Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Geoffrey Chaucer è il primo scrittore inglese che sperimenta quasi tutti i generi letterari e che rielabora in modo nuovo i modelli offerti dalla tradizione letteraria continentale (francese e italiana) e le nuove tendenze culturali dell’Inghilterra medievale. L’innovazione stilistica e linguistica di questo poeta favorisce anche la maturazione della lingua letteraria nazionale (il Middle English) in un momento storico di grande instabilità politica (l’inizio della guerra dei Cent’anni 1337-1437), sociale, religiosa ed economica. Chaucer imprime un radicale cambiamento nel canone letterario inglese, imponendosi così come il primo modello della letteratura del suo Paese.
Geoffrey Chaucer
La vita così breve, l’arte così lunga da apprendere, il tentare così duro, così amara la conquista, la gioia timorosa che scivola via così facilmente: tutto questo è, per me, l’Amore che così forte colpisce il mio sentire col suo operare meraviglioso che quando penso ad esso non so se sto a galla o annego.
Geoffrey Chaucer
Il Mugnaio era un robusto pezzo d’uomo, grosso di muscoli e di ossa: lo provava il fatto che dovunque andasse nelle gare di lotta, vinceva sempre il montone. Era tarchiato e tozzo, duro come un ceppo d’albero. Non c’era porta che non avrebbe scardinata o rotta, andandoci a cozzar contro con la testa. Aveva la barba rossa come il pelo d’una scrofa o d’una volpe, e larga per di più come una pala. Proprio sulla punta del naso aveva una verruca, con un ciuffetto di peli sopra.
Geoffrey Chaucer
"Signori" disse "in chiesa quando predico, mi sfiato per avere una voce forte e squillante come una campana, ma quello che devo dire lo so già a memoria. Il mio tema è, ed è sempre stato, uno solo: Radix malorum est Cupiditas... Comincio col dire da dove vengo, e poi mostro le mie bolle tutte quante. Il sigillo del nostro signor feudatario sulla mia lettera patente, quello lo mostro per primo, a garanzia della mia persona, perché nessuno, prete o chierico, sia tanto sfacciato da disturbarmi nel mio santo lavoro di Cristo. E poi racconto le mie solite storie; tiro fuori bolle di papi e cardinali, patriarchi e vescovi, e dico qualche parola in latino, tanto per condire la mia predica e stuzzicare alla devozione. Tiro poi fuori i miei bottiglioni di vetro, pieni zeppi di stracci e d’ossi che tutti credono siano reliquie. In una latta ho perfino la scapola d’una pecora che era appartenuta a un santo ebreo!" "Buona gente" dico "fate attenzione alle mie parole. Se immergete quest’osso dentro un pozzo, qualunque vacca, vitello, pecora o bue si gonfi per aver ingoiato o esser stato punto da una biscia, appena da quel pozzo prenda un po’ d’acqua e si lavi la lingua, ecco che subito guarisce. Basta poi che una pecora beva un sorso da quel pozzo per guarire immediatamente da pustole, scabbia e ogni altro malanno. Attenzione a quel che dico."
Geoffrey Chaucer nasce a Londra da mercanti che esercitano il commercio del vino e della lana nel florido porto commerciale di Ipswich. Lo stesso nome della famiglia porta impresso il mestiere dell’artigianato legato al commercio della lana: Chaucer deriva da chausses, ossia “calzoni di lana”. Nel 1357 entra alla corte regale inglese come paggio di uno dei figli di Edoardo III e nel 1367 diventa valletto dello stesso re. Sono gli anni dello studio e dell’apprendistato poetico. La sua prima formazione si basa sui testi più importanti della cultura medievale europea: le opere enciclopediche dei Padri della Chiesa, i poeti latini (specialmente Boezio) e gli autori mediolatini europei, da Alano di Lilla a Marziano Capella, Geoffrey di Vinsauf, Geoffrey di Monmouth e poi il Roman de la Rose, il romanzo enciclopedico francese che condensa tutta la cultura cortese e cavalleresca del secolo precedente. La cultura inglese del tempo è, infatti, francofona, monastica e mediolatina: a corte si scrive e si parla in francese e, secondo la precettistica cristiana, l’arte deve avere uno scopo educativo e morale. Sono gli anni anche della nascita di un nuovo movimento filosofico, rappresentato da Guglielmo di Ockham e di un nuovo sentimento riformatore religioso, promosso da John Wyclif, che porteranno alla rottura con la Chiesa ufficiale di Roma. La crisi con la Francia e l’inizio della guerra dei Cento Anni, contribuiscono ad aprire una frattura tra l’Inghilterra e il continente, mentre si consolida il sentimento di identità nazionale. L’inglese medievale comincia a prevalere sul francese, lingua ormai considerata nemica. Opere latine, mediolatine e francesi vengono tradotte in inglese dallo stesso poeta, che dimostra di essere la sintesi di questa stratificata cultura: conosce le quattro principali lingue della cultura europea (inglese, francese, latino e italiano), impadronendosi ben presto delle forme, degli stili e dell’immaginario della tradizione letteraria francese e di quella italiana. Si occupa anche di scienza: medicina, alchimia, astrologia e astronomia.
