa non compatta e non kähleriana. Una delle applicazioni più importanti dei criteri scoperti da Kodaira è il teorema ‒ dovuto anch'esso a Kodaira, ma un'altra dimostrazione è stata data da Hans Grauert ‒ che caratterizza le varietà algebriche immerse senza singolarità in uno spazio proiettivo complesso. Nel 1951, descrivendo la metrica che su una varietà siffatta è determinata dalla metrica naturale dello spazio proiettivo complesso (metrica di Fubini-Study), Hodge osservò che essa corrisponde a una classe di coomologia intera mediante l'isomorfismo di de Rham. Egli si chiese quindi se l'esistenza di una metrica kähleriana con classe di coomologia intera caratterizzasse le varietà algebriche non singolari immerse in uno spazio proiettivo. La risposta, affermativa, a tale domanda fu data da Kodaira nel 1954.
Su una stessa varietà complessa X si possono considerare, a priori, diverse strutture complesse. Si possono cioè immaginare due copie di X sulle quali siano definite due strutture di varietà complesse tali che l'identificazione fra le due copie non possa essere espressa da funzioni olomorfe. Una famiglia di strutture complesse definite sulla varietà complessa X e dipendente con continuità (o differenziabilmente, ecc.) da un parametro reale t variabile nell'intervallo [0,1] è grosso modo uno spazio fibrato sul segmento [0,1], le cui fibre sono varietà complesse Xt con X0=X. Un teorema, stabilito nel 1957 da Alfred Frölicher e Albert Nijenhuis, descrive le deformazioni infinitesime di X. Sia Θ il fascio dei germi di campi di vettori olomorfi tangenti a X, Frölicher e Nijenhuis associano a ogni deformazione differenziabile della varietà complessa compatta X una classe di coomologia di H1(X,Θ). Sulla base di questo teorema, Kodaira e Spencer svilupparono fra il 1957 e il 1960 un'ampia teoria delle deformazioni delle varietà complesse compatte. Per il teorema sopra citato, se H1(X,Θ)={0} la varietà X non ha deformazioni infinitesime ossia è localmente rigida. Esempi importanti sono offerti da certi quozienti di dominî limitati simmetrici irriducibili di dimensione complessa maggiore di uno.
Sono rare le varietà complesse compatte delle quali si possono enumerare tutte le strutture complesse. Per esempio, per un teorema di Hirzebruch e Kodaira, in ℙn(ℂ), con n dispari, l'unica struttura di varietà kähleriana equivalente mediante un omeomorfismo differenziabile alla struttura naturale coincide con quest'ultima. Nel 1966 Kodaira ha provato che due varietà complesse compatte di dimensione complessa due, che siano omeomorfe al prodotto di una circonferenza e di una sfera a tre dimensioni, sono olomorficamente equivalenti fra loro. La funzione che a ogni deformazione infinitesima associa un elemento di H1(X,Θ) non è necessariamente surgettiva, e poco si sa dello spazio immagine. Se si vuole ricostruire una deformazione a partire da un elemento di H1(X,Θ), si incontra un'ostruzione rappresentata da un elemento di H2(X,Θ). Ne segue ‒ per un teorema di Kodaira, Louis Nirenberg e Spencer ‒ che, se H2(X,Θ)={0}, tutto lo spazio di H1(X,Θ) rappresenta deformazioni infinitesime.
Il problema di studiare le deformazioni globali di X consiste nell'investigare la geometria dello spazio delle strutture complesse di una varietà compatta. Se X è una superficie di Riemann, questo problema appare già nelle opere di Riemann stesso. Gli elementi di H1(X,Θ) sono rappresentati da differenziali quadratici. Dato che H2(X,Θ)={0}, tutti questi differenziali rappresentano deformazioni infinitesime. Se X è un toro complesso a una dimensione, la descrizione delle strutture complesse non equivalenti su X è legata alla teoria delle funzioni ellittiche modulari e lo spazio delle strutture complesse su X è il triangolo fondamentale del gruppo modulare SL(2,ℤ). In generale, lo studio dello spazio delle strutture complesse su X ha fatto notevoli progressi fra il 1940 e il 1944 per opera di Osvald Teichmüller, il quale ha introdotto su tale spazio ‒ che si chiama appunto spazio di Teichmüller ‒ una metrica intrinseca sviluppando una teoria ad hoc: la teoria delle applicazioni quasi conformi estremali. Progressi decisivi sono dovuti a Lars V. Ahlfors, Lipman Bers, Halsey L. Royden e altri.
