geografia postmoderna
geografìa postmodèrna locuz. sost. f. – Il dibattito sul postmoderno domina la cultura geografica anglosassone da ormai due decenni, con particolare rilevanza nella geografia umana e politica. Il filone nasce dall’incontro tra il postmoderno statunitense e il poststrutturalismo francese, rifacendosi agli studi di Michel Foucault, Roland Barthes, Jacques Derrida e Jean-François Lyotard. Alcuni degli autori principali di questo filone, spesso provenienti da una formazione marxista, sono Edward Soja, Brian Harley, Claudio Minca, Michael Dear e Gearóid Ó Tuathail per la geografia politica. Il post-moderno, più che essere un paradigma, riunisce una molteplicità di posizioni critiche caratterizzate dalla sfiducia nelle possibilità del pensiero moderno, accusato di costringere silenziosamente il libero fluire della vita all’interno di categorie presuntivamente universali. Per la g. p. non è più possibile spiegare la realtà all’interno di un unico paradigma e per questo si propone di decostruire le rappresentazioni dominanti, metterne in luce il non detto e dare spazio alla pluralità del reale. Il postmoderno critica ogni pretesa di oggettività, verità e neutralità del processo conoscitivo; ne riconosce la natura parziale e soggettiva, che si impone come oggettiva per mantenere la propria posizione dominante. Caduta ogni pretesa di oggettività del sapere, ogni gesto umano cade sotto la lente del punto di vista e diventa politico, in quanto espressione di una soggettività. Nell’ambito delle scienze sociali questo ha comportato la rivalutazione della dimensione spaziale, quindi della geografia, come analisi delle relazioni contingenti tra gli enti che occupano uno stesso luogo e che generano una situazione irripetibile grazie alle interazioni reciproche. I geografi di tradizione marxista come Richard Peet e David Harvey hanno contestato al postmodernismo la mancanza di progettualità politica, esito inevitabile della critica radicale a ogni sapere come forma di potere che include ed esclude allo stesso tempo, secondo quel processo proprio al pensiero occidentale che Derrida ha definito di identità e differenza, dove l’identità stabilisce un campo semantico dal quale escludere l’altro, cioè il differente. In definitiva, il postmodernismo critica l’autorità denunciando il sapere che la legittima come forma di potere del dominante sul dominato, così connotando l’autorità come autoreferenziale e priva di fondamento. Minca, tra gli altri, ha risposto alle critiche sottolineando come il principale obiettivo del postmodernismo sia la consapevolezza che ogni relazione implica un potere. Il progetto è possibile a partire dall'esplicitazione della nostra posizione e di quella dei nostri interlocutori, in altre parole chiarendo il modo in cui un potere è spazialmente e socialmente determinato.