L’opera narrativa chauceriana si può dividere in tre filoni principali: il poema onirico (The book of Duchess, The House of Fame, Parliament of Fowls e il Prologo alla Legend of Good Women), il romanzo (Troilus and Criseyde) e l’antologia di storie (Legend of Good Women e Canterbury Tales).
Il progetto di Chaucer è chiaro fin dall’inizio: promuovere la lingua volgare inglese come nuova lingua letteraria nazionale. Ispirato al Roman de la Rose, che traduce anche in parte, è la sua prima opera, The Book of Duchess (Il libro della duchessa), poema composto alla fine del 1369 in occasione della morte di Bianca, duchessa di Lancaster. In questi anni Chaucer consolida la propria vita: sposa una damigella della regione ed entra a servizio del duca di Lancaster (John of Gaunt), il cui figlio nel 1399 salirà al trono con il nome di Enrico IV; questa amicizia assicurerà al poeta una vita agiata. Tra il 1372 e il 1373 Chaucer viene inviato in Italia con incarichi diplomatici, ma il viaggio in Italia si dimostra soprattutto un’occasione culturale e letteraria. Egli conosce per la prima volta direttamente le opere dei tre grandi scrittori e poeti del Trecento italiano (Dante, Petrarca e Boccaccio). Un’eco della sensibilità del poeta inglese nei confronti della riconosciuta grandezza dei tre poeti italiani è nei Canterbury Tales: un personaggio-narratore (il chierico-studente) ricorda un incontro con Petrarca e la novella di Griselda, attribuita erroneamente al poeta del Canzoniere. Si tratta in realtà di un esempio emblematico dell’ampia circolazione manoscritta della traduzione latina del Petrarca dell’ultima novella del Decameron di Boccaccio (quella appunto di Griselda), intitolata in modo diverso: De insigni obedientia et fide uxoria. Regna inoltre incertezza sulla reale conoscenza diretta del Decameron, mentre è dimostrabile quella delle opere boccacciane precedenti al capolavoro, come il Filostrato.
Tornato in Inghilterra nel 1374 Chaucer viene nominato ispettore delle dogane del porto di Londra: incarico che manterrà per dodici anni. Nel frattempo compierà ancora missioni diplomatiche per conto della corona inglese nelle Fiandre (1376-1377), in Francia (1377) e in Italia, a Milano nel 1378. In questi anni, vissuti come “doganiere”, Chaucer non abbandona la poesia, ma continua a comporre: scrive ma non conclude il poema The House of Fame (La casa della Fama), scrive il poema breve The Parliament of Fowls (Il parlamento degli uccelli) e intorno al 1385 conclude l’ampio romanzo in versi Troilus and Criseyde (Troilo e Criseide). Sempre di questi anni è l’importante traduzione in inglese del De Consolatione philosophiae di Boezio.
Dal 1386 Chaucer cambia di nuovo vita: si dimette dall’ispettorato delle dogane e si ritira nel Kent, dove viene eletto come giudice di pace e rappresentante del Parlamento della contea. In questo periodo matura il progetto dei Canterbury Tales (I racconti di Canterbury, 1387).