La nozione di fascio, introdotta da Leray fra il 1945 e il 1950, si rivelò subito per opera di Cartan e dei suoi allievi estremamente proficua nella teoria delle funzioni analitiche di più variabili. Alcuni problemi classici della teoria delle funzioni analitiche possono essere risolti con gli aperti di olomorfia. Nel caso di funzioni di una variabile complessa possono essere utilizzati metodi ad hoc, non estendibili a più variabili, quali per esempio la rappresentazione conforme, la formula di Cauchy per un contorno arbitrario, ecc. Un esempio importante è il problema generalizzato di Mittag-Leffler, o primo problema di Cousin. Questo problema, posto da Gösta M. Mittag-Leffler nel 1884 per funzioni meromorfe di una variabile, consiste nel costruire una funzione siffatta a partire dalle sue singolarità. Enunciamolo con il linguaggio della teoria dei fasci per un aperto A di ℂn.
Per ogni x∈A sia ℳx il corpo dei quozienti dell'anello Ox dei germi di funzioni olomorfe in x. Sull'unione ℳ=∪x∈Aℳx è possibile definire una topologia in modo tale che, se U è un aperto di A e se f e g sono funzioni olomorfe su U tali che g non si annulli identicamente su nessuna delle componenti connesse di U, i quozienti fx/gx descrivono un aperto di M. Con questa topologia ℳ è un fascio su A, chiamato fascio dei germi di funzioni meromorfe su A; O è un sottofascio di ℳ, e il fascio quoziente ℳ/O si chiama fascio dei germi delle parti principali. Alla successione esatta di fasci
[2] 0 → O → ℳ → ℳ/O → 0
corrisponde la successione esatta di coomologia
τ
[3] 0 → H0(A,O) → H0(A,ℳ) → H0(A,ℳ/O) →
→ H1(A,O) → ... .
L'omomorfismo τ associa a ogni sezione di H0(A,ℳ), cioè a ogni funzione meromorfa, il sistema delle sue parti principali. Il problema di Mittag-Leffler consiste nel caratterizzare l'immagine di τ. Se H0(A,O)={0}, τ è surgettivo e quindi ogni sistema continuo di parti principali proviene da una funzione meromorfa. Se A è un , H1(A,O) si annulla. Pertanto, sugli aperti di olomorfia (in particolare su ogni aperto di ℂ), il problema di Mittag-Leffler è sempre risolubile. Nel 1895 Pierre Cousin affrontò il problema nel caso di più variabili, provando che esso non è risolubile su un aperto A di ℂn che sia il prodotto di n domini di ℂ.