Chaucer è uno studioso capace di vivere nel mondo, sperimentando condizioni di vita sempre nuove. Figlio di mercanti, impersona più figure insieme: quella dell’intellettuale di corte, quella dell’uomo d’armi contro i Francesi, quella del viaggiatore e, infine, quella di membro del Parlamento. Tutte esperienze che non solo nutrono l’immaginario letterario di questo enciclopedico narratore, ma che dimostrano un’indole vivace, mobile e originale. È il primo a sperimentare quasi tutti i generi letterari in poesia e in prosa, inventando nuovi schemi metrici: scrive poemi elegiaci, filosofici e d’amore (come The House of Fame e The Parliament of Fowls), romanzi (Troilus and Criseyde), fabliaux, racconti dalle connotazioni più diverse (i Canterbury Tales) e molte traduzioni in inglese dal latino e dal francese. Con le sue opere, egli imprime una prima spinta alla laicizzazione della letteratura, promuovendo l’inglese di Londra come lingua letteraria e d’invenzione. Le sue attività non si fermano qui: oltre a comporre uno dei testi che saranno considerati tra i capolavori narrativi del Trecento europeo, Chaucer viene nominato sopraintendente delle costruzioni reali nel palazzo di Westminster e alla Torre di Londra. Si occuperà fino alla sua morte di costruzioni e di restauri a Londra, dove si trasferisce alla vigilia di Natale del 1399, poco prima di morire. Viene sepolto nell’abbazia di Westminster il 25 ottobre del 1400.
L’opera più antica, The Book of Duchess (1369), scritta in distici ottosillabici, è dedicata al sogno. Qui lo scrittore immagina se stesso come un lettore che soffre di insonnia e che è immerso nella lettura della storia ovidiana di Ceice e Alcione (storia della morte del marito e del sogno della moglie). Ma i pensieri, nati dalla lettura, scivolano in una dimensione onirica ricca e travolgente, che, alla fine, rivela al protagonista la morte della duchessa e, soprattutto, la sua vena narrativa e poetica.
Scritto in occasione della morte della duchessa di Lancaster, The book of Duchess è una sorta di elegia che racconta il dolore del protagonista il quale dall’esperienza onirica ricava la forza di accettare la crudele rivelazione della Fortuna, sovrana delle vite umane. Ma è anche la storia di un lettore-sognatore che ritrova le ragioni della sua vocazione letteraria. Nel sogno è un cavaliere nero a rivelare al lettore la sua storia, in modo metaforico e allusivo. Il sognatore si trova, così, immerso nell’atmosfera dei romanzi, che nella dimensione fantastica si dimostrano rivelatori di realtà. Il sogno e il fantastico, quindi, si sommano nella determinazione dell’esperienza umana e creativa, rivelando al poeta, insonne e sognatore, le ambivalenze dell’animo umano, sospeso tra amore e morte.
The House of Fame (1380), poema in distici ottosillabici, è incompiuto e organicamente complesso: risente non solo dell’influenza di Macrobio e della letteratura latina ma anche delle nuove suggestioni italiane, specialmente delle opere di Dante, Petrarca e Boccaccio. È la descrizione di un sogno in cui il protagonista visita, sul modello dantesco, un mondo immaginario, seguendo una logica onirica frammentata e una dimensione letteraria intertestuale, ricca di citazioni letterarie. Al centro del poema vi è la riflessione su due temi fondamentali: Amore e Fama.
Maggiore coesione strutturale dimostra The Parliament of Fowls, opera compiuta in 699 versi, formati da stanze di sette decasillabi. Anche qui il protagonista si descrive come un lettore, immerso nella lettura del testo onirico classico: il Somnium Scipionis. Qui Chaucer riprende il genere della visione d’amore, già sperimentato dai poeti italiani, in cui ritornano la scenografia del locus amoenus e il dibattito sui temi principali legati al sentimento amoroso. In questo sogno sono gli uccelli a intrecciare il dialogo nel giorno di san Valentino sui temi propri della tradizione classica e cortese, creando un coro suggestivo e poetico.
Dalla lettura delle opere giovanili boccacciane (Filostrato e Teseida) proviene l’ispirazione per la forma ampia del romanzo, che si realizza in Troilus and Criseyde. Romanzo complesso e ricco di sfumature psicologiche, contiene anche molte riflessioni filosofiche sul destino umano, ritratto a volte anche con una vivace vena comica e realistica. Troilo, il protagonista maschile, si trova coinvolto in una molteplicità di azioni che lo confondono e lo rendono inattivo. Nell’affrontare le difficoltà, che gli si presentano per amore della bella Criseide, Troilo dimostra più la vocazione del poeta che la tempra dell’eroe. È il primo afflato lirico del monologo interiore, costruito sulle note petrarchesche, che maturerà più tardi nel dramma elisabettiano.