Sugli spazi analitici si può operare non soltanto mediante morfismi, ai quali corrispondono applicazioni continue per le strutture topologiche, ma anche mediante modificazioni. Dati due spazi analitici X e X′ e due sottoinsiemi N⊆X e N′⊆X′ contenuti localmente in sottoinsiemi analitici di X e X′, una modificazione F fra X e X′ con basi N e N′ è grosso modo un'applicazione bi-olomorfa F di X′/N′ su X/N tale che, per ogni intorno U di N in X, F−1(U/N)∪N′ sia un intorno di N′ in X′. La nozione di modificazione, che si ispira a quella di trasformazione birazionale, fu introdotta nello studio delle varietà complesse da Hopf nel 1948 nel caso in cui N sia un punto di X e N′ uno spazio proiettivo di dimensione n−1. Questo tipo particolare di modificazione, chiamato σ-processo o trasformazione quadratica locale, si rivelò di grande utilità nello studio della geometria delle varietà complesse e fu generalizzato nel concetto complessivo di modificazione da Reinhold Remmert, Grauert, Erwin Kreyszig, Wilhelm Stoll. La nozione di è stata generalizzata da Grothendieck intorno al 1960 e la sua definizione precisa può trovarsi negli appunti del Seminario di Henri Cartan del 1960-1961, tenuto presso l'École Normale Supérieure. Secondo tale definizione, i modelli locali utilizzati per definire la struttura di spazio analitico sono assegnati mediante anelli locali che contengono elementi nilpotenti. Perché in uno spazio analitico X si possa sviluppare una teoria significativa delle funzioni olomorfe (cioè dei morfismi X→ℂ) occorre anzitutto che X sia ricco di funzioni olomorfe non costanti, come risulta da un lavoro di Eugenio Calabi e Beno Eckmann del 1953, dove viene definita una struttura di varietà complessa di dimensione complessa n su ℝ2n (n≥3) sulla quale non esiste nessuna funzione olomorfa globale non costante. Una classe di spazi analitici sui quali è possibile edificare una teoria delle funzioni olomorfe particolarmente interessante è quella degli spazi di Stein.
La topologia differenziale è lo studio delle varietà differenziabili e delle applicazioni differenziabili, ove si considerino equivalenti due varietà differenziabili mutate l'una nell'altra da un diffeomorfismo. Con questo significato la definizione di topologia differenziale si trova già nella memoria Analysis situs pubblicata da Poincaré nel 1895. In tale memoria Poincaré passò a una linearizzazione dell'intera teoria, sostituendo alle varietà complessi simpliciali e alle applicazioni differenziali applicazioni che mutano simplessi in simplessi e le cui restrizioni ai singoli simplessi sono delle applicazioni affini. Nasceva così la topologia combinatoria. Questa linea di ricerca diventò legittima non appena fu risolto il problema della triangolabilità, cioè quando si dimostrò che in ogni varietà differenziabile si può inscrivere un complesso simpliciale. Nel caso di una superficie di Riemann (compatta o non), il problema fu risolto in un lavoro di Tibor Radó del 1925, rendendo così superflua l'ipotesi di triangolabilità che appare nella definizione di Weyl del 1913.
La triangolabilità delle varietà differenziabili e compatte fu provata da Scott S. Cairns rispettivamente nel 1934 e nel 1935, quella delle varietà non compatte a base numerabile da John H.C. Whitehead nel 1940. Per varietà topologiche in generale, ossia per spazi di Hausdorff a base numerabile localmente omeomorfi ad aperti di spazi euclidei con cambiamenti di coordinate locali (espressi dunque da funzioni continue), l'esistenza di triangolazioni è una congettura di Poincaré che è stata dimostrata, solo per dimensioni non superiori a tre, da Edwin E. Moise nel 1952. Accanto al problema della triangolabilità va posto quello dell'immersione delle varietà differenziabili negli spazi euclidei. Nel 1936 Hassler Whitney ha dimostrato che, per ogni varietà differenziabile X di dimensione n e con una base numerabile per gli insiemi aperti, esiste un diffeomorfismo la cui immagine è una sottovarietà immersa regolarmente (senza singolarità) in uno spazio ℝN, con N≤2n+1. Nel 1944 Whitney ritornò sull'argomento riuscendo a provare che può sempre assumersi N≤2n.
La classificazione delle superfici compatte orientabili risale ai tempi di Riemann. Queste superfici hanno un solo invariante topologico: il genere riemanniano. Un modello topologico universale di una superficie compatta orientabile di genere g si ottiene praticando sulla superficie sferica g coppie di fori e saldando a ciascuna di esse un 'manico': per ogni coppia di fori si costruisce anzitutto un cilindro, partendo da un rettangolo con vertici consecutivi A, B, C, D e identificando i lati opposti AB e CD, orientati da A a B e da D a C (cioè identificando ogni punto P di AB con il punto che lo fronteggia sul lato opposto DC); successivamente, si identificano i bordi dei due fori con le circonferenze AD e BC. Partendo di nuovo dal rettangolo ABCD, costruiamo (invece di un cilindro) un nastro di Möbius identificando i segmenti orientati AB e CD (ogni punto P di AB con il simmetrico del punto che lo fronteggia su DC, rispetto al punto medio di DC), e saldiamo le due curve chiuse AB e CD con i bordi dei due fori. In questo modo si ottengono i modelli delle superfici compatte non orientabili. La prima dimostrazione del teorema di classificazione delle superfici compatte è dovuta a Max Dehn e Poul Heegard e ‒ indipendentemente ‒ a Henri R. Brahana.