La contemporaneità esplode nei Canterbury Tales che assorbono in un contesto narrativo viatorio (il viaggio dei pellegrini) tutte le figure della società, colte nel vivo della loro realtà linguistica: l’oste, il cavaliere con il figlio scudiero e il valletto d’arme, una priora, una monaca cappellana con tre preti, un monaco benedettino, un frate mendicante, un mercante, uno studente di Oxford, un commissario di giustizia, un allodiere (ossia un libero possidente di terre senza titolo nobiliare), un merciaio, un falegname, un tessitore, un tintore e un tappezziere, un cuoco, un marinaio, un medico, una drappiera di Bath, un parroco, un contadino, un cursore (ossia un usciere o messo del tribunale ecclesiastico), un venditore di indulgenze.
I Canterbury Tales, sono scritti in distici eroici tranne due, che sono in prosa: il Racconto di Melibeo (una traduzione quasi letterale di un trattato francese) e il Racconto del Parroco. I tales sono incorniciati da una storia, che viene introdotta nel Prologo generale: nella stagione primaverile un gruppo di pellegrini è diretto al santuario di Canterbury (in cui è sepolto Thomas Becket, martire nazionale) e si ferma in una locanda (Tabard Inn) di un sobborgo di Londra (Southwark, sulla riva meridionale del Tamigi). L’oste della locanda propone ai pellegrini di raccontare due storie a testa durante il viaggio di andata e di ritorno dal santuario: i Canterbury Tales. Chi avrà narrato le storie più divertenti o istruttive avrà in premio una cena, pagata da tutti gli altri. Tra i personaggi presentati nel prologo questi sono coloro che narrano le storie: il cavaliere, il mugnaio, il fattore, il cuoco, la comare di Bath, il frate, il cursore, lo studente, il mercante, lo scudiero, l’allodiere, il medico, l’indulgenziere, il marinaio, la priora, il monaco, il cappellano della monaca, la seconda monaca, il garzone del canonico, l’economo e il parroco. Tra loro si trova lo stesso Chaucer, che recita una poesia in lasse (Ser Topazio) – presto interrotta dall’Oste perché troppo noiosa – e il Racconto di Melibeo.
Nel Prologo generale la voce narrante è quella di Chaucer che si immagina di viaggiare con i pellegrini e di annotare di volta in volta i loro tales. La raccolta si chiude, poi, con un Congedo, rivolto ai lettori, in cui l’autore sembra scusarsi per le opere che ha scritto anche in precedenza (dai primi poemi onirici ai racconti), ricordando con orgoglio solo le opere omiletiche, agiografiche e morali. Tra il Prologo e il Congedo vi sono i tales, raccolti in dieci frammenti di varia lunghezza e legati tra loro dai richiami metanarrativi della storia di cornice. Di quest’ultima, tuttavia non c’è la fine: i pellegrini non raggiungono Canterbury e non tornano indietro. I racconti da quattro – dichiarati nel prologo – vengono ridotti a uno, massimo due, a testa. Ogni racconto, infine, è preceduto da un breve prologo che inquadra la scena e il personaggio-narratore.
La finzione letteraria dei Canterbury Tales dimostra di reggersi sulla doppia funzione della voce narrante. Vi è l’autore, Chaucer, che presenta l’opera e che, alla fine, sorprendentemente la rifiuta, insieme con tutte le altre sue opere che non dimostrano una sufficiente finalità pedagogica e cristiana. E vi sono i 29 personaggi-narratori che, animati da personalità differenti e ben delineate, danno vita a racconti molto vari e articolati. La struttura della storia a cornice non è certamente nuova alla letteratura medievale: l’illustre precedente del Decameron di Giovanni Boccaccio (1313-1375) poteva suggerire la struttura di base. La cornice permette all’autore di introdurre i personaggi e di organizzare con ordine il succedersi dei diversi racconti. È un pretesto letterario per mettere in scena una rappresentazione quasi teatrale del racconto orale: una sorta di celebrazione dell’oralità dei temi e delle trame narrative, che costituisce la radice comune a tutti i racconti occidentali e orientali dell’epoca medievale.