Data una triangolazione (finita) di una superficie compatta X, il numero dei vertici diminuito di quello dei lati e accresciuto del numero di triangoli è un invariante topologico di X, ovvero non dipende dalla triangolazione considerata come si dimostra con considerazioni affatto elementari. Esso si chiama il numero di Euler della superficie X (ed è uguale alla somma alternata dei numeri di Betti di X). Due superfici compatte sono omeomorfe se e soltanto se hanno lo stesso numero di Euler e sono ambedue orientabili o ambedue non orientabili. Se X è una superficie compatta orientabile di genere riemanniano g, il suo numero di Euler è 2−2g. La classificazione delle superfici compatte mediante il numero di Euler e la loro orientabilità (o non orientabilità) pone il problema della ricerca di invarianti ‒ quali le dimensioni, i numeri di Betti, i gruppi di coomologia intera, le classi caratteristiche di vario tipo ‒ atti a caratterizzare una varietà differenziale compatta a meno di omeomorfismi. Per esempio, ogni superficie compatta e semplicemente connessa a due dimensioni è omeomorfa a una sfera. L'enunciato analogo per varietà compatte semplicemente connesse a tre dimensioni e per sfere tridimensionali è una famosa congettura di Poincaré, dimostrata da Grigorij Perelman nel 2006. Per dimensione maggiore di tre una classificazione completa delle varietà compatte di dimensione quattro è impossibile, secondo quanto sostenuto da Andrei A. Markov nel 1958. Egli ha dimostrato infatti che non può esistere alcun algoritmo generale che permetta di decidere se due preassegnate varietà compatte, orientabili, triangolabili, di dimensione quattro siano o no omeomorfe. Per quel che riguarda il confronto di strutture differenziabili, nel 1956 John Milnor ha fatto vedere che sulla sfera di dimensione sette esistono sette strutture differenziabili non equivalenti fra loro e nel 1960 Michael A. Kervaire ha mostrato che esistono varietà topologiche compatte sulle quali non è possibile introdurre alcuna struttura di varietà differenziabile (compatibile con la struttura topologica).
Le ricerche sulla congettura di Poincaré hanno portato Steven Smale a sviluppare strumenti atti a classificare ampie famiglie di varietà differenziabili. Strumento essenziale nelle argomentazioni di Smale è la teoria di Morse, introdotta da Marston Morse nel 1934 nel trattato The calculus of variations in the large. La teoria di Morse studia le funzioni differenziabili f a valori reali, e in particolare i punti critici di una funzione f siffatta, cioè i punti in cui si annullano tutte le derivate prime di f (rispetto a un sistema di coordinate locali). Morse fa vedere che, per funzioni f sufficientemente regolari, i gruppi di omologia di certe varietà di livello di f sono determinati dalla struttura di opportuni punti critici e dalle loro proprietà. Sulla base di queste ricerche, Smale ha stabilito nel 1960 una congettura di Poincaré generalizzata mostrando che, se una varietà differenziabile compatta X di dimensione n>4 ha il tipo di omotopia dell'ipersfera Sn, allora X e Sn sono diffeomorfe. I risultati di Smale sulla classificazione delle varietà differenziabili possono essere riesaminati nell'ambito della teoria del cobordismo, introdotta da Thom nel 1954. Secondo un teorema di Smale del 1963, se due varietà differenziabili compatte, orientabili, di dimensione n, semplicemente connesse X1 e X2 costituiscono la frontiera di una varietà differenziabile X, in guisa tale che le inclusioni X1→X e X2→X siano equivalenze di omotopia, allora X1 e X2 sono diffeomorfe.
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