Come già Boccaccio, anche Chaucer fa rivivere nei suoi tales la varietà della vita, la molteplicità di caratteri attraverso un ampio ventaglio di forme narrative. I racconti raccolgono i temi, gli stili e le strutture più differenti: storie tragiche e comiche, dall’ambientazione contemporanea o antica, si sommano a racconti esemplari, a una leggenda sacra (il Racconto della Priora, Prioress’ Tale), a una vita di santa (Racconto del martirio di Santa Cecilia della seconda monaca Second Nun’s Tale), alla storia di un gallo dalle celebri doti canore (Chauntecleer), di una gallina e di una volpe, al sermone e al suo rovesciamento (l’antisermone del venditore di indulgenze) fino al racconto dalle tinte meravigliose e orientali dello scudiero.
Ricco di ritratti è il Prologo generale, che descrive in maniera realistica, pungente e ironica i narratori. A questo prologo generale fanno da contrappunto i prologhi dei racconti, che, di diversa lunghezza, tentano di riprendere le caratteristiche del narratore per introdurre il tema che verrà narrato. I pellegrini, provenienti dalle molte categorie sociali, si sfidano e si affrontano anche con asprezza. Il mugnaio, ovviamente, si arrabbia con l’amministratore di terre, mentre l’oste si infiamma contro il venditore di indulgenze e contro il parroco. Il canonico abbandona la compagnia, perché il servo, troppo loquace, sta svelando i suoi segreti. Alcune voci, poi, si distinguono dal gruppo, come la comare di Bath o la monaca. Grande attenzione viene riservata ai particolari, come avviene nella minuziosa descrizione del vestiario, capace di esprimere la personalità e lo status del personaggio. Il cavaliere ad esempio porta “un giubbone di fustagno, macchiato ancora dall’armatura”, lo scudiero una “casacca corta con maniche lunghe e ampie”, il monaco ha le “maniche profilate di pelliccia”, mentre il frate si veste con una mantellina di lana “che piombava tonda come una campana appena fusa”. Particolarmente tagliente è la presentazione del venditore di indulgenze, in cui Chaucer raggiunge uno dei momenti più alti della sua vena poetica e narrativa. Il carattere ambiguo e furfantesco di questo falso predicatore viene proiettato nella capigliatura (“capelli gialli come la cera”), nei modi falsi e bugiardi.
L’irrompere della storia contemporanea è evidente, soprattutto, nella satira anticlericale, in cui emergono le impressioni lasciate dall’esperienza dei movimenti dei Lollardi contro le prepotenze del clero locale. Nei Canterbury Tales compaiono, così, le diverse personalità del mondo ecclesiastico: il monaco, la monaca, il frate, il parroco e l’ambiguo venditore di indulgenze. Tra queste figure si staglia anche l’astuta comare di Bath, che imbastisce un discorso dal tono popolare e da taverna, ma dai contenuti religiosi estremi. Al centro dell’ampio prologo (o piccola orazione) della comare vi sono i dogmi della Chiesa, come la verginità contrapposta al matrimonio (“Da che mondo e mondo, quando mai avete visto l’Altissimo proibire espressamente il matrimonio? [...] E dove mai ha imposto la verginità?”) o il matrimonio e la bigamia (“In vita mia non ho mai sentito parlare a questo proposito di un numero definito”).
Ma a questa voce anticonformista e anticlericale si somma quella del parroco, che riporta tutto entro i limiti consentiti, in linea, peraltro, con la nascente narrativa umanistica esemplare italiana. L’appello del parroco è chiaro: non vuole raccontare “favole” o “sciocchezze simili”, ma “argomenti morali e virtuosi”. L’ultimo (e decimo) frammento è un sermone sulla penitenza, che a sua volta contiene un lungo trattato sui peccati capitali, in cui è fortissima l’influenza della tradizione omiletica medievale. Un giro di vite, dunque, impresso alla poliedrica varietà dei Tales, che si salda definitivamente nell’ultimo appello di Chaucer al lettore: “Dice tuttavia il nostro libro: ‘Tutto ciò che è scritto, è scritto per nostro ammaestramento’. E tale è stato anche l’intento mio